22 Novembre, 2024
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Rubrica benessere: traumi psicologici nella prima infanzia e relazioni genitoriali

Con “trauma psicologico” si intende l’effetto o la conseguenza che un avvenimento stressogeno di tipo fisico , psicologico o sociale, può avere sulla mente di un individuo.

Lo sviluppo cognitivo del bambino segue degli stadi in cui gradualmente si verrà a definire quella che sarà la personalità in età adulta e di conseguenza la matrice su cui si baseranno le future relazioni sociali; a seconda di quale stadio sia implicato in un trauma psicologico, le conseguenze si riverseranno direttamente sulle abilità e cognizioni che si staranno acquisendo in quel momento.

Alcuni autori sono concordi nel riconoscere che le esperienze primarie relazionali di tipo traumatico (Early Relational Traumatic Experiences, RTEs) possono predire il decorso psicopatologico nel corso della vita.

Non è solo un’esperienza psicologicamente traumatica a provocare un danno nello stato mentale; secondo la psicopatologia dello sviluppo, infatti, non basta la presenza di fattori quali paura e dolore.

Se contemporaneamente il soggetto si trova solo nell’affrontare l’evento traumatico, e quindi in assenza di relazioni sociali che possano intervenire fornendo protezione, questo può apportare un danno maggiore rispetto all’evento traumatico stesso. Un dolore intenso, o una minaccia alla propria vita, può essere superato senza danni psicologici se si può fare riferimento ad una figura di attaccamento valida.

In assenza di punti di riferimento tenderà a svilupparsi uno stile di attaccamento di tipo traumatico che influenzerà la capacità di elaborazione cognitiva dei vissuti emotivi al punto da dare loro una”tonalità” prettamente negativa.

Se la figura di attaccamento o caregiver, si mostra in grado di essere una “base sicura”per il proprio bambino di fronte ad un’esperienza stressante, le esperienze di realtà tendono a disorganizzarsi provvisoriamente in attesa di essere reintegrate in maniera adeguata, ma nei casi di grave mancanza affettiva ed emotiva e di abuso, il processo d’integrazione positiva viene a mancare, i modelli di relazione interiorizzati di conseguenza non saranno in grado di restituire una visione del mondo coerente e di conseguenza tutte le esperienze saranno dissociate tra loro.

Alcune ricerche hanno dimostrato che soprattutto le donne che abbiano subito abusi fisici o psicologici e relazioni primarie emotivamente trascuranti, mostrano di soffrire di ansia, depressione e altre difficoltà psicologiche gravi durante il passaggio alla maternità; le donne incinte infatti possono fare riferimento alle proprie rappresentazioni affettive di riferimento che si sono costruite durante la relazione con i propri genitori; relativamente alle esperienze traumatiche, più queste sono precoci più sono intense.

Ad esempio, i traumi subiti prima dei cinque anni di vita portano più facilmente ad avere sintomi correlati con la depressione, l’ansia e il disturbo post-traumatico da stress, oltre ad avere disturbi del sonno e la perdita di concentrazione e interesse in attività che una volta erano considerate divertenti. Le teorie in questo ambito sono molte e, negli ultimi vent’anni si sono sviluppate varie correnti: alcune di loro attribuiscono la responsabilità dei problemi psicologici materni conseguenti ad abusi o maltrattamenti sia alla storia infantile sia alla situazione attuale (come ad esempio maltrattamenti da parte del partner). Un’altra corrente di ricerca attribuisce il PTSD (Disturbo Post-Traumatico da Stress) a madri che sono sopravvissute a situazioni molto traumatiche come un abuso sessuale o fisico disastri naturali, perdita di un genitore, guerre, terrorismo, e situazioni traumatiche estreme quali l’olocausto. Altri autori ancora usano la teoria dell’attaccamento come impostazione di ricerca e hanno centrato l’attenzione sulle caratteristiche genitoriali di madri che hanno subito esperienze traumatiche e hanno collegato la loro mancanza di genitorialità ad una mancanza di elaborazione adeguata delle esperienze traumatiche vissute.

Alcune ricerche hanno dimostrato che quelle madri che abbiano vissuto esperienze traumatiche con conseguente sviluppo del PTSD si comportano spesso adottando uno stile genitoriale intrusivo e ostile nel corso del tempo, (comportamento che dura dall’infanzia fino all’età adulta) e i loro figli spesso mostrano sia sintomi internalizzanti (problemi su cui il bambino ripiega, senza esibirli in direzione degli altri, per es. ansia, fobie, eccessivo autocontrollo, preoccupazioni, timidezze, somatizzazioni) che sintomi esternalizzanti (problemi diretti verso l’ambiente e altre persone, per es. aggressività, disobbedienza, oppositività, iperattività).

Esiste quindi una complessa interazione tra funzione genitoriale e psicopatologia: i dati della letteratura e della ricerca mettono in evidenza che non si può non riconoscere che il ruolo del genitore abbia una responsabilità nella genesi e nel mantenimento del disturbo del figlio.

Uno degli aspetti più importanti emerso dalle ricerche recenti è la necessità di valutare le competenze di parenting: questo termine indica il processo psichico mediante il quale una donna e un uomo diventano genitori; questo processo non si innesca automaticamente con l’evento della nascita di un figlio, ma nasce all’interno dello spazio che i partner costruiscono nella propria mente al fine di contenere una rappresentazione mentale non solo del proprio figlio, ma anche di se stessi come genitori; tale spazio è strettamente connesso all’immagine dei propri genitori, del rapporto, reale e/o fantasmatico, instaurato lungo gli anni con loro e all’immagine di sé come figli.

Queste competenze vengono valutate non solo analizzando la psicopatologia del genitore e la sua gravità, ma anche il contesto in cui essa si esplica, prendendo in considerazione tutti i fattori, sia quelli che possono aggravare il quadro che quelli che ne riducono gli effetti negativi.

Bisogna quindi considerare la psicopatologia genitoriale come un fattore di rischio per lo sviluppo del bambino, di conseguenza è necessario coinvolgere i genitori nella psicoterapia del bambino o del ragazzo che presenta difficoltà a livello psicosociale, affettivo e comportamentale.

Dott.ssa Angela Cervoni

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