L’informazione in generale e le pandemie mettono in discussione molti dei principi su cui si sono basate per secoli le democrazie e la domanda principale è: quanto deve essere pubblico in relazione con il benessere di tutti?
Dati oggettivi indicano come i governi della Corea del Sud, Cina, anche se con delle differenze, hanno la possibilità di accedere a moltissime informazione dei propri cittadini con l’ausilio di mirati database: filmati, tracciamento percorsi da GPS, automobili, carte di credito, informazioni sanitarie. Inoltre, in occasione dell’attuale pandemia con i suddetti database è possibile sapere se la persona sia stata dichiarata positiva al test e anche se si trova nella vicinanza di un altro positivo o è in una zona ad alto rischio. Premesso che tramite molte applicazioni presenti nei nostri cellulari ma anche quando si firma un documento con banche, etc, già si mettono in rete una serie d’indicazioni molto personali. Basta pensare alle compere fatte in rete o alla spesa con carte di credito al supermercato servono a stabilire i nostri interessi, consumi per cui poi veniamo tartassati da call center. I dati raccolti dovrebbero essere gestiti in modo sicuro e trasparente per non alimentare abusi da grande fratello, come prevedeva Orwell.
Vediamo come sia impossibile fare facili confronti con i dati provenienti dalle regioni italiane per poi confrontarli con altri paesi europei, si auspica che almeno l’Europa vari una legislazione unica sulla gestione e raccolta dati sensibili per non avere una giungla incontrollabile. Pensiamo solo se dati sul nostro stato di salute possono essere utilizzati dalle assicurazioni o in fase di assunzione lavorativa.