Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, una riflessione della psicologa Rosaria Giagu, che ringraziamo di cuore per l’impegno professionale e civico che la contraddistingue in questa fase particolarmente delicata. Un grazie anche per la collaborazione con L’Agone, contributo prezioso per l’impegno comune nel fornire ai lettori un “servizio” il più possibile adeguato: noi ce la mettiamo tutta.
Uno Spazio per Te – a cura della dottoressa Rosaria Giagu, psicologa, psiconcologa.
Eccoci arrivati alla famosa aspettata e desiderata fase 2, tra diverse idee, schieramenti , ideologie che hanno costruito svariate teorie, alcune interessanti, altre un po’ meno, talune forse troppo fantasiose, ma comunque come si diceva in tempi antichi meglio avere idee sbagliate che non averne: ci dobbiamo confrontare con una situazione che non ha precedenti se non nella memoria storica di una Italia che si trovava molto diversa per situazioni e convinzioni negli anni 30 del secolo scorso.
La riflessione che viene spontanea, e che mi ha fatto pensare, riguarda uno strano parallelismo di confronto che nella mia testa si è tracciato tra la nostra fase due di timida ripresa e quella che viene affrontata da una persona che sta vivendo una fase di malattia importante post-acuta: il macro e micro cosmo sembrano giocare e muoversi sotto le stesse regole dettate da leggi universali.
Nella malattia esistono principalmente due punti da prendere in considerazione: uno è la MALATTIA stessa,rappresentata dall’analisi delle cause e di tutte le diverse costellazioni e interazioni che possono averne in qualche modo facilitato l’esordio, e l’altro è raffigurato dalla GUARIGIONE che riguarda una questione squisitamente soggettiva e personale di cui tutti, ma proprio tutti, siamo dotati: in mezzo a questi due punti esiste una linea che si chiama RESPONSABILITÀ.
A me piace molto l’analisi dimensionale delle cose e dunque anche in questo caso si tratta di tracciare una linea dove gli estremi rappresentano i due poli opposti: da una parte vi sarà un senso di forte responsabilità, espressa in maniera esponenziale, rigida e dunque disadattiva, e nell’altro polo una completa irresponsabilità che risulta nella pratica avere una forza uguale e contraria in termini di disattabilità; l’equilibrio dunque è definito e concretizzato dalla posizione che si decide di tenere tra i due poli.
Bene, ora ponete attenzione al senso di quello che ho appena detto: ho parlato di decisione perché è una nostra esclusiva scelta il punto in cui vogliamo stare, ed è importante che ne prendiamo coscienza ora: se la malattia è un fenomeno di competenza medica che può essere trattato egregiamente con la tecnologia della medicina, in cui gli italiani continuano a distinguersi nel mondo, nonostante la fatica, di un inadeguato sostegno economico alla ricerca, la guarigione riguarda in prima persona chi sperimenta l’esperienza della malattia. Che significa questo? Che il processo di guarigione e l’attivazione delle risorse personali sono determinate non solo da un processo cognitivo e di valutazione rischio-pericolo, ma anche da qualcosa di più profondo che si chiama consapevolezza.
Ora dunque facciamo conto che la nostra comunità sia un enorme unico organismo che è appena uscito dalla fase 1, ossia quella acuta di una malattia, e in questo momento si trovi in fase 2 che sarebbe la fase post acuzie, ci troviamo dunque esattamente nelle stessa fase post-acuta in cui starebbe un singolo individuo colpito da grave malattia; la domanda più urgente però è un’altra: su quale punto dell’invisibile filo della responsabilità ci vogliamo posizionare?
In questa fase è necessario essere consapevoli e responsabili, affinché il processo di guarigione si possa espandere e, questo vale sia nel caso della singola persona che dell’intera comunità: i medici hanno fatto la loro parte, adesso tocca a noi, facciamo in modo che il loro sacrificio, quello degli infermieri e del personale sanitario e di tutti coloro che sono stati in prima linea non sia stato vano: lo dobbiamo a loro e anche ai nostri morti. Per quanto ancora si discuta su quale sia la percentuale, minore o maggiore dei deceduti di covid-19 rispetto ad altre severe patologie, va tenuto presente che sono comunque deceduti, senza neanche la possibilità che i propri familiari potessero salutarli.
Oggi che possiamo uscire di casa ricordiamoci che poteva capitare a noi quel lutto straziante; facciamo circolare la forza della solidarietà, che non è carità, ma presenza di cuore che ognuno di noi può usare ora per aiutare, senza aspettare che sia chiesto: questa è la vera sfida, riuscire a stare in questo magico cambiamento senza farci tentare dal rischio di ricadere in vecchie e auto sabotanti abitudini che ci impedivano di stare bene e che…forse, sono state anche in qualche modo concause di questa espressione pandemica.
Ricordiamoci dunque che in due metri ci possono stare tante cose, ma basta che ci mettiamo il cuore e la consapevolezza che adesso quei “soli” due metri possono salvare vite e permetterci di riabbracciare i nostri cari in un futuro prossimo, con più serenità e gioia, andando incontro a una completa guarigione.