23 Dicembre, 2024
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Se l’Unione Europea rischia di morire di poco europeismo

I singoli Stati dovrebbero cedere sovranità per accrescere il peso e il ruolo del Vecchio Continente

 

 

A Gennaio, secondo molti istituti demoscopici, oltre il 65% degli italiani era convinto che restare in Europa fosse l’unica strada percorribile, la percentuale saliva se si chiedeva se si immaginasse il proprio futuro in Europa; segno tangibile che, anche tra i più scettici, l’Unione Europea era data come un fatto storico acquisito.

Oggi, in piena pandemia, questa percentuale è scesa al 44%, contro un 42% di euroscettici ed una percentuale importante di indecisi (14%).

Questo tracollo è strano soprattutto alla luce di uno dei fenomeni politologici più consolidati: il “Rally ‘round the flag effect”; un concetto usato nelle scienze politiche e nelle relazioni internazionali per spiegare un maggiore sostegno popolare a breve termine (del presidente degli Stati Uniti per John Mueller che lo coniò, ma è stato applicato anche successivamente ovunque) durante i periodi di crisi da parte di chi gestisce lo status quo. Il caso da manuale fu quello di George W. Bush, che registrò un aumento dal 39% al 51% e poi al 90% (!) dei consensi dopo gli attacchi dell’11 Settembre.

L’Europa è identificata come lo status quo per eccellenza, anche più dei singoli governi nazionali, eppure, a dispetto dei manuali ha avuto un crollo nella percezione pubblica.

Come tutti i fenomeni di largo respiro non esiste “la” chiave di lettura, ma una serie di eventi connessi in maniera bidirezionale e multilaterale ha concorso a quello che potrebbe rivelarsi come prodromico ad uno dei cambiamenti geopolitici più dirompenti della storia.

Si è partiti con una leggerezza, pesantissima: “Non siamo qui per ridurre gli spread, non è la funzione della Bce” parole pronunciate dalla presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, rispondendo a una domanda sul premio di rischio in forte ascesa in alcuni Paesi dell’Eurozona a partire dall’Italia. Parole che hanno portato ad un immediato crollo delle borse con Piazza Affari che perdeva il 16,9% .

Uno scivolone vero e proprio su cui tutta la politica italiana, dal Presidente Mattarella in giù è intervenuta. Successivamente avrebbero avuto modo, Lagarde e Van Der Leyen, di scusarsi pubblicamente.

In seguito c’è stata la annosa questione delle risorse da mettere a disposizione da parte dell’Europa per ripartire; lì il pasticcio è stato doppio: da un lato la rigidità da parte di alcuni paesi del nord Europa a mettere a punto un sistema di emissione di debito comune (i famosi Eurobond), dall’altra la “spavalderia del Presidente del Consiglio, che, forse un po’ troppo ammaliato dal consenso aumentato per la crisi, forse un po’ tirato per la giacca dal suo partito di riferimento (il MoVimento 5 Stelle, azionista di maggioranza nel governo) ha trasformato l’eurodibattito in un derby sul MES, altro meccanismo attraverso il quale accedere a fondi comunitari, ma diverso dall’Eurobond.

Chi scrive si definisce un eurofederalista, convinto sostenitore degli Stati Uniti d’Europa e quindi di un’Unione solo monetaria ed ordoliberista onestamente ha ben poco di cui farsene, ma, da qui a dire che il MES senza condizionalità – erogato per far fronte alla pandemia, con ben precise clausole di rimborso (allo 0,2%) sia lo start per la speculazione finanziaria ad iniziare il tiro al piattello contro l’economia reale con la troika sullo sfondo a sorseggiare un Manhattan in terrazza sghignazzando come un cattivo di James Bond – è una ricostruzione infantile e piuttosto fantasiosa. Lo ha capito la comunicazione presidenziale, più prudente in questi giorni che ha coniato il neologismo dell’eurorecovery (è il MES, che serve per accedere al famoso Bazooka) e speriamo che evitare di trasformare tutto in un derby tra tifoserie risulti più utile nello spuntare condizioni migliori per il Paese. Una nota a margine: se da un lato il populismo è nemico della cruda realtà, dall’altro, riecheggiano le parole del grande economista e premio Nobel Robert Mundell (uno dei pochi economisti, rispetto a quelli citati nel dibattito rissoso euro sì euro no, ed infatti quasi mai citato, ad aver vinto un Nobel per lo studio dei sistemi a cambi fissi) che già negli anni Settanta ammoniva che economie molto differenti possono coesistere in un sistema a cambi fissi senza che si creino, da un lato surplus commerciale e dall’altro deflazione e mancanza di domanda aggregata, fondamentalmente a due condizioni: condivisione del rischio economico (le tasse di un cittadino spagnolo possono essere spese in Italia o in Germania se serve) e condivisione del rischio finanziario (se una banca in Italia o in Portogallo rischia di fallire mettendo in tela di braghe i risparmiatori intervengono tutti i paesi membri); per far ciò gli stati UE devono fare quello che oggi sembra più lontano che mai: cedere sovranità affinchè se ne acquisisca, come europei, una maggiore, che garantisca benessere e metta al riparo dalle diseguaglianze, passando la linea “prima gli ..” (metteteci ognuno il primo paese che vi passi per la testa), saremo tutti più fragili, poveri e l’Europa tornerà ad essere terreno di contesa geopolitica come ai tempi della Guerra Fredda.

Simone Pazzaglia

 

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