Franco ha sedici anni. Come tanti giovani della sua generazione senza averlo scelto, vive in un periodo complesso, fatto di fortissime contraddizioni, e come gli altri è costretto tutti i giorni a fare i conti prima del tempo con l’essere adulti.
Franco ha sedici anni. Sente di poter e di dover fare di più e che forse non si perdonerà mai di restare fra gli indifferenti, fra quelli che non si sono schierati; anche perché non prendere nessuna posizione equivale a stare dalla parte sbagliata. Perché quale sia la parte sbagliata, è chiaro a tutti.
Franco ha sedici anni. Ed è pronto a partire. Ha riempito uno zaino improvvisato delle poche cose indispensabili. Fuori è ancora buio, c’è solo una splendida luna piena. Si muove cercando di non fare il minimo rumore e continua ad ascoltare fuori dalla finestra, aspettando il segnale concordato con Pietro e Francesco. Si avvicina allo scrittoio e dà un’ultima occhiata alla lettera che ha lasciato per il padre. Avrebbe voluto parlarci, ma ha paura che lui non capirebbe. La prende in mano per l’ultima volta, indeciso se lasciarla o gettarla via, quando sente il fischio dei compagni. È l’ora: mette lo zaino sulle spalle ed esce di casa.
Franco ha sedici anni. E vuole fare la sua parte in questa fase così importante della storia d’Italia, vuole far parte della Liberazione, vuole aiutare i partigiani. Nel suo cuore, come in quello dei suoi amici, la paura si mescola con l’emozione. In questo preciso momento, mentre senza dire una parola camminano fianco a fianco verso nord, i tre non sanno ancora quale destino li aspetterà. Non immaginano la cattura da parte dei tedeschi, i lavori forzati; né possono sapere che soltanto una serie di casualità e di eventi fortuiti li riporterà a casa sani e salvi, evitando loro il destino peggiore che è invece toccato a tantissimi altri. In questo preciso momento, i tre amici, sanno soltanto di essersi uniti alla Resistenza e non dimenticheranno mai, per tutta la loro vita, quei primi passi in un’alba illuminata dalla luna, nel silenzio delle campagne ciociare.
Franco è mio nonno. Molti di voi lo hanno conosciuto come medico condotto in questa città. Per quasi tutti era il dottor Boffi. Fin dai primi ricordi che ho di lui, mi ha sempre parlato di politica, sapendo probabilmente che le altre sue due grandi passioni, la pesca e il calcio, con me funzionavano poco.
Non so perché non mi abbia mai raccontato della sua esperienza partigiana. L’ho scoperta dopo, troppi anni dopo, quando oramai se n’era già andato. Me lo sono sempre immaginato così, con un fazzoletto al collo e un filo d’erba in bocca, un pezzo di pane fatto in casa rubato nottetempo dalla dispensa della mia bisnonna Maria e tanta voglia di fare la sua parte. Giovane e bello, come Guccini ci ha insegnato che sono tutti gli eroi.
È difficile spiegare perché siamo qui oggi e perché ogni anno, in occasione del 25 aprile, ci ritroviamo sotto questo monumento. Ai più giovani potrebbe apparire come un rito antico, una tradizione forse anacronistica. Da piccolo, io non riuscivo a capirne bene il significato.
Sarebbe bello poter vivere in un luogo in cui non siano necessarie le ricorrenze. Significherebbe che gli uomini e le donne hanno imparato la lezione della Storia e hanno smesso di commettere sempre gli stessi errori. Ma purtroppo non è così. E per costruire un futuro migliore, dobbiamo ricordarci della faticosa strada, cosparsa di lutti e sacrifici, che ci ha portato dove siamo adesso.
La nostra Repubblica e la nostra Costituzione sono figlie della Resistenza e della Liberazione. Piero Calamandrei, uno dei Padri della Resistenza e della nostra Repubblica, una volta ha detto: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati”. Ed è davvero così.
