31 Agosto, 2024
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Linee guida per capire la personalità: dall’antichità fino ai giorni nostri

Affrontare il tema della personalità è sicuramente una questione complessa visto che di “teorie”, nella storia del sapere psicologico, ne sono state elaborate veramente molte, soprattutto dopo il tramonto di quella dei “tipi” (sanguigno, collerico, malinconico, flemmatico) che è stata seguita per circa duemila anni, sino agli inizi del 900, quando è stata definitivamente abbandonata.

L’evoluzione dei diversi costrutti teorici della personalità non è soltanto un fatto ideale, bensì riflette l’evoluzione nella concezione della malattia in ambito medico e, più in generale, delle scienze della salute attraverso due cambiamenti paradigmatici. Infatti, all’inizio e a metà del diciannovesimo secolo, i medici hanno definito i disturbi dei loro pazienti in termini di sintomatologia manifesta (starnuti, tosse, vesciche, febbre). Il cambiamento del paradigma medico si è verificato circa un secolo fa, quando si è iniziata a considerare la malattia come il risultato di microbi e virus (agenti esterni) che infettano e danneggiano le normali funzioni del corpo. Fortunatamente, la medicina, negli ultimi due decenni del secolo scorso, è andata oltre il suo modello di “malattia infettiva e negli ultimi quindici anni, in seguito alla comparsa di malattie legate al sistema immunitario come l’AIDS, si è assistito a un progresso particolarmente sorprendente. Infatti, la medicina ha imparato che non sono i sintomi (gli starnuti o la tosse o i virus e i batteri) le determinanti ultime degli stati di malattia, ma, piuttosto, l’efficienza delle capacità difensive del corpo. Allo stesso modo, nella psicopatologia, la chiave di un benessere psicologico non é l’ansia o la depressione o gli agenti stressanti (livelli manifesti, empirici). La chiave è piuttosto l’equivalente del sistema immunologico del corpo, ovvero quella struttura e quello stile di processi psichici che rappresentano la nostra capacità complessiva di percepire e di affrontare il mondo psicosociale. In altre parole, ci si riferisce a quel costrutto psicologico che chiamiamo personalità, prevalentemente centrate su quelle manifestazioni latenti o “teoriche” della natura umana.

Ora procediamo con l’analisi storica dell’evoluzione teorica della personalità, per comprendere in modo più obiettivo come la “natura umana” sia stata osservata e filtrata da diverse lenti che, di volta in volta, riflettevano il paradigma della cultura prevalente.
In particolare, la medicina occidentale delle origini era basata sulla teoria umorale. Ippocrate (458-370 a.C.), considerato il padre della medicina, ne getta le basi, sebbene non la illustri compiutamente. Sarà Galeno (138-201) a rappresentare la migliore sistematizzazione della teoria umorale nel mondo antico. Il presupposto era il seguente: “Poiché sono quattro gli elementi di cui è composto il corpo, ossia terra, fuoco, acqua e aria, l’eccesso e il difetto di queste cose contro natura, o lo spostamento che avvenga dalla loro sede ad una diversa dalla loro, producono perturbazioni o malattie” (Timeo, 82,A).

I quattro umori circolanti nel corpo sono flemma, sangue, bile gialla e bile nera, corrispondenti ai quattro elementi dei filosofi e alle loro qualità. I quattro umori, oltre a regolare la salute e la malattia, determinano, in base alla presenza prevalente di uno o dell’altro, i quattro temperamenti: flemmatico (o linfatico), sanguigno, biliare e astrabiliare (bile nera).
Nel corso del Rinascimento, anche il mondo artistico mostra interesse per lo studio dei temperamenti. Per esempio, nel capolavoro di Albrect Durer (1417-1528), I quattro apostoli, si può riconoscere una magistrale illustrazione dei temperamenti galenici.

