La vicenda Acea-Comuni resistenti si complica; mentre la prima sentenza del TAR accoglie le ragioni del Comune di Capena che ha affidato le funzioni relative al Servizio idrico integrato a un soggetto terzo, diverso da Acea, la seconda sentenza, pubblicata poco meno di un mese dopo, il 18 maggio, rigetta le istanze presentate da 8 comuni, tra i quali Capena, contro la diffida della Regione Lazio alla consegna ad Acea Ato 2 delle infrastrutture idriche comunali.
Alla chiusura di questo numero non è ancora stata pubblicata la terza sentenza del TAR che riguarda le medesime istanze presentate da 18 comuni del viterbese. L’avvocato Angelo Annibali del collegio di difesa dei comuni, sottolinea che non si tratta qui delle modalità di gestione, pubblica o privata, del Servizio idrico, bensì della possibilità di non cedere le infrastrutture idriche ad Acea in attesa che la Regione Lazio definisca i nuovi ambiti di bacino idrografici, per poi decidere come organizzarsi.
I comuni dispongono ancora di un margine di resistenza; potrebbero ricorrere al Consiglio di Stato o chiedere la sospensiva di un eventuale commissariamento.
A prescindere dalle “lungaggini” della Regione, l’applicazione dell’esito referendario appare sempre più lontana in un quadro legislativo, Sblocca Italia, legge Madia, legge quadro sull’acqua, che facilita, anzi, incoraggia se non impone, la privatizzazione di ogni cosa, gestione dell’acqua in primis.
Proprio di questo si è parlato, il 9 giugno scorso in un convegno intitolato “L’acqua è ancora un bene comune?”, organizzato dalla Cgil nazionale con Fabrizio Solari, segretario confederale della Cgil, Aldo Reschigna, coordinatore vicario Commissione Affari Istituzionali Conferenza delle Regioni, Maurizio Montalto, presidente azienda Acqua Bene Comune – ABC Napoli; Paolo Carsetti, Forum italiano dei movimenti per l’acqua pubblica, Riccardo Sanna, coordinatore Area politiche economiche e dello sviluppo Cgil nazionale e Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che ha concluso il convegno.
Il concetto di bene comune rappresenta un modello culturale di convivenza civile; non si può pensare che servizi essenziali come la sanità o l’accesso all’acqua potabile, appunto, siano soggetti alla speculazione finanziaria.
Il problema principale in Italia è l’assoluta insufficienza degli investimenti. Questa la scusa per invocare la gestione privata, industriale. Ma il privato non è garanzia di investimenti, anzi, basti pensare che, a Roma, il 47% dell’acqua distribuita si disperde nelle tubature fatiscenti. Le risorse necessarie si possono trovare, nella fiscalità generale perché le infrastrutture non sono soltanto autostrade e ponti, oppure in titoli dedicati a rendimento differito ma sicuro.
Spesso si dimentica il bell’esempio di Napoli dove l’azienda speciale ABC, dimostra che una gestione pubblica non è necessariamente inefficiente, Anzi, l’ABC fornisce un servizio di alta qualità, mantiene tariffe basse e ha chiuso il bilancio con un utile di 7 milioni di euro.
Alessandra Lombardi