Il 9 ottobre prossimo si vota per eleggere il nuovo Consiglio della Città Metropolitana di Roma Capitale. Purtroppo sono ancora solo elezioni di secondo livello, ovvero votano solo i sindaci e i consiglieri dei Comuni della ex Provincia Roma; oltretutto si tratta di un voto ponderato, il cui peso è commisurato al numero di abitanti di ciascun Comune.
Le perplessità di quanti temevano, e temono, il peso preponderante degli interessi di Roma rispetto alle esigenze degli altri 120 comuni del territorio sono state in parte accolte dallo Statuto della Città Metropolitana di Roma Capitale, approvato a fine dicembre 2014, che prevede l’elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitano. Ma non basta: la legge Delrio richiede che il Comune capoluogo abbia costituito zone dotate di autonomia organizzativa, che il resto del territorio sia suddiviso in zone omogenee, che la Regione approvi questo riordino e che lo Stato emani un’apposita legge elettorale, senza contare un referendum tra gli abitanti interessati. Nel caso di Roma, si pensa di riprendere le zone omogenee dalla legge per le elezioni della Provincia, mentre gli attuali Municipi potrebbero essere trasformati in comuni urbani.
Il vero problema è costituito da quello che la legge Delrio definisce “riordino delle funzioni”, ossia la ripartizione delle competenze e delle relative risorse finanziarie, tra Stato, Regione e Città Metropolitana, ulteriormente complicata dalle funzioni di Roma Capitale.
Già così, senza gli sconvolgimenti richiesti per l’elezione diretta, il riordino delle funzioni è in alto mare. Chi, all’epoca dell’approvazione della Delrio denunciava la troppa fretta può oggi avere la magra consolazione di dire: come volevasi dimostrare. Infatti, il riordino delle funzioni avrebbe dovuto essere definito preventivamente, a seguito di una riflessione approfondita sull’indirizzo che si vuole dare alla gestione di un’aera vasta.
La sensazione che si riscontra in molti amministratori dei comuni dell’ex Provincia di Roma è che l’entusiasmo delle alte sfere si sia esaurito con l’abolizione delle Province e vivono male questa fase transitoria infinita. Sarà interessante a tal proposito vedere il 9 ottobre l’affluenza ai seggi di sindaci e consiglieri aventi diritto al voto, in tutto poco più di 1600.
Si vota il 9 ottobre anche nelle Città metropolitane di Bologna, Napoli, Milano e Torino. Gli statuti di Napoli e Milano prevedono l’elezione diretta, mentre quelli di Bologna e Torino no.
Più esplicito lo statuto della Città Metropolitana di Venezia, dove non si vota il 9, che prevede l’elezione diretta, sempre che “non sia necessario articolare il territorio in più comuni”.
Alessandra Lombardi