Uomini e donne hanno dato la vita per noi. Per la nostra libertà. Lo hanno fatto volontariamente mossi esclusivamente dalla propria coscienza. Gesti eroici di ragazze e ragazzi normali. Come Salvo D’Acquisto, a cui è intitolata una nostra scuola. Giovane carabiniere che ha offerto la propria vita spontaneamente per salvare quella di altri innocenti. Ma se non ricordiamo questi gesti esemplari, a cosa sarà valso quel loro sacrificio?
Ecco questo è il motivo per il quale siamo qui oggi: siamo qui per ricordare.
Spesso diamo tutto per scontato. Ci sembra naturale poter essere qui, poterci riunire da uomini liberi, esprimere le nostre opinioni senza nessuna preoccupazione. Ma non è stato sempre così. Grazie al sacrificio delle donne e degli uomini della Resistenza, grazie al loro sangue versato nelle valli, sulle montagne, nei fiumi, sulle strade d’Italia, solo grazie a loro oggi possiamo essere qui e vivere la nostra libertà.
Per questo è importante essere qui oggi: siamo qui per ringraziare.
Ma non basta. La libertà non può mai essere data per scontata. Piero Calamandrei diceva che “la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare” ed esortava i giovani dicendo che ogni giorno è necessario vigilare sulla libertà, dando il proprio contributo alla vita politica.
Anche per questo siamo qui oggi: siamo qui per vigilare.
Quanto vale in queste settimane la parola Resistenza? Mentre tutto il mondo è fermo assediato da una pandemia che sta causando sofferenza, dolore e tantissimi morti. Uomini e donne, in Italia e nel mondo, che combattono in prima linea per farci tornare alla normalità. Medici, dottori, infermieri, volontari, angeli quotidiani che sono sul fronte per tener fede al loro dovere. Per rispettare l’invito al senso di responsabilità che ci ha fatto del Presidente della Repubblica Sergio Matterella.
E anche per questo oggi siamo qui: per tener fede al nostro senso di responsabilità.
Ma noi siamo le Istituzioni. E abbiamo dei doveri. Non bastano le nostre parole. A queste deve far seguito l’impegno e il lavoro per costruire insieme la lunga strada della pace. In questi anni a Cerveteri abbiamo provato a fare molto. Abbiamo voluto che le bandiere della Pace sventolassero sui nostri palazzi comunali; abbiamo voluto concedere la cittadinanza onoraria a tutti i bambini nati in Italia da genitori stranieri che per una legge incomprensibile non possono ancora definirsi italiani; abbiamo riconosciuto il diritto alla genitorialità alle coppie di mamme e di papà e abbiamo istituito la consulta degli stranieri eleggendo la prima Consigliera aggiunta della nostra città. Quest’anno inoltre in occasione del centenario della sua nascita abbiamo intitolato la Biblioteca comunale a Nilde Iotti, una delle madri della Resistenza e della Costituzione. Ma la strada da fare è ancora lunga e per ogni risultato raggiunto ci rendiamo conto di quanto lavoro ancora ci sia da fare. Anche a livello mondiale, basti pensare che mentre siamo qui a celebrare il 25 Aprile Patrick Zaki e Silvia Romano, per citarne soltanto due, sono stati privati della loro libertà e torturati e non sappiamo se e quando verranno liberati.
Per questo siamo qui oggi: siamo qui per impegnarci insieme per costruire la lunga strada della pace.