Alla fase umorale che caratterizza lo studio della personalità, fa seguito la fase fisiognomica. Questo vero e proprio metodo di conoscenza, adoperato sin dall’antichità, trova la sua più compiuta applicazione nel tardo Medioevo e nel Rinascimento: è la dottrina delle signature. Secondo tale dottrina, il Creatore ha posto nel mondo, e nelle sue creature, dei segni indicatori che basta saper leggere. Si tratta di un pensiero “analogico”, sicuramente prescientifico, ma alla cui logica, in fondo, s’ispira la fisiognomica, che nel considerare il volto come centro rivelatore di personalità postula un chiaro parallelismo tra corpo (viso) e anima.

La figura di Leonardo da Vinci (1452-1519) è centrale nell’evoluzione della fisiognomica, per via della connessione che fa con l’arte figurativa: “Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo…” (cit. in Trattato della pittura, di Leonardo da Vinci).
La fase di passaggio tra cultura cinquecentesca impregnata di magia e razionalismo seicentesco, si ha con l’opera di Giovan Battista Della Porta (1535-1615) in cui si mettono a confronto tipologie facciali umane con quelle animali, allo scopo di inferire indicazioni sul carattere degli uomini traendole dal carattere degli animali cui assomigliano (zoomorfismo).

Lo svizzero Johann Casper Lavater (1741-1801) può essere considerato l’ultimo fisiognomico puro, poiché indaga le forme fisse per estrapolare significati oggettivi. Dopo di lui saranno maggiormente indagate le forme mobili dell’espressione: la mimica, la gestualità, il comportamento. Si parlerà allora più propriamente di patognomica. Passato alla storia per il celebre ritratto che gli fece Vincent Van Gogh nel 1890, pochi mesi prima del suicidio, il dottor Paul Ferdinand Gachet (1829-1903) descrive, per esempio, la patognomica del malinconico: “Sembra che la creatura si rattrappisca, si ripieghi su se stessa, si comprima, come se dovesse occupare il minor posto possibile nello spazio. La postura del malato è tutt’affatto particolare…Tutti i muscoli del corpo sono in uno stato di semicontrazione permanente…e conferiscono alla fisionomia un aspetto di particolare durezza…Lo sguardo è fisso, inquieto, obliquo, diretto verso terra o di lato”.

Al contrario, la fisiognomica avrà come erede la frenologia, il cui fondatore è Franz Joseph Gall (1758-1828). Egli afferma che la forma che definisce le funzioni non è quella facciale, ma quella cerebrale: quest’ultima può essere dedotta dalla forma del cranio. Inizia, così, una minuziosa analisi delle bozze e degli avvallamenti del cranio, ingenua anticipazione dello studio delle aree cerebrali.
Sempre nell’Ottocento è d’obbligo menzionare un precursore dell’etologia, cioè Charles Darwin (1809-1882), conosciuto per L’origine della specie, ma anche autore di un libro meno noto, L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali (1872), in cui sostiene che le espressioni delle emozioni sono al servizio della selezione naturale, fisiologici segnali di difesa o di attacco.
Con Paolo Mantegazza (1831-1914), autore di Fisionomia e mimica (1861) nasce l’antropologia scientifica, antenata dell’antropologia criminale di Lombroso. Con Cesare Lombroso (1835-1909), autore dell’opera L’uomo delinquente studiato in rapporto all’antropologia, alla medicina legale e alle discipline carcerarie, la tendenza al crimine viene considerata alla stregua della predisposizione a una malattia naturale. Questa convinzione spinge Lombroso a chiedere l’isolamento di queste persone in luoghi di cura piuttosto che in carcere. Nasce in questo modo l’istituzione del manicomio criminale nel 1891.

