Saramago era un grande scrittore, anzi un grandissimo del nostro tempo. Portoghese, nato nel 1922 e scomparso nel 2010, ha dato ampia e schietta testimonianza della sua personale esperienza in un secolo sconvolto da ferocia ed ideologia. Ma in modo pacato, ironico, spesso sorprendente e sempre sincero. Non amava il potere che considerava una strumento di controllo e quindi nemico della libertà, il valore più prezioso ed autentico dell’Uomo. Non era nemmeno molto amico della Chiesa anche se accettava i suoi dogmi che confessava di non capire. Questo libro è del 1997 e secondo molti fu decisivo per l’assegnazione del Premio Nobel nell’anno successivo. Narra di Gesù Cristo che affronta tutte le esperienze narrate nel Vangelo senza mai, neppure per un solo istante, dimenticare di essere un uomo. Con grande semplicità e senso del divino ma sempre in modo umano, vive la sua avventura travolto dai dubbi e conscio di essere solo una pedina nelle mani di un Dio Padre molto, troppo distante. Sa che se furono realmente miracoli alcune cose che fece, non furono conseguenza della sua fede ma solo segno della grandezza del Signore e sa anche che non ha alcuna possibilità di sfuggire al destino pronto per lui. Un destino progettato da tempo e che coinvolge tutta la sua famiglia, suo padre che sognava la sua fine per mano dei romani, Maria, madre inconsolabile e cosciente dell’orrore già scritto nel suo futuro e perfino tutti i suoi fratelli. Infine la sua vicinanza con Maria Maddalena, donna perduta per colpa del suo esecrabile mestiere ma resa nobilissima dal suo animo puro e dal profondo amore che gli porta, che l’accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni. Certo qualcuno, leggendo quest’opera narrativa, che di questo si tratta, potrebbe storcere il naso perché non è così che il Salvatore viene descritto dai canoni religiosi. Ma il personaggio rivisitato da Saramago, con la sua pietà ed il suo dolore ci è vicino più di molti altri.