Il 25 Aprile è la festa della Liberazione. Festeggiamo la fine dell’incubo del regime e della occupazione nazifascista. È una delle date più importanti della nostra storia e ho sempre sofferto nel vedere che, ancora oggi, c’è chi la considera una festa di parte. La responsabilità è certamene di chi ha provato a farla propria e dei nostalgici revisionisti che in tante occasioni hanno goffamente tentato di cambiarne la natura. La Festa della Liberazione, così come il canto partigiano “Bella, ciao”, riconosciuto come canto di libertà in tutto il mondo, devono essere patrimonio di tutti. Mio nonno era un uomo di centro, liberale e democristiano. Non credo abbia mai votato un partito di sinistra e sono certo che non sia mai stato neanche lontanamente tentato dall’ideologia comunista. La Resistenza è infatti stata di tutti, un movimento caratterizzato dall’impegno unitario di molteplici e talora opposti orientamenti politici. C’erano comunisti, socialisti e democristiani, azionisti e monarchici accanto ai repubblicani, cattolici, liberali e anarchici, un ruolo importante lo hanno giocato i sacerdoti che stavano in prima linea. La Resistenza è stata l’unione di donne e uomini liberi che pur provenendo da storie diverse hanno voluto unirsi insieme per un ideale comune. E da loro dobbiamo prendere esempio.
Anche per questo siamo qui oggi: per superare le divisioni e imparare a camminare insieme.
Non so se sono in grado di spiegare bene cosa rappresenti il 25 aprile per me o perché io la consideri una ricorrenza così importante. Vedo davanti ai miei occhi i volti dei tanti giovani che hanno dato la vita per noi, per la nostra Italia. Quelli morti, quelli uccisi, quelli trucidati, quelli torturati. In quegli anni non contava l’età o la storia personale, bisognava decidere chiaramente da che parte stare. Mi sono chiesto tantissime volte se trovandomi al loro posto, avessi trovato quella forza, quel coraggio, quella determinazione, tali da mettere la vita al servizio degli altri. E quando ci penso, nel mio cuore tutto diventa impastato. I partigiani accanto ai tanti altri eroi della nostra nazione. Da Salvo D’Acquisto a Falcone e Borsellino. Uomini e donne di ieri e di oggi, persone normali che si sono trovate a fare scelte eccezionali.
Quando penso di essere qui, in una nazione libera, in un Paese in cui posso esprimere la mia opinione, in cui nessuno è perseguitato per le sue idee, nessuno è perseguitato per la sua fede religiosa. Quando vedo sulla mia spalla questa pesante fascia tricolore, quando sento l’impegno preso nel giuramento sulla Costituzione, mi chiedo se io stia facendo davvero bene il mio dovere. Se sia all’altezza del sacrificio che hanno fatto quegli uomini e quelle donne, tutti quegli eroi. Se io stia onorando davvero, da sindaco e da cittadino, tutto quel sangue e quel dolore. Ci stiamo davvero meritando quel sacrificio? Davvero non lo so. Ma per questo per me è così importante questa giornata. Questo è il motivo per il quale io sono qui oggi, per ricordarmi che qualsiasi cosa io faccia, è grazie a loro ed è per loro, per Franco Boffi, per Salvo D’Acquisto, per Nilde Iotti, per Piero Calamandrei e per tutti gli altri.
Vedi nonno, sono consapevole di non essere all’altezza di quello che avete fatto in quegli anni. Ma dovunque siate oggi, a festeggiare con il tricolore, cantando a squarciagola tutti insieme “Bella, ciao”, mi auguro che continuiate sempre a essere per noi guida e fonte di ispirazione.
Buon 25 Aprile.
Permettetemi, prima di concludere di leggervi un piccolo componimento che a mio avviso incarna benissimo lo spirito di questa commemorazione. Kesselring è stato uno dei più cruenti repressori della Resistenza in Italia. Nonostante i terribili crimini commessi, è stato in carcere per pochissimi anni. Tornato in Germania ha dichiarato che gli Italiani avrebbero dovuto erigergli un monumento per il suo contributo alla salvezza delle città d’arte come Roma e Firenze. Gli rispose sempre Piero Calamandrei.
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA
Credo che anche per questo siamo qui oggi. Per gridare con tutta la nostra forza: ora e sempre Resistenza.
Viva Cerveteri, viva l’Italia e viva tutti i Partigiani.