Nel Novecento, lo studio del volto umano abbandona definitivamente il territorio della fisiognomica e prende essenzialmente tre vie: la via antropologica, la via criminologica e quella psichiatrica.
Per quanto riguarda quest’ultima, assumono grande rilievo due indirizzi: la psicologia dei tipi, dei tratti e delle disposizioni da un lato, e la psicologia del profondo dall’altro.
Gli esponenti del primo indirizzo seguono i passi dell’antica tradizione inaugurata da Ippocrate e Galeno, cioè l’ipotesi di una corrispondenza tra costituzione fisica e caratteristiche di personalità. I suoi principali esponenti sono Kretschmer e Sheldon.

Lo psichiatra Kretschmer (1921) classifica quattro tipi fondamentali, derivati dall’osservazione di casi patologici. In particolare abbiamo il tipo atletico, il tipo leptosomico, il tipo displasico e il tipo picnico. Mentre i primi tre sono più largamente presenti tra gli schizofrenici (diverse caratteristiche fisiche corrispondono alla stessa predisposizione), l’ultimo è largamente frequente tra i maniaco-depressivi. Tuttavia tale tipologia resta confinata nell’ambito della popolazione psichiatrica, con scarsa possibilità di estensione alla popolazione normale. Inoltre si rivela ben presto una tipologia rigida, incapace di rendere ragione di una grande variabilità all’interno degli stessi tipi. Il tipo “puro” infatti, è l’eccezione, mentre la maggior parte delle persone è una combinazione dei diversi tipi.
Dal riconoscimento di tali limiti, prende avvio la riflessione di William Sheldon (1942), la cui tipologia si basa sull’esame di soggetti normali ed è un sistema morfologico che si riferisce agli stadi di sviluppo dei tessuti derivati dai tre foglietti embrionali. Ne derivano tre somatotipi, a seconda che prevalga la dimensione endomorfica, quella mesomorfica e quella ectomorfica.

Il tipo endomorfico è costituito dalla variabile viscerotonica, caratterizzato da reazioni lente, socievolezza, sedentarietà, poca assertività. Al tipo mesomorfo corrisponde la variabile somatotonica, caratterizzato da aggressività competitiva, grande sicurezza, bisogno di esercizio fisico. Il tratto ectomorfo è legato ad una variabile cerebrotonica, indicante riservatezza, introversione, ipersensibilità.
Anche nell’ambito della psicologia del profondo non sono mancate classificazioni tipologiche. A fare da cerniera tra la psicologia dei tipi e quella del profondo è la “vegetoterapia” proposta da Wilhelm Reich (1933), seguita dalla “bioenergetica” del suo allievo Alexander Lowen (1975). Infatti, entrambe partono, nelle loro elaborazioni, dalla “lettura del corpo”, sebbene molto lontano dai criteri della fisiognomica e della frenologia, ma più vicino alla patognomica.
In particolare, secondo Reich ne L’analisi del carattere (1933) è necessario intervenire sulla corazza muscolare per modificare la cosiddetta “armatura caratteriale”. Egli abbozza una classificazione basata sui diversi tipi di armatura caratteriale: il carattere isterico si presenta nervoso, agile, apprensivo e incostante; il carattere coatto è prevalentemente inibito, contegnoso e depressivo; il carattere narcisista si presenta sicuro di sé, a volte arrogante, elastico, vigoroso, a volte imponente; il carattere masochista percepisce come piacere o come fonte di piacere ciò che l’individuo normale percepisce come dispiacere.

Non molto dissimile al riguardo è la concezione che Lowen esprime nel suo lavoro Bioenergetica, in cui descrive cinque strutture caratteriali: il carattere schizoide, che riflette un vissuto di rifiuto. Nel carattere orale, invece, il vissuto starebbe a indicare una deprivazione. Il carattere psicopatico sembrerebbe indicare, invece, una forte competizione, una sorta di “volontà di potenza”. Il carattere masochista è tipico dell’individuo che soffre, si lamenta, ma non fa nulla per cambiare la sua situazione. Si direbbe che il vissuto principale sia improntato alla colpa. Il carattere rigido è inflessibile e trattenuto, ha un buon contatto con la realtà. Il suo vissuto è ancorato alla frustrazione. Nell’insieme, i cinque caratteri seguono una linea evolutiva che va dal più scisso (schizoide) al più integrato (rigido).

