Un primo bilancio, dopo tre mesi di intensa attività, faccia a faccia con gli studenti.
È stato attivato, infatti, a Febbraio, nelle due sedi dell’Istituto Superiore “Giuseppe Di Vittorio” di Ladispoli, il servizio di consulenza psicologica diretto dal Dott. Jacopo Paris. Fortemente voluto dalla Dirigenza scolastica e dallo Staff di Presidenza, nell’ambito di un articolato progetto finalizzato a contrastare il disagio giovanile, i comportamenti devianti e il fenomeno del drop out, lo sportello di ascolto, secondo il calendario previsto, doveva aprire le sue porte una volta alla settimana, sia nell’Istituto Alberghiero, sia nella sede del Tecnico Commerciale e Geometri. Ma il successo e le richieste crescenti da parte degli allievi hanno costretto il Dott. Paris a fare gli straordinari.
Nonostante le Circolari Ministeriali e i (non numerosissimi) Disegni di Legge presentati in Parlamento e mai convertiti, l’Italia rimane fra i pochissimi Paesi dell’Unione Europea (insieme solo a Cipro, Bulgaria, Grecia e Malta) a non aver riconosciuto ed “istituzionalizzato” la figura dello psicologo scolastico. Tanto per ragionare su qualche numero: la Francia ne conta 8000 nella scuola contro 6000 nella Sanità; la Spagna 7000 contro 4500; il rapporto psicologo-bambini è di uno per ogni 2000 in Italia e di uno su 1000 nei Paesi Scandinavi e si potrebbe continuare a lungo. Eppure l’esperienza da una parte e la ricerca scientifica dall’altra dimostrano senza ombra di dubbio l’esigenza crescente di una funzione come quella svolta dallo psicologo scolastico: figura “strategica”, che dovrebbe al più presto, per la sua specifica formazione, divenire “di sistema” all’interno di ogni Istituzione educativa, proprio perché in grado di rispondere ad una serie di problemi sempre più diffusi nelle scuole. Motivazione all’apprendimento, individuazione delle più efficaci strategie di mediazione dei conflitti all’interno del gruppo-classe, orientamento, comunicazione fra le diverse componenti dell’organizzazione scolastica, integrazione di alunni disabili o appartenenti ad altre culture: sono solo alcuni dei campi di intervento e di lavoro dello psicologo a scuola. Ma gli aspetti più importanti riguardano la prevenzione, come è noto, sempre migliore della cura. Riuscire ad instaurare un clima di collaborazione e di armonia aiuta a promuovere la motivazione all’apprendimento, facilita il rispetto delle regole, previene atteggiamenti di aggressività, di bullismo e ribellismo.
“Il successo riscosso dall’attività del Dott. Paris ci riempie di soddisfazione – ha dichiarato la Vicepreside dell’Istituto Alberghiero di Ladispoli Lucia Lolli –. Abbiamo lavorato intensamente per arrivare a questo traguardo. Chiunque operi nella scuola con passione e dedizione sa che si tratta di un ambiente in cui si insegna, si apprende e, soprattutto, si vive. Troppo spesso si continua ad insistere solo sulla trasmissione dei saperi e sull’aspetto cognitivo, ma la sfera psico-affettiva e relazionale è altrettanto importante. Un’istituzione educativa deve seguire con attenzione la crescita integrale ed armonica dei suoi allievi, la costruzione e lo sviluppo della loro personalità, assicurando quotidianamente la promozione del benessere e della salute. La presenza di un professionista preparato e disponibile come il Dott. Paris rappresenta un supporto ormai indispensabile per accompagnare i nostri studenti nel loro processo di maturazione e formazione”.
Dott. Paris, può stilare un primo bilancio sui tre mesi di attività all’interno dell’Istituto Superiore “Giuseppe Di Vittorio” di Ladispoli?
Lo Sportello di Ascolto e Consulenza Psicologica è stato attivato il giorno 08-02-2016 per poi concludersi il 25-05-2016, e presentato in via del tutto sperimentale al fine di valutare sia la richiesta da parte degli studenti dell’Istituto che l’impatto di tale servizio sulla qualità della loro esperienza scolastica, affettiva, relazionale o professionale.
L’iniziativa ha mostrato una rispondenza rilevante da parte dei ragazzi, i quali hanno accolto positivamente il progetto già a partire dalla sua presentazione, svoltasi nell’Aula Magna di ogni rispettiva sede dell’Istituto a metà Febbraio. In poco più di tre mesi di attività dello Sportello, 52 gli studenti che hanno richiesto almeno una seduta, rispettivamente 29 della sede centrale di Via Yvon de Begnac, e 23 della sede di Via Gaetano Federici. L’afferenza allo Sportello risulta apprezzabile se si tiene a mente che il progetto è stato presentato in via ufficiale esclusivamente agli studenti delle classi quarte e quinte, e per ragioni di tempo e per via della loro maggiore esposizione a situazioni destabilizzanti, derivanti dalla vicina conclusione del percorso di studi superiore e quindi dal naturale e comprensibile bisogno di ridefinire la propria identità professionale ed esistenziale.
