L’interfaccia di programmazione per la notifica dell’esposizione arriva su iPhone e dispositivi Android con le ultime versioni di iOS e dei Mobile Services del Play Store.
Ora mancano solo le app di tracciamento ufficiali, che dovrebbero arrivare a giorni. Le diverse soluzioni europee, però, al momento non “comunicheranno” tra di loro
A poco meno di un mese e mezzo dall’annuncio, datato 10 aprile, l’iniziativa congiunta di Apple e Google per la creazione di un sistema di notifica dell’esposizione al COVID-19 ha raggiunto il primo traguardo importante. Da oggi, con la disponibilità della versione 13.5 di iOS per iPhone e con l’aggiornamento dei Google Mobile Services tramite il Play Store di Android, l’interfaccia di programmazione (API) per le app di tracciamento debutta sugli smartphone di centinaia di milioni di utenti nel mondo.
Il sistema fornito da Apple e Google, è bene ricordarlo, non è in sé un’applicazione per il tracciamento, bensì un sistema che adopera il Bluetooth per evidenziare il potenziale contatto con un soggetto positivo al Coronavirus.
Le cosiddette API fornite dalle due aziende sono in pratica le fondamenta su cui le autorità sanitarie nazionali possono costruire applicazioni dedicate al tracciamento vero e proprio (come la nostra Immuni). Saranno dunque le autorità locali, come già è stato più volte chiarito, ad impostare le applicazioni sulla base dei parametri resi disponibili dalle API di Google e Apple (ne avevamo parlato in dettaglio in questo precedente articolo).
Sulla base della durata del contatto, della potenza del Bluetooth, e di altre caratteristiche dello “scambio” di segnale, le varie app nazionali potranno stabilire cosa considerare come “evento” potenzialmente a rischio. Sempre alle specifiche app vengono inoltre demandati i passaggi successivi in caso di contatto avvenuto, ovvero tutte le operazioni successive volte al contenimento del contagio.
Una collaborazione necessaria
La collaborazione inusuale tra i nemici-amici Apple e Google si è resa necessaria, spiegano i portavoce delle aziende, per sopperire alle limitazioni tecniche della tecnologia Bluetooth. In particolare gli iPhone e gli smartphone Android, senza questo sistema, non sarebbero in grado di rilevare la reciproca presenza con facilità, mentre su iPhone ad esempio non è possibile tenere attivo il Bluetooth anche quando un’app è chiusa (con queste API invece sì).
Quello che i due colossi californiani hanno fatto in questo mese e dieci giorni (un battito di ciglia, nell’ambito delle tempistiche di sviluppo software a questi livelli) è stato ripensare il modo in cui i rispettivi sistemi operativi controllano il Bluetooth, allo scopo di fornire alle autorità sanitarie e ai governi il miglior strumento possibile. Rispetto a soluzioni indipendenti, le API di Apple e Google offrono diversi vantaggi: ottimizzano l’uso del Bluetooth per evitare di sprecare batteria e impongono regole stringenti sulla privacy, impedendo ad esempio di implementare la localizzazione GPS nelle app, oppure di raccogliere più informazioni personali del necessario. Tutti elementi pensati per favorire inoltre la massima adozione possibile delle app da parte dei cittadini, obiettivo fondamentale per garantire che il sistema funzioni davvero come strumento di aiuto al tracciamento dei contatti.
Le app europee non parleