I mezzi pubblici coprono a malapena il 70 per cento del servizio necessario e il 18 maggio riaprono i negozi
Proprio in giorni di emergenza sono molti i nodi della gestione a cinque stelle che sembrano arrivare al pettine mettendo a nudo i disastri di una città gravemente ammalata già ben prima dell’arrivo del virus.
Emblematica, in queste ore, la vicenda degli oltre 130 mezzi Atac letteralmente spariti in poche ore dal servizio pubblico. Novantuno erano bus a metano che facevano parte della nuova flotta acquistata dal Comune di Roma attraverso gara Consip (227 mezzi) che la sindaca nei mesi scorsi ha portato in ostensione promozionale in giro per la città. Per un difetto di fabbricazione, si scopre ora, quei mezzi sono bloccati in rimessa e non possono per uscire in strada. Come i 45 filobus Breda, acquistati in illo tempore dall’amministrazione Alemanno e finiti al centro di un processo per corruzione, che Raggi aveva annunciato di aver rimesso in servizio. Dopo che uno dei mezzi si è letteralmente spezzato in due, i filobus resteranno fermi a lungo perché nel frattempo è scaduto il contratto di manutenzione e nessuno si è ricordato di rinnovarlo. Un bel guaio per una città che in questo momento, in tempi di contingentamento dei passeggeri sui mezzi, riesce a coprire a malapena a coprire il 70 per cento del servizio previsto da contratto con il Comune e avrebbe un disperato bisogno di potenziare l’offerta. Anche perché se questi primi giorni di riapertura sono filati tutto sommato senza drammi, la vera prova deve ancora arrivare.
Ad oggi infatti, secondo le statistiche della app Moovit, sui mezzi pubblici romani si muove soltanto il 17 per cento delle persone che abitualmente affollano autobus e metropolitane romane. Un dato che sicuramente si alzerà molto già il 18 maggio quando riapriranno i negozi. Di soluzioni però, a parte il progetto di creare nuove ciclabili, all’orizzonte non se ne vedono. Tramontata l’idea di usare bus Cotral e pullman turistici privati (i mezzi non sono adatti) nessun conforto arriverà in tempi brevi neanche dai nuovi acquisti più volte annunciati. Dei 348 mezzi che secondo il concordato sarebbero stati comprati nel 2020, prima dell’estate non se ne vedrà neanche uno a causa dei ritardi di Industria Italiana Autobus, che è italiana nel nome ma turca nella proprietà e in gran parte della produzione. “Anche per questo – spiega Daniele Fuligni, segretario regionale Filt Cgil – abbiamo chiesto all’azienda di fa rientrare gli addetti alla manutenzione dei mezzi che sono ancora in cassa integrazione”.
Parte dei lavoratori che sono rientrati, per ora, sono stati dirottati a controllare il contingentamento dei passeggeri nelle stazioni metropolitane e ai capolinea maggiori per evitare assembramenti sui mezzi. Cinquecento persone in tutto per una rete di trasporti che conta ottomila fermate. “Avevamo chiesto un aiuto da parte di protezione civile e polizia municipale – prosegue Fuligni – ma a oggi siamo molto scoperti soprattutto nelle aree periferiche”. Una parte dei dipendenti Atac tornata in servizio, invece, dovrebbe occuparsi di controllare le procedure di sanificazione dei mezzi. “Ma la situazione è a macchia di leopardo e ben lontana dagli standard previsti dalle norme”, ammette una fonte anonima.
Malumori che corrono nelle chat dei lavoratori dove in questi giorni hanno tenuto banco anche i casi di multe elevate ad alcuni autisti perché guidavano senza usare dispositivi di protezione individuale. Anche perché di mascherine distribuite al personale, autisti in primis, nelle scorse settimane se ne sono viste ben poche e la situazione sembra tornata nella norma soltanto in questi giorni con l’arrivo di una nuova fornitura e di una donazione da parte della As Roma. Problemi a cui dovrebbero far fronte i vertici aziendali, se non fosse che l’ad Simioni ha già la valigia pronta per trasferirsi ad Enav. Lascerà una azienda che, nonostante i proclami trionfanti post concordato, i debiti lasciati ai creditori e i costi scaricati sulle casse del Campidoglio, nel 2020 perderà almeno 10 milioni al mese fra mancati introiti da bigliettazione e costi per la gestione dell’emergenza. “Servono 200 milioni per scongiurare il crack aziendale”, ha scritto l’ad. Ci penseranno governo e Regione, ma a quel punto Simioni probabilmente sarà già volato altrove e i guai resteranno tutti in Campidoglio. Toccherà a Virginia Raggi e al suo probabile successore affrontarli. Ammesso che qualcuno si faccia avanti per succederle.
(Il Foglio)