Aziende manifatturiere, professionisti, commercio, turismo, cultura, artigianato: è qui che il Covid sta colpendo più duramente. Le associazioni di categoria prevedono che molte realtà non riusciranno neanche a riaprire: si calcola possano essere 27 mila
Grande è la devastazione che la pandemia sta infliggendo all’economia mondiale, alle imprese di ogni latitudine, ai lavoratori di ogni settore e paese. Il Lazio, Roma, hanno il loro conto – assai salato – da saldare. Una doccia fredda se si pensa che solo qualche mese fa le cose marciavano in ben altra direzione.
Nel 2019 il Lazio è stata la prima regione italiana per aumento del numero di imprese, con una crescita di 9.206 attività. Le rilevazioni Unioncamere-Movimprese su natalità e mortalità delle imprese collocavano il Lazio al primo posto anche in termini di tasso di crescita (+1,4%), con un valore oltre tre volte superiore alla media nazionale (+0,44%) e unica regione italiana che aveva superato l’1%. L’incremento di aziende ha interessato tutte le province e fatto salire il numero complessivo a 662.514 unità, valore pari al 10,9% del totale delle imprese italiane. Roma è (era?) a sua volta la prima provincia per numero di aziende, con 337.489 società attive prima di Milano con 285.528. Sul fronte occupazione, i dati Istat indicavano 2 milioni 419 mila addetti nel Lazio, pari al 62,2%. Era il tasso di occupazione più alto di sempre su base regionale ed anche un valore significativo rispetto alla media italiana del 59,4%. Si era anche ridotto anche il tasso di disoccupazione che, nel terzo trimestre 2019, era sceso all’8,1%, il valore più basso dal 2008.
Roma, con un milione 800 mila occupati, ha seguito quel trend anche se bisogna tener conto che nella Capitale oltre 400 mila sono dipendenti pubblici. Una fetta importante dei 3 milioni 219 mila lavoratori dello Stato, che a loro volta rappresentano il 14% totale degli occupati. Al contrario di quanto comunemente si crede, non è molto: l’Italia è il quarto paese col valore più basso in Europa.
Il grosso della forza lavoro proviene comunque dal settore privato: aziende manifatturiere, professionisti, commercio, turismo, cultura, artigianato. Ed è proprio qui che il Covid sta colpendo più duramente se è vero, come prevedono le associazioni di categoria, che molte realtà non riusciranno neanche a riaprire: si calcola possano essere 27 mila.
Se si tiene conto che, secondo lo Svimez, le attività produttive bloccate dalla quarantena sono state nel Lazio il 53,7% del totale, rappresentative del 45,3% del fatturato e del 44,9% degli occupati, è evidente l’impatto sui conti 2020.
Svimez stima che un mese di lockdown costi al Paese quasi 48 miliardi, il 3,1% del Pil, oltre 37 dei quali persi al Centronord e circa 10 nel Mezzogiorno. Si tratta di 788 euro pro capite al mese in media italiana, oltre mille euro al Nord contro i quasi 500 al Sud. In base ai dati della Banca d’Italia, nel primo trimestre 2020 la quota di imprese che ha segnalato un peggioramento della situazione economica generale sul trimestre precedente è salita a oltre l’80% da circa il 30 della passata indagine.
A Roma questi dati potrebbero tradursi in una profondissima incisione del tessuto economico. Anche perché, al contrario di quanto si ripete ufficialmente, i fondi che le banche dovrebbero elargire alle imprese non arrivano o arrivano in tempi inaccettabili.
Nel concreto: nel territorio di Roma Capitale la Fipe ha censito oltre 22 mila imprese tra bar, ristoranti e stabilimenti balneari (7% del totale Italia). Previsioni di più organismi indicano che potrebbero chiudere ben 2.500 ristoranti e quasi altrettanti bar. Per quelli che resisteranno, il calo di fatturato potrebbe superare il 50%. Le autorità di polizia sono peraltro in allerta perché con il valore delle licenze dimezzato ci sono segnalazioni di avances di grandi catene straniere a caccia di affari e di passaggi di proprietà alla criminalità, in grado di pagare in contanti prezzi comunque stracciati sia in periferia che – ancor più – nel centro storico, dove gli affitti elevati stanno mettendo in difficoltà molti esercenti. Stesso rischio per gli alberghi, dei quali uno su tre potrebbe non riaprire. E situazione drammatica per barbieri, parrucchieri e centri estetici, che prevedono di dover chiudere in molti casi e «almeno» licenziare in altri.
Secondo Confcommercio e Federalberghi, Roma rischia una desertificazione che in centro potrebbe toccare il 60%. In tutto questo, il Comune non va oltre gli appelli. Da parte sua, la Regione Lazio ha messo sul piatto cento milioni di euro (diecimila euro a tasso zero da restituire in 6 anni) in favore di 42 mila imprese e professionisti e – stando al vicepresidente Daniele Leodori – starebbe pensando di erogare altri 420 milioni. Ci sono poi gli aiuti stanziati dallo Stato. Ma tutti – posto che si tratta per chi li richiede di debiti da aggiungere ad altri debiti e non di finanziamenti a fondo perduto come avviene in molti Paesi – richiedono troppa documentazione e fanno erogare i soldi (quando ci si riesce) con forte ritardo. Le banche, secondo imprenditori e associazioni di categoria, si starebbero poi rivelando un imbuto, richiedendo talvolta anche garanzie personali a fronte di quella dello Stato e smaltendo con la lentezza tipica della diffidenza le pratiche.
Ma a questo punto il tempo – anche pochi giorni – può fare la differenza tra vivere o morire. Ed è arrivato il momento che ad essere spazzati via siano incapaci, furbi e burocrati. Come scrisse Honoré de Balzac, la burocrazia è un gigantesco meccanismo azionato da pigmei. Questa battaglia – la madre di tutte le battaglie – potrà essere vinta solo da una classe politica e un’amministrazione di giganti.
Ps. Quanto sopra si riferisce all’economia ufficiale. Ma il nostro Paese conta un sommerso valutato in 210 miliardi di euro circa, il 12% del Pil. Nel dato è inglobata la voce occupazione irregolare, che interessa 3,7 milioni di persone e vale 79 miliardi di euro, il 4,5% del Pil. La quota di economia sommersa del Lazio è stimata nel 23% circa del totale. Una buona fetta interessa la sola Roma. Un motivo in più per pretendere interventi e non promesse.
(Tratto dal Corriere della Sera – Roma)