18 Luglio, 2024
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Coronavirus, sorpreso fuori casa senza giustificazione? L’ammenda non va pagata subito. Ecco cosa fare

Fonte la Stampa.it

 

La premessa fondamentale, in questo tempo inedito del coronavirus, è: stare a casa. Comunque lo si percepisca – come divieto, raccomandazione, invito, imposizione, o come individuale impegno civile e morale a non far del male agli altri e a se stessi – bisogna evitare di uscire. Lo sancisce una norma dello Stato e, come tale, va rispettata. La norma di riferimento è il decreto dell’8 marzo 2020, firmato dal presidente del Consiglio dei ministri, esteso territorialmente e integrato nei giorni successivi.

All’imperativo “restate a casa”, come già più volte ricordato, ci sono delle eccezioni che si possono riassumere in quattro punti: comprovate esigenze lavorative; situazioni di necessità; motivi di salute; rientro alla propria abitazione. E chi non le rispetta? Può avere dei guai.

In questi giorni, le forze dell’ordine sono impegnate a fare controlli a campione lungo le strade e nei luoghi all’aperto; alle persone fermate viene chiesto dove stanno andando. Oltre a fornire verbalmente la spiegazione, è utile mostrare il modulo (diramato dal ministero e scaricabile da internet), compilato in ogni parte e, in particolare, dove deve essere contrassegnato il motivo del transito (lavoro, ritorno a casa, salute, necessità: spesa, farmacia, visita a persona con bisogno, ad esempio).

Se non si ha una giustificazione che rientra nei casi in cui è consentito uscire (o se la giustificazione non è veritiera o non è ritenuta adeguata e fondata), scatta la denuncia.

Perché? Perché viene contestato un reato. Quale? La violazione all’articolo 650 del Codice Penale che riguarda “l’inosservanza di un provvedimento dell’autorità”. Il decreto del presidente del Consiglio dei ministri (che limita la circolazione a determinati casi e situazioni) è, appunto, un provvedimento dell’autorità: quindi, chi disubbidisce viene denunciato. Si tratta di una denuncia penale che è punita con un’ammenda.

Le forze dell’ordine, seduta stante, chiedono le generalità, poi procedono alla denuncia e invitano a nominare un avvocato di fiducia (altrimenti ne viene assegnato uno di ufficio). E’ importante specificare che gli atti giudiziari che seguiranno dovranno essere spediti alla propria abitazione (e non allo studio del legale).

A quel punto, non bisogna fare nulla: l’ammenda, cioè, in questa fase, non va pagata, altrimenti diventa una condanna definitiva e finisce come una macchia sul certificato penale.

Si deve attendere, invece, che, nei prossimi mesi, venga notificato il “decreto penale di condanna”. Può avvenire in due modi: direttamente al domicilio da parte dell’ufficiale giudiziario oppure con una raccomandata (busta verde) recapitata a casa. Appena lo si riceve, si contatta subito il proprio avvocato (di fiducia o di ufficio) perché proceda, entro quindici giorni, alla cosiddetta “opposizione al decreto penale di condanna”. In questo modo, l’ammenda viene trasformata in “oblazione”. Si paga l’importo dell’oblazione (pari a 103 euro) e, solo allora, il reato viene “estinto”, cioè si cancella e non va più a intaccare la fedina penale.

C’è però un rischio maggiore: se si fa un’autocertificazione falsa, dicendo che ci si sta recando in un posto e invece non è così. Se le forze dell’ordine effettuano un controllo e riscontrano che è stata detta una bugia circa la destinazione, scatta la denuncia per un reato ben più grave del 650: “falsità in autocertificazione”, che comporta comunque un procedimento penale.

Piuttosto che dire il falso, meglio ammettere che si è in giro senza un motivo valido. La sanzione finale è molto meno pesante (i 103 euro, appunto).

 

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