Gli ultimi, ma non ultimi, episodi di malfunzionamenti, guasti, incidenti, anche se il termine viene utilizzato in forma non corretta, pongono inequivocabilmente il dilemma se alcuni servizi o prestazioni possono essere gestite da privati e non dal pubblico servizio, seguendo le logiche del mercato (che privilegia i profitti) oppure quelle dell’interesse pubblico.
La problematica, per rispondere ad esigenze dell’economia, iniziò nei primi anni ’90 con l’ENEL l’ENI per poi proseguire in altri settori quali Sanità, Acqua, Trasporti, Energia, Poste, etc.
L’inefficienza o la lentezza dei sistemi statali, dovuta in parte all’eccessiva burocrazia e sistemi di controllo complessi o non aggiornati alle nuove esigenze, e in parte al dilagare del malaffare a vari livelli, hanno avuto buona risonanza per scardinare il sistema statale.
A distanza di anni si può affermare, senza timori di dubbi, che a fronte di risultati positivi per le singole aziende, i presunti vantaggi per i consumatori sono quasi del tutto inesistenti. Innanzitutto, bisogna partire dal teorema che il privato, qualunque sia la forma societaria, ha come obiettivo il massimo guadagno con il minimo investimento; anche le eventuali sanzioni che la Pubblica Amministrazione può esigere per inadempienze, visto anche la lentezza della chiusura definitiva dei processi, sono di scarsa entità a fronte dei danni subiti dai consumatori. Ma il discorso si estende anche al settore pubblico, laddove si affidano servizi essenziali a SPA, miste pubblico-private o 100% pubbliche, che godono di ampia autonomia e hanno come obiettivo l’utile da distribuire agli azionisti: un caso esemplare e l’ACEA di Roma.
Settore Energia– ENEL si occupa della produzione, mentre TERNA della distribuzione con il controllo di Cassa depositi e prestiti e Cdp Reti, che possiede anche il 30% di Snam; ma ben il 35% di Cdp Reti è di State Grid Corporation of China, la più grande azienda di servizi elettrici del mondo e proprietà dello stato cinese. ENEL, essendo un’impresa a carattere mondiale, ha investimenti in oltre trenta paesi di quattro continenti realizzando oltre il 50% del suo fatturato all’estero con una decurtazione dei suoi dipendenti in Italia dal ’90 a oggi di circa un terzo. E per i consumatori? niente: bollette illeggibili, alla minima calamità naturale, vedi nevicate, mancata erogazione dei servizi, costi aggiuntivi, vedi ad esempio la dismissione delle centrali nucleari, aggravi poco chiari e aumenti dovuti al costo dei combustibili, ma quando il costo delle materie prime cala la riduzione per il consumatore sono minime.
Per il gas la situazione è similare.
Anche per le POSTE il servizio è peggiorato con uffici chiusi perché dislocati in zone non redditizie, la distribuzione viene appaltata, in alcuni casi a ditte private. e rischia di peggiorare ancora se l’ultima tranche verrà davvero venduta dallo Stato
Settore Trasporti– Le ex Ferrovie dello Stato sono state anch’esse soggette alla divisione in TreniItalia e RFI, secondo la logica di separare la gestione della rete ferroviaria dalla gestione delle flotte di treni: da una parte ciò ha stimolato la realizzazione delle linee ad alta velocità, seppure non a livelli europei, dall’altro lato si è avuta riduzione e declassamento delle linee regionali, per non parlare delle linee urbane e extraurbane.
Come sopra detto, essendo questi settori, una volta ritenuti strategici per il paese, in mano privata hanno subito un notevole decremento negli investimenti nell’adeguamento alle nuove tecnologie, ma sopra tutto nella sicurezza: disastri ferroviari, disastri stradali, disastri ambientali. I disastri ferroviari troppo spesso derivano da: promessa di eliminare la quasi totalità dei passaggi a livello non mantenuta, sistemi di sicurezza vetusti (vedi incidente tra Corato e Andria dove perirono 27 persone e sembra causato da una mancata comunicazione telefonica tra i due treni), palleggiamento di responsabilità del disastro di Viareggio di circa 8 anni fa tra i responsabili italiani e quelli stranieri proprietari di alcuni vagoni merci.
Ma come affermato sopra, la sicurezza e la manutenzione sono considerati costi non prioritari e si accantonano cifre non adeguate.
Quanto avvenuto a Genova è emblematico di quanto sia necessario e obbligatorio agire contemporaneamente in due direzioni:
1) aggiornare e innovare profondamente la filosofia dei controlli;
2) rivisitare criticamente i processi di privatizzazione dei settori strategici, tornando ad una gestione pubblica, trasparente, con una reale partecipazione dei cittadini alle scelte e al controllo della gestione.
Al di là di polemiche o facili strumentalizzazioni, è bene ricordare che se è vero che il nostro territorio è quasi totalmente sismico e soggetto a dissesti idrogeologici, abbiamo permesso un consumo del territorio eccessivo, (vedi sanzioni varie da parte dell’Europa), un abusivismo che non ha paragoni, salvo fare cassa con perdoni/condoni. La prevenzione è sistematicamente ignorata, nonostante possediamo conoscenze avanzate per il monitoraggio e il controllo delle strutture e del territorio in generale, “dimenticando” che gli oneri per la prevenzione sono senz’altro inferiori ai costi per le riparazioni, risarcimento danni a cose o peggio a persone.