Sempre nell’ambito della psicologia del profondo, Sigmund Freud determinò alcuni elementi caratteriali connessi a ogni fase di organizzazione e di evoluzione della libido, nel corso dei primi anni di vita. In particolare abbiamo: il carattere orale, il carattere anale e il carattere fallico.
Il carattere genitale, infine, è il modello ideale cui si dovrebbe giungere dopo aver superato l’organizzazione pregenitale delle precedenti fasi: è caratterizzato essenzialmente dalla capacità di mediare le proprie con le altrui esigenze di soddisfacimento.

Malgrado queste distinzioni fatte da Freud, non si può parlare di tipologia psicoanalitica in senso stretto. L’unica classificazione tipologica compiuta espressa in ambito psicoanalitico è quella di Carl Gustav Jung, che dedicò all’argomento una delle sue opere fondamentali, Tipi psicologici, apparsa nel 1921. Infatti, mentre Freud cercava di stabilire i fondamenti di un funzionamento universale della psiche umana, Jung era più interessato a valorizzare le differenze.
I tipi psicologici descritti da Jung risultano dalla combinazione di due atteggiamenti (estroverso e introverso) e di quattro “funzioni” (pensiero, sentimento, intuizione, sensazione). Il pensiero è la funzione che definisce le cose e stabilisce i nessi; il sentimento permette di formulare giudizi di valore; l’intuizione trasmette la percezione per via inconscia, attraverso istanti di “illuminazione”; infine, la sensazione ci permette il contatto con la realtà attraverso i sensi. Mentre le prime due funzioni sono definite “razionali”, le altre due sono “irrazionali”.
Quindi, da questa combinazione otteniamo i tipi “razionali” (tipo logico estroverso e introverso, tipo sentimentale estroverso e introverso) e i tipi irrazionali (tipo sensoriale estroverso e introverso, tipo intuitivo estroverso e introverso).

Ricapitolando, nella storia della psicologia in merito al concetto di personalità, per secoli hanno dominato quelle teorie il cui paradigma è stato un parallelismo rigido tra caratteristiche fisiche (es. fluidi del corpo, viso, avvallamenti del cranio) e caratteristiche di personalità, fino a considerare come “scientifico” la naturale predisposizione al crimine (antropologia criminale, Lombroso). L’idea di evoluzione della personalità non è mai stata presa in considerazione, se non con Sheldon che ha scelto di classificare i “tipi” secondo il livello equivalente di sviluppo embrionale. Infine, la “lettura del corpo” per comprendere la personalità si è spostata su di un livello patognomico, che riflette l’atteggiamento e il vissuto della persona visibile “fisicamente” (es. corazza muscolare di Reich). Parallelamente la psicologia del profondo ha posto in secondo piano le manifestazioni visibili e direttamente osservabili del corpo, per concentrarsi su variabili latenti e “teoriche” della persona (vedi Freud e Jung).
Concludendo, l’ossessione dello scienziato (dal medico allo psichiatra all’antropologo) è stata sempre quella di scovare una misura, se non addirittura, un sistema di misurazione delle caratteristiche prevalenti della personalità umana, in modo da predire il suo comportamento e il suo destino.

In verità, ci troveremo sempre di fronte a indicatori carenti capaci di predire la personalità, vista l’incapacità di conoscere la “vera” natura di una persona e, ogni sistema classificatorio sarà sempre basato su attributi “imperfetti”, poiché non si può conoscere il “vero” sistema.
Considerato ciò, ne consegue che non si può prescindere dalla presenza di uno psicologo che abbia in mente, almeno approssimativamente, il concetto del tratto che intende “misurare” e da un riferimento teorico. Sebbene ogni teoria possa anche essere scarsamente dimostrata, credo, comunque, non si possa farne a meno.

 

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