Il lavacro delle primarie ha, se non rimesso in pista, quantomeno rianimato il Partito Democratico, l’affluenza di oltre un milione e mezzo di persone è un dato importante, soprattutto nell’ottica delle vicine elezioni europee.
Le parole d’ordine di questa campagna per le primarie sono state abbastanza simili per i tre candidati ed anche per il convitato di pietra di questo congresso: l’ex segretario Matteo Renzi.
Si è fatto leva principalmente sulla necessità di un’opposizione al governo gialloverde (sempre più verde e meno giallo) senza aspettare rinsavimenti improbabili di una fantomatica “ala sinistra” del Movimento 5 Stelle (i “fichiani”, ammesso che esistano) e si è cavalcata la voglia di unità chiesta a gran voce dai militanti (oggi, dopo primarie così partecipate ed una vittoria così netta, trovare argomenti per “rompere” che non siano strumentali è davvero complicato).
L’elettorato, che un anno fa aveva “punito” i dem ieri ha dato un segnale quantomeno di mobilitazione importante.
Per il neosegretario la partita è breve e difficile, le europee sono ad un passo e sondaggi alla mano l’unico risultato che potrebbe davvero mettere in difficoltà il governo (portare il PD sopra il M5S) è distante dai 5 agli 8 punti percentuali, inoltre il partito di Grillo ha ora da giocarsi la sua carta più importante, quella del reddito di cittadinanza. Serve una vera impresa dunque, va però riconosciuta a Zingaretti la capacità di ribaltare sfide del genere in questi anni: al ballottaggio per le provinciali, mentre Rutelli naufragava a Roma, e in queste ultime regionali, mentre il PD perdeva in quasi ogni collegio Zingaretti riusciva a portare un valore aggiunto che permetteva al centrosinistra di spuntarla.
Una cosa è certa: rispetto ad un piano inclinato che ha visto per un anno il governo fare la sua partita quasi in solitaria ora gli elettori di centrosinistra si aspettano che scenda in campo anche l’altra squadra, e giochi la partita fino in fondo.
Simone Pazzaglia