Haftar colpisce vicino l’ospedale italiano e la residenza dell’ambasciatore. Le fazioni opposte intensificano le partenze. La Valletta lascia la missione a guida italiana
Dalla Libia i tamburi di guerra trasmettono un messaggio chiaro per Roma. Quasi un ultimatum espresso con la lingua delle bombe e quella dei barconi. Ancora una volta con La Valletta a fare da sponda, mentre le Nazioni Unite tornano ad accusare proprio Malta per i respingimenti illegali di migranti e l’Italia per il boicottaggio mirato delle navi umanitarie.
La tempesta imperfetta nel cuore del Mediterraneo sta agitando le diplomazie. Due giorni fa l’aviazione del generale Haftar aveva bombardato l’area circostante l’ospedale italiano di Misurata. L’altra notte il tiro è stato circoscritto intorno all’abitazione dell’ambasciatore italiano a Tripoli. In diretta alcuni media vicini al signore della guerra della Cirenaica lasciavano capire che non si è trattata di una coincidenza.
Per l’Italia non è l’unica cattiva notizia. Dal fronte opposto, quello formalmente sostenuto da Roma, la presunta ambiguità italiana sul terreno viene contraccambiata da avvertimenti con armi non convenzionali. Le milizie affiliate al governo del premier al–Sarraj continuano a mettere in mare centinaia di migranti moltiplicando per quattro gli arrivi.
Insomma, con l’artiglieria o con la pressione migratoria, l’Italia è messa alle strette. In passato Roma se l’è cavata promettendo stanziamenti ed equipaggiamento per Tripoli. Stavolta il prezzo sembra più alto. Ad acuire la tensione, anche le mosse della piccola ma ostinata Malta, da cui è arrivato un segnale inequivocabile.
La Valletta si è infatti sfilata dalla missione navale Irini, a guida italiana, stabilita per il controllo dell’embargo Onu sulle armi alla Libia. Le autorità maltesi, finite negli ultimi giorni al centro di uno scandalo internazionale per via della flotta fantasma con cui da tre anni eseguivano i respingimenti illeciti di migranti, non solo non parteciperanno alla flotta navale Ue, ma intende porre il veto all’uso dei fondi europei per gestire l’intera operazione.
Nelle settimane scorse l’ex capo di stato maggiore della Marina, l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, aveva mostrato come “Irini” rischiasse di fare il solletico ai trafficanti di armi verso la Cirenaica di Haftar, e difficilmente riuscirà a contrastare il traffico di esseri umani via mare. Il mandato operativo, infatti, confina le fregate lontano dal Canale di Sicilia e dal corridoio costiero tra Libia ed Egitto, attraversato dai cargo che scaricano indisturbati le armi per il generale di Bengasi. Perplessità che Malta ha deciso di muovere, curiosamente, solo a missione approvata e appena avviata, e dopo essere finita nel mirino anche delle Nazioni Unite. L’Onu ha infatti confermato la ricostruzione della strage di Pasquetta, con 12 migranti morti.
L’alto commissariato per i Diritti Umani ha riferito ieri di avere ricevuto report dalla missione a Tripoli (Unsmil) secondo cui un gruppo di «51 migranti e richiedenti asilo, tra cui 8 donne e 3 bambini, sono stati respinti in Libia su una barca privata maltese dopo essere stati prelevati nelle acque maltesi». I superstiti sono stati internati «dalle autorità libiche nel centro di detenzione di Tarik al–Sikka. Durante i loro sei giorni in mare, cinque persone sono morte e altre sette sono scomparse e si presume che siano annegate». Non si tratta di episodi, ma di un piano sistematico che tiene insieme guardacoste, milizie, trafficanti e i loro emissari nelle istituzioni. «La Guardia costiera libica – si legge in una nota da Ginevra – continua a riportare a terra i barconi e collocare i migranti intercettati in strutture di detenzione arbitrarie, dove si trovano ad affrontare condizioni orribili tra cui torture e maltrattamenti, violenza sessuale, mancanza di assistenza sanitaria e altre violazioni dei diritti umani».
In queste condizioni ostacolare il soccorso in mare vuol dire mettere a rischio la vita delle persone. «Chiediamo che le restrizioni sul lavoro di questi soccorritori vengano immediatamente revocate. Tali misure mettono chiaramente a rischio la vita», ribadisce l’Alto commissariato alludendo in particolare al recente «blocco delle navi di salvataggio Alan Kurdi e Aita Mari. Perciò è urgente «una moratoria su tutte le intercettazioni e ritorni in Libia». E la pandemia non esenta gli Stati «dai loro obblighi ai sensi dei diritti umani internazionali e del diritto dei rifugiati».
(Avvenire)