27 Dicembre, 2024
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Silvia Romano, la cerimonia con due carcerieri: «Così sono diventata musulmana»

Ora ha paura, Silvia, ma non per se stessa, soprattutto per la sua famiglia, per il clima di odio che si è creato intorno alla scelta di diventare musulmana.

Mai avrebbe potuto immaginare, questa venticinquenne di Milano, di dover fare i conti con un rientro così pesante e difficile, tra mille polemiche e insulti. Di quei 18 mesi passati a pensare ai suoi parenti, a quanto potessero essere preoccupati senza sapere nulla della sua sorte, ricorda ogni momento. E al pm Sergio Colaiocco e al colonnello Marco Rosi del Ros, che la hanno ascoltata al ritorno in Italia, ha riferito i particolari.

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Il verbale di interrogatorio è stato fatto tutto d’un fiato.

Parlava senza fermarsi, ancora carica dell’adrenalina scatenata dalla liberazione, dalla nottata passata in ambasciata a Mogadiscio, dal viaggio di ritorno. Sin dal primo momento in cui è arrivata a Roma ha ripetuto come un mantra di essere serena, ribadendo di non essere stata maltrattata e di aver avuto garanzia dai suoi carcerieri che non l’avrebbero uccisa. Del resto, al Shabaab finanzia da sempre il gruppo con il denaro dei sequestri. E Silvia non doveva essere toccata.
Durante gli spostamenti tra un luogo e un altro – ha raccontato lei stessa – «mi facevano salire in auto, in moto, o anche su un carretto. Mai a piedi. E una volta raggiunto il nuovo posto dove fermarsi, mi ritrovano da sola in una stanza, dove, non molto distante, c’era un bagno. Non ho visto altri occidentali, né ho vissuto con altre donne. Ho sentito parlare di altri rapiti, ma non mi è capitato di incontrarne».

LA RICHIESTA

Nelle varie fasi della trattativa per il suo rilascio, sembra che i carcerieri abbiano provato a cedere più di un ostaggio, in cambio di dieci milioni di dollari. Ma l’accordo non ha mai avuto seguito e l’Italia ha proseguito per la sua strada. Nell’aprile del 2019 il gruppo terroristico ha sequestrato in Kenya due medici cubani, parte di un gruppo di 100 medici arrivati nel Paese nel 2018 per potenziare il sistema sanitario nazionale. Sono tuttora nelle mani dei jihadisti insieme a una infermiera tedesca, del Comitato internazionale della Croce rossa, rapita nel maggio del 2018 a Mogadiscio. Ed è certo che anche per loro sia in corso una trattativa.

Silvia ha passato molto tempo nella regione del basso Shabelle e nella regione di Bay. Era nelle mani di Amniyat, le unità di elite di al Shabaab, ed è proprio per questo che è stata trasferita più volte, almeno sei, perché era con una fazione che conosce e controlla molto bene il territorio e sa come anticipare le operazioni delle forze di sicurezza.
La conversione è arrivata dopo circa 5 mesi dal giorno del sequestro, ed è avvenuta con una vera cerimonia, alla quale erano presenti anche due dei carcerieri. «Avevo bisogno di credere in qualcosa – ha dichiarato la cooperante agli inquirenti – Di conoscere le ragioni di quanto mi stava accadendo. Ho espresso la volontà di diventare musulmana. Ho recitato le formule e ho dichiarato che Allah è l’unico Dio. È durato tutto pochi minuti. Nessuno mi ha obbligata, è stata una mia scelta. E in quel momento ho scelto di chiamarmi Aisha».

Gli inquirenti ora stanno verificando se esistano contatti tra il commando e i somali e in che occasioni siano stati girati i tre video che poi sono stati inviati come prova in vita. I video, soprattutto l’ultimo del 22-23 aprile, potrebbero fornire elementi utili anche per agire sulla rogatoria con la Somalia: sono tutti stati fatti con un telefonino e girati dal carceriere che parlava inglese. «Mi spiegava cosa dovevo dire, premettendo sempre nome, cognome e data», ha ricordato la ragazza. La procura e il Ros stanno anche analizzando i documenti in loro possesso. Tra questi una serie di tabulati telefonici recuperati nell’estate del 2019 nel corso di una missione effettuata in Kenya nell’ambito dell’accordo di collaborazione tra gli inquirenti dei due paesi culminato con un vertice a piazzale Clodio nel luglio dell’anno scorso.

(Il Messaggero)

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