Gen. Nicola Tauro, presidente dell’Associazione Nazionale Amici della Scuola di Artiglieria. Avete dedicato il calendario di quest’anno alle donne. Come mai?
Lo abbiamo considerato un atto dovuto. Quando si parla della Grande Guerra, il pensiero corre subito alle trincee fangose e al dramma di quei soldati in una guerra di posizione che da breve che doveva essere, almeno nelle intenzioni, si trasformò in un lungo, estenuante e sanguinosissimo conflitto. Ci si dimentica che dietro al numero impressionante di caduti su tutti fronti di guerra, (tra i 15 e i 17 milioni), a coloro che ritornarono dalla guerra con i segni indelebili delle mutilazioni e dei disturbi mentali, come a quelli che tornarono portando sulle spalle il solo peso di un brutto ricordo, ci sono state madri, mogli, sorelle e fidanzate. Donne che in misure e maniere diverse hanno anch’esse combattuto quella guerra.
Che ruolo ha svolto la donna durante la Grande Guerra?
Nella pagina di apertura del calendario abbiamo titolato “l’angelo del focolare scende in campo”. È stata, se vogliamo, una scelta obbligata. Gli uomini che andavano al fronte lasciavano scoperte attività fino ad allora considerate prettamente maschili e che, comunque, dovevano essere ricoperte e addirittura in misura maggiore a causa dello stato di belligeranza della nazione. C’era da rifornire il fronte di armamenti, viveri, medicinali, vestiario e c’era l’esigenza di far marciare comunque il Paese, con i suoi tram, treni, poste e tutti gli altri servizi necessari. La donna si è dimostrata capace di prendere sulle proprie spalle il peso di certe incombenze che la dominante classe maschilista dell’epoca riteneva inadatte a svolgere. Ritengo significativa un’immagine di un manifesto inglese che abbiamo messo nel calendario. È la pubblicità dello Skerry’s college. In essa, una donna con piglio da manager dell’epoca e la dicitura “A women must fill a man’s place”, ovvero “Una donna deve riempire il posto di un uomo”.
Con che criterio sono state scelte le immagini all’interno del calendario?
I dodici mesi dell’anno sono stati divisi in sei bimestri, ciascuno dei quali dedicato ad una delle attività che hanno visto il maggiore impegno femminile: donne coinvolte nelle operazioni belliche, come le Portatrici della Carnia e del Trentino; nelle fabbriche di armamenti e munizioni; nei servizi pubblici, fabbriche e miniere; in agricoltura; nella Croce Rossa e, infine, nelle opere assistenziali. Una sezione l’abbiamo dedicata alle cartoline e l’abbiamo titolata “Le ragazze (di carta) del soldato”. Erano le cartoline che tenevano vivi i legami con parenti e amici e che accompagnavano il soldato raccolte nello zaino o piegate in una tasca. In quei rettangolini di cartoncino che oggi definiremmo un po’ kitsch, c’è l’elemento femminile in tutte le sue accezioni, dalle migliori, alle peggiori.
Siete usciti dai confini italiani e avete esteso l’argomento a tutte le donne. Perché?
In quella catastrofe che fu quella guerra, tutte le donne, sotto tutte le bandiere, hanno fatto la medesima cosa. Lo hanno fatto per il proprio Paese e per i propri cari. Non c’è differenza tra l’una e l’altra. Anche per questo non abbiamo voluto mettere didascalie sotto le immagini, salvo due casi in cui pensavamo fossero indispensabili alla loro comprensione.
C’è una sezione in cui si parla di “quattro donne proprio speciali”. Vogliamo parlarne?
Sono quattro donne che la guerra l’hanno fatta per davvero sul fronte: l’italiana Maria Plozner Mentil, medaglia d’Oro al V. M. , portatrice della Carnia uccisa da un cecchino austroungarico durante uno dei suoi tanti viaggi a piedi per rifornire gli Alpini sull’alto But; l’austriaca Viktoria Savs che si finge uomo per combattere vicino al padre Peter sul fronte dolomitico; la russa Marija Leont’evna Bočkarëva, fondatrice del Battaglione femminile della morte che combatte con onore nella battaglia di Smarthon in Bielorussia nel luglio del ’17 e, infine, l’inglese Edith Louisa Cavell, crocerossina fucilata in Belgio dai tedeschi per aver curato e fatto riparare nei neutrali Paesi Bassi soldati sbandati degli eserciti belga, inglese e francese.
Chiudiamo con un commento sull’interessante contributo che ha dato la professoressa Silvana Casmirri.
La professoressa Casmirri, con la puntualità e l’efficacia narrativa che la distingue, è stata capace, in meno di mezz’ora, di fornire un quadro dettagliato del complesso panorama socioculturale che, nelle varie nazioni, ha prodotto il radicale cambiamento del ruolo della donna nella società. Un ruolo che avrebbe dovuto anche prevedere il diritto al voto e quindi alla piena cittadinanza. Cosa che in altri paesi avviene quasi subito dopo la Grande Guerra, mentre per l’Italia bisognerà superare un’altra guerra e arrivare al 1945, per le elezioni amministrative e al 1946, per quelle politiche.