Il 3 novembre scorso il Tar del Lazio ha depositato le motivazioni con le quali il collegio giudicante ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Costruiamo il domani. Consigliere Dominici, alla fine le motivazioni sono arrivate. Il ricorso è inammissibile.
«Cioè non respinto, o rigettato. Inammissibile significa –precisamente – che il percorso del giudizio non viene intrapreso per la mancanza di qualche requisito giuridico. Il Tar non ha giudicato. E gli esperti dovrebbero avere a cuore il corretto uso delle parole nella loro materia, invece di accreditare – come ha fatto il consigliere Del Savio sulla edizione web di questa testata – versioni del diritto ad uso personale».
Che significa “il Tar non ha giudicato”?
«Il nostro ricorso non è stato ammesso al giudizio – cioè non sono stati approfonditi e valutati nel dettaglio gli indizi di irregolarità che abbiamo segnalato – perché il giudice ha ritenuto che fosse necessario collegare specificamente tali indizi (i cosiddetti “princìpi di prova” indicati nelle motivazioni) a singole – specifiche – persone. In questo senso, la sentenza parla di “genericità” e dice che il ricorso non ha superato la cosiddetta “prova di resistenza”».
Come mai questo passaggio non è stato fatto?
«Perché per farlo era necessario acquisire gli elenchi di chi aveva effettivamente votato. Nomi e cognomi trasmessi dal comune di Trevignano al Tribunale di Civitavecchia, assieme a tutta la documentazione elettorale di giugno. Noi per primi, quando stavamo valutando se ricorrere o meno, abbiamo chiesto al Comune e a quel Tribunale le attestazioni di voto. Ma in quanto privati cittadini non abbiamo avuto accesso a informazioni ritenute per legge riservate».
Decidendo ugualmente di fare ricorso, però, vi siete assunti consapevolmente un rischio.
«Abbiamo chiesto che l’approfondimento lo facesse il giudice, prendendo atto che per noi era impossibile andare oltre. Il giudice avrebbe potuto accedere agli elenchi legittimamente e questa verifica avrebbe consentito una valutazione e un giudizio di merito. Purtroppo il Tar ha ritenuto invece di non farla e, per la verità, di non procedere a nessun altro tipo di approfondimento: neppure al comune di Trevignano, per esempio, è stato chiesto di presentare la “prova regina”, che avrebbe chiuso del tutto la questione, e cioè la documentazione relativa agli ammessi al voto nelle liste aggiunte».
Quindi il vostro commento rimane quello pronunciato a caldo?
«Come abbiamo visto, i nostri “princìpi di prova” sono stati ritenuti generici e le informazioni che potevano renderli “probanti” – in documenti che solo il giudice poteva consultare – non sono state consultate. Il giudice non ha verificato puntualmente e nel merito i nostri rilievi e in forza di questo meccanismo è stata dichiarata anche l’inammissibilità del nostro ricorso. In altre parole, non c’è stato giudizio. E quindi le verifiche che abbiamo richiesto restano del tutto fondate anche dopo la sentenza».
Avete ancora la possibilità di appellarvi al Consiglio di Stato. Lo farete?
«Stiamo valutando con calma e ci prendiamo tutto il tempo che la legge ci dà per decidere».
Però portare il giudizio per le lunghe farà aumentare anche i costi. Il Comune di Trevignano dovrà sostenere altre spese. Come rispondete a questa accusa?
«Il Comune di Trevignano Romano poteva costituirsi anche attraverso un proprio funzionario, o un dirigente. La legge lo consente. Incaricare un avvocato esterno al Comune, e prevedere quindi dei costi di difesa, è stata una scelta precisa, certamente non obbligatoria e sicuramente evitabile. Tanto più che gli amministratori hanno sbandierato da subito la loro convinta opinione sugli esiti del ricorso. Per questa difesa – ripeto, evitabile e non obbligatoria – è stata caricata sulle casse comunali una spesa di oltre 8 mila euro… Perché? Siamo noi a chiederne conto».
Forse perché i nuovi amministratori puntavano a tutelare al meglio l’operato degli uffici e l’immagine del Comune?
«Si, posso capirlo. Ma per far questo non è necessario raddoppiare avvocati e costi. Va ricordato che anche alcuni consiglieri di maggioranza – separatamente – si sono costituiti in giudizio. E che il testo del loro ricorso è praticamente identico a quello del Comune. O, se si preferisce, che il Comune ha usato un testo di ricorso proprio identico a quello presentato dai consiglieri di maggioranza. Insomma, due studi legali hanno lavorato per produrre, alla fine, un atto identico. E’ questo fatto a suggerirci che forse bastava incaricarne uno solo. E bastava anche che, a pagare, ci pensassero i soli consiglieri di maggioranza, senza scomodare le casse comunali. Pure noi, per agire in giudizio, abbiamo cercato assistenza. Ma lo abbiamo fatto pagando l’avvocato di tasca nostra, con l’aiuto e il contributo di tanti trevignanesi, senza gravare sulle casse pubbliche. E allora, di chi sono le responsabilità maggiori? Di chi chiede una verifica di legittimità nell’interesse di tutti – ma spendendo soldi propri – o di chi spende soldi pubblici, pur potendo evitare di farlo? I trevignanesi possono giudicare».
Alessandra Lombardi