Esempi pratici: nelle infrastrutture, in fase di realizzazione, è possibile inserire fibre e sensori per il monitoraggio in continuo dell’invecchiamento e degli stress dei materiali (specialmente laddove si impiega calcestruzzo, cemento armato o cemento armato precompresso come nelle opere più importanti), con un costo veramente esiguo rispetto al costo finale del manufatto. Tali sistemi di “diagnostica e controllo” possono esser usati ampiamente, ad esempio su opere già realizzate, per l’adeguamento sismico o più in generale per il controllo della stabilità di opere importanti, a cominciare da ponti e viadotti di cui il nostro Paese e ricco vista la sua conformazione orografica.
Settori servizi- Acqua. Nonostante ben due referendum, essendo l’acqua bene prioritario, avessero ribadito la non cessione da parte dei Comuni o Regioni della gestione a società private o miste pubbliche/private, si è negata anche in questo caso la rilevanza del bene comune per preferire l’interesse economico e finanziario. La vicenda della captazione dal bacino del lago di Bracciano è emblematica: nessun possibile controllo sulla quantità di acqua da parte dei tre Comuni affacciati sul lago, nessuna possibilità di rinegoziazione del contratto stipulato circa 40 anni fa, nessun rispetto per i danni sociali e ambientali, ma solo guadagni per gli azionisti di ACEA SPA (51% Roma Capitale, 23.33% la multinazionale Suez, 5.01% Caltagirone, 20.66% mercato). Si è assistito ad una progressiva “finanziarizzazione” del servizio idrico, attraverso un sistema si “scatole cinesi” ACEA – ACEA ATO2 (quest’ultima SPA che fa capo ad ACEA), con la conseguenza di lauti guadagni per gli azionisti privati e per quello pubblico (che utilizza tali introiti per tentare di ripianare il bilancio complessivo di Roma. Risultati: investimenti del tutto insufficienti per adeguamenti e riparazioni alla rete idrica: che nel Lazio ha perdite intorno al 45% (di fatto quasi la metà dell’acqua immessa negli acquedotti viene dispersa. Non esiste nessun piano per diversificare le utenze acqua potabile con acqua chiare per uso industriale o più banalmente innaffiare giardini, orti, agricoltura. Nessun piano per il controllo sistematico di eventuali allacci abusivi.
Scuola. Da un lato assistiamo a un cambiamento sistematico dei piani e percorsi di studio ad ogni cambio di Ministro per l’Istruzione, e dall’altro nessun adeguamento per sicurezza, trasporto, assistenza alle famiglie e tutto ciò che dovrebbe essere l’investimento per il futuro reale del nostro paese. In generale, la nostra scuola è tra le peggiori in Europa e l’esodo dei nostri ragazzi o verso università del nord Italia, solo per famiglie in grado di sostenere le spese, o verso paesi stranieri non fa che aumentare le distanze tra Italia e resto del mondo.
Ricerca. Strettamente legata al settore scuola, la ricerca è da considerare la linfa su cui si basa l’intero processo produttivo; senza ricerca, i risultati sono sotto gli occhi di tutti, l’Italia è destinata ad avere solo un’industria di bassa trasformazione quindi nessuna possibilità di sviluppo. Sì, è vero, abbiamo diverse eccellenze ma rimangono isolate e non facente parte di un sistema, quindi l’esodo dei nostri cervelli è ampiamente giustificato e fenomeno in crescita.
Sanità. Una volta la Sanità pubblica era considerata come la migliore su scala europea, e non solo, oggi piegata anch’essa da sprechi notevoli e interessi privati è in netto declino. In caso di necessità si è costretti a ripiegare sulla sanità privata, risultato i meno abbienti non si curano a dovere e l’età media della popolazione, specie nelle zone depresse, decresce. Abbiamo assistito ad accorpamenti, solo in parte giustificati, di enormi ospedali costruiti anche in zone semi abitate, ma anche a ospedali che hanno bacini di utenza di 80-100 ml utenti declassati a poco più di unità di primo soccorso. Ma è pensabile che per avere assistenza o fare analisi bisogna percorre anche 160 Km a.r. con tempi di attesa anche di 1 anno? Ovviamente è necessario avere a disposizione un proprio mezzo di locomozione visto che il trasporto regionale è inesistente o inefficiente.
Ciclo dei rifiuti. E’ il caos più totale: a distanza di pochi chilometri, ogni Comune differenzia a modo proprio e con proprie isole ecologiche; nessun piano omogeneo nazionale. Molti territori destinati agli impianti di conversione sono in mano alla mafia.
Conclusioni. Il quadro generale del nostro bel paese non è sicuramente dei migliori, ma alcune considerazioni di base e argomentazioni per un futuro migliore vanno poste per avere risposte serie e immediate ai nostri amministratori:
primo- in un paese democratico e con secoli di storia alle spalle è concepibile che gli appalti pubblici siano oggetto di secretazione? Vedi concessioni alle società autostradali, servizi, etc. ma anche i costi all’origine di fonti energetiche: gas, petrolio;
secondo- pur non negando assolutamente i benefici della libera concorrenza, e riconoscendo ai privati la possibilità di entrare anche in settori strategici, come quelli su citati, rimane il nodo critico dei controlli: questi, sia in fase di progettazione e realizzazione delle opere, ma ancor più nelle fasi successive del loro esercizio deve essere affidato in maniera seria e non surrettizia allo Stato. Non esiste in nessuna catena di produttiva che l’esercente sia anche il controllore unico;
terzo- lo Stato centrale deve riprendere le competenze sui settori principali, onde eliminare differenze procedurali tra le varie Regioni che impediscono il normale esercizio. Non è pensabile che ogni Regione abbia facoltà di intervento completamente dissimile dalle altre in settori che hanno influenza sulla totalità della popolazione italiana.
Giovanni Furgiuele
Associazione L’Agone Nuovo