Il progetto ha avuto una durata di 15 settimane per un totale di 260 ore circa. 6, il numero medio di sedute per studente. Gli obiettivi prefissati riguardavano nello specifico: la prevenzione del disagio evolutivo, dei comportamenti a rischio e della condotta deviante, l’orientamento professionale e la promozione di competenze affettive e relazionali.
Per via di una personale refrattarietà a questionari e strumenti testistici, non è stato somministrato materiale di valutazione al termine dell’attività; rimetto quindi al corpo docente, alle famiglie, ma in primis agli studenti stessi il giudizio circa gli effetti della partecipazione allo Sportello sul benessere scolastico, professionale, affettivo o interpersonale.
Lo sportello di consulenza da Lei gestito ha riscosso un successo straordinario fra gli studenti, letteralmente in fila davanti alla sua porta. Come spiega questa domanda crescente di “psicologia scolastica” e come prevede di affrontarla nel corso dell’anno che sta per prendere il via?
Il fenomeno non risulta ristretto al solo ambito scolastico. La richiesta della figura dello psicologo è in continuo aumento in diverse realtà professionali: dagli enti di ricerca, alle scuole, alle aziende, alle società sportive, fino all’ambito privato. Tale domanda riflette forse un cambiamento di natura culturale che coinvolge direttamente gli operatori della salute mentale. In una realtà sociale che diviene sempre più complessa, e per via della rivoluzione tecnologica, che ha letteralmente stravolto, in bene come in male, il nostro quotidiano, e per l’enorme quantità di informazioni e stimolazioni che colpiscono l’apparato mentale, ci troviamo non solo sempre più proiettati verso l’esterno, verso obiettivi che spesso poco hanno a che fare con il benessere personale, ma soprattutto ci riscopriamo soli ad affrontare un mondo in continuo divenire, in assenza di punti di riferimento, spesso senza essere in possesso delle competenze necessarie per fronteggiare tale realtà. Il sentirsi proiettati verso l’esterno, verso un quotidiano sempre più frenetico che ci induce a risparmiare tempo per continuare a velocizzare la realtà, ha prodotto una reazione opposta e di pari intensità. L’individuo, i giovani in particolar modo, spesso “rallentano”, per rivolgere attenzione e risorse alla propria realtà interiore. Così, come conseguenza di questa brusca “frenata mentale”, emerge alla consapevolezza il naturale e sano bisogno di relazione, di accoglienza, la necessità di un contesto isolato dalla propria realtà quotidiana, totalmente intimo e personale, dove il tempo, per un’ora circa, è dedicato all’esplorazione di sé, alla comprensione delle proprie inclinazioni e alla scoperta dei reali bisogni personali, i quali, di frequente, richiedono obiettivi diversi da quelli che ci eravamo prefissati.
A rinforzare tale recupero della dimensione interiore vi è l’accresciuta consapevolezza circa le competenze dello psicologo, rappresentato oramai non più come pseudo-guaritore o come figura associata al deficit psichico, ma come esperto del funzionamento mentale in grado di promuovere le funzioni riflessive dell’individuo, modificando così aspetti disfunzionali del proprio modo di pensare, sentire o relazionarsi. Richiedere aiuto, aspetto assolutamente sano e predittivo di una buona funzionalità affettiva e relazionale, non sembra ad oggi, almeno per i più, un colpo inferto all’immagine di sé. A dimostrazione di ciò vi è la serenità con cui la maggior parte degli studenti dell’Istituto Di Vittorio dichiaravano apertamente di utilizzare lo Sportello di Ascolto e Consulenza Psicologica. Anche se la figura dello psicologo non è stata totalmente normalizzata, e qualche segno di imbarazzo, retaggio di vecchie concezioni, è ancora presente nella popolazione, la situazione sta visibilmente mutando e chi si rivolge ad uno psicologo non è più additato ed etichettato come deficitario. Al contrario, spesso la richiesta di aiuto e l’accettazione dei propri limiti sono riconosciuti come virtù.
Il progetto relativo allo Sportello di Ascolto e Consulenza Psicologica dell’Istituto Di Vittorio è stato presentato per l’Anno Scolastico 2016-2017 in forma pressoché invariata rispetto allo scorso anno. L’obiettivo è quello di offrire agli studenti dell’Istituto una continuità delle sedute e la possibilità di usufruire dello Sportello ogni volta che ne avvertano la necessità, consentendo loro di affrontare il prima possibile le problematiche all’interno del colloquio ed evitare la spiacevole e controproducente posticipazione a lungo termine delle sedute.
Ha notato differenze nella gestione dello Sportello all’interno delle due sedi (Alberghiero e Tecnico Commerciale/Geometri), rispetto al numero di studenti, alla tipologia di problematiche, alle richieste di supporto e di aiuto?
Non ho riscontrato alcuna differenza. Lo Sportello ha goduto del supporto della preside Prof.ssa Vincenza La Rosa, del corpo docenti e del personale A.T.A., che ringrazio per la collaborazione e la fiducia dimostratemi. La figura dello psicologo in ambito scolastico ha poco senso se fine a se stessa, se non inserita in un contesto cooperativo che consente ai diversi attori della realtà scolastica di creare un clima emotivo tale per cui i giovani possano sentirsi protetti e accolti, in grado di validare le loro esperienze soggettive, promuovendo così le loro competenze affettive e relazionali.
La differenza circa il numero di studenti tra le due sedi non risulta significativa così come le differenze di genere; le ragazze hanno usufruito dello Sportello in numero doppio rispetto ai ragazzi (nello specifico, 17 Maschi vs. 35 Femmine, per entrambe le sedi). Il dato non sorprende considerando le immagini maschile e femminile proprie della società occidentale contemporanea. La prima che promuove indipendenza, autonomia e introversione, la seconda maggiormente rivolta alla dimensione relazionale ed affettiva.
Lo stesso vale per le problematiche riportate dagli studenti nelle sedute, le quali rientrano appieno in quelle descritte all’interno degli obiettivi prefissati del progetto.
Come descriverebbe la sua attività all’interno di un Istituto scolastico, anche confrontandola con quella che svolge in diversi contesti professionali?
La scuola rappresenta una realtà incredibilmente complessa, come del resto ogni azienda ed organizzazione composta da molti attori, ruoli, norme ed obiettivi. Ciò che rende tale contesto ancora più arduo da gestire è l’incontro tra la complessità dello scopo prefissato, ovvero la formazione degli studenti, e la peculiare condizione psicologica di questi ultimi, che si trovano a dover fronteggiare bruschi cambiamenti interni ed esterni in un lasso di tempo assai breve, spesso senza possedere le competenze affettive necessarie per mantenere una stabilità emotiva e vivere tali cambiamenti, tanto naturali quanto destabilizzanti, nel modo più sereno possibile. La funzione dello psicologo in ambito scolastico è dunque in prima battuta una funzione di contenimento, sia delle difficoltà del giovane, sia degli eventuali conflitti che possono nascere all’interno della complessa rete relazionale propria del contesto organizzativo all’interno del quale è inserito lo studente. Secondo poi, e fine ultimo della psicologia adolescenziale oltre che scolastica, l’obiettivo è il potenziamento delle abilità sociali, affettive e relazionali del giovane. Lo scopo è quello di offrire un contesto, annesso ma allo stesso tempo distaccato dalla realtà quotidiana scolastica o familiare, dove l’attenzione si disancora dai fenomeni esterni per rivolgersi verso la dimensione interiore, verso le proprie competenze e potenzialità, al fine di trovare risposte nuove, più complesse e funzionali utili a fronteggiare la condivisa e fisiologica sofferenza psichica propria del nostro essere umani. Il focus si sposta dunque dal problema esterno per rivolgersi alle personali capacità di risoluzione, in una dimensione, quella del colloquio, dove l’esplorazione di sé diviene possibilità di cambiamento. Non è questa la sede per definire i processi che favoriscono o ostacolano quest’ultimo; basti dire che la promozione delle capacità riflessive insite in ognuno di noi, all’interno di un contesto relazionale totalmente neutro, quale quello della seduta, ci consente di inibire risposte impulsive e disfunzionali per trovarne di più complesse, meno arcaiche e più inclini al benessere personale, spesso anche altrui.
Per ciò che concerne le differenze tra le prestazioni e i servizi offerti dallo psicologo in differenti contesti lavorativi, la pratica attesta tante analogie quante differenze.
Svolgo la mia attività professionale prevalentemente all’interno di due contesti: la scuola e lo studio privato. Inoltre, in veste di psicologo referente dell’ANDOS (Associazione Nazionale Donne Operate al Seno) – Comitato di Ladispoli, svolgo attività di assistenza psicologica in ASL e Consultorio. Per quanto le problematiche riportate da studenti e pazienti (non me ne vogliano i colleghi se non uso il termine cliente), per la maggior parte adolescenti, siano sovrapponibili, ciò che per prima salta agli occhi è la differenza tra i setting. Brevemente, il termine setting sta ad indicare il contesto non solo fisico (le caratteristiche dello studio o della stanza in cui viene svolta la seduta, gli eventuali rumori di fondo etc.) ma anche normativo, il quale definisce la relazione tra psicologo (o psicoterapeuta) e paziente; ad esempio l’orario e la durata delle sedute, l’onorario e le modalità di pagamento, l’assenza di contatti al di fuori delle sedute etc. Sulla base della personale esperienza sento di poter affermare che la seduta all’interno del contesto scolastico è vissuta, sia da me, ma credo anche dallo stesso studente, in maniera meno formale rispetto quelle svolte in studio, dove il setting risulta più rigido e la distanza professionale definisce in modo netto i confini della relazione. Credo di non essere troppo lontano dal vero nell’affermare che lo psicologo scolastico, soprattutto se non eccessivamente distante in termini di età dagli studenti, venga vissuto un po’come una figura a metà tra la distanza istituzionale e la confidenzialità. Aspetto questo non da sottovalutare data la necessità del giovane di percepire tanto l’autorevolezza delle figure di riferimento quanto la loro vicinanza protettiva ed affettiva.
Altre variabili che impattano sulla relazione psicologo-paziente sono la sicurezza (intesa qui nei termini di intimità e privacy percepite) del luogo fisico dove avviene la seduta – chiaramente inferiore all’interno del contesto scolastico, dove la percezione di una realtà neutrale e, almeno in parte, distaccata dalla quotidianità è ridotta per via della familiarità e dei diversi scopi della ‘dimensione scuola’ – e i limiti di tempo e spazio completamente differenti rispetto al contesto privato.
Ad ogni modo, ciò non certifica che la persona, sia essa studente o paziente, possa trarre più o meno beneficio in un contesto piuttosto che in un altro. L’incontro e la relazione tra operatore della salute mentale e paziente è una dinamica estremamente complessa che coinvolge le variabili personali tanto dello psicologo quanto della persona che richiede aiuto. Gli effetti di tale incontro sono rimessi alla variabilità individuale.
Rispetto agli altri 27 Paesi dell’Unione Europea, l’Italia resta fra i pochissimi (insieme solo a Cipro, Bulgaria, Grecia e Malta) a non aver riconosciuto ed istituzionalizzato la funzione dello psicologo scolastico. Che cosa si sentirebbe di suggerire ai nostri legislatori per sensibilizzarli e convincerli dell’importanza del ruolo di questo professionista, affinché diventi al più presto una vera e propria “figura di sistema” all’interno delle scuole?
Lascio che parlino i dati. Non ultimi quelli dell’indagine svolta lo scorso anno dall’Ordine degli Psicologi del Lazio sulla presenza e gli effetti percepiti dell’attività dello psicologo in oltre 1000 strutture scolastiche laziali di ogni livello (scuole dell’infanzia, primarie, secondarie). I risultati dello studio mostrano chiaramente l’incremento della presenza e della richiesta dello psicologo all’interno del contesto scolastico. Il grado di utilità ed efficacia percepita del servizio psicologico da parte delle scuole “aumenta proporzionalmente al numero di ore settimanali dedicate in via continuativa allo sportello di ascolto” (cit. http://www.ordinepsicologilazio.it/risorse/la-scuola-inclusiva/).
Ad ogni modo, tali dati mostrano in piccolo un fenomeno che ha, anzi, potrebbe avere delle ripercussioni enormi su larga scala. In breve, la salute è oramai riconosciuta come un complesso processo che coinvolge la dimensione fisica, psichica e sociale dell’individuo e non la mera assenza di malattia o problematica organica. La mente, in quanto funzione biologica, e quindi “organica” nella piena accezione del termine, ha un impatto enorme sullo stato dell’intero organismo. Siamo sempre più prossimi alla comprensione degli intricati meccanismi che collegano pensieri ed emozioni alla cosiddetta salute “fisica”, all’impatto della nostra affettività sulla funzionalità del sistema immunitario. L’individuo non è in alcun modo dissociato in due dimensioni, quella del corpo e quella della mente, bensì caratterizzato da un’unità psicofisica inserita in una dimensione sociale. In funzione di ciò, la cura dell’anima, la promozione del benessere affettivo e relazionale, diviene attività sanitaria necessaria per massimizzare le probabilità di vivere una sana e dignitosa esistenza. In questo, tanto le Istituzioni quanto la popolazione generale dovrebbero aderire maggiormente al modello dei paesi anglofoni, dove la figura dello psicologo è ovunque, a livello sia statale che privato.
Sembra che le cose stiano cambiando anche in Italia, dove la popolazione generale, giovani compresi, si sta aprendo sempre più al dialogo con gli esperti della salute mentale, riconoscendone competenze e utilità; dove i servizi psicologici sono continuamente richiesti ed inseriti nei più disparati contesti professionali (enti di ricerca, aziende, scuole, ospedali etc.); e dove sempre più viene accolta la rivoluzione del paradigma di riferimento delle discipline sanitarie. Chissà, forse, più in là, la figura dello Psicologo di Base diverrà una realtà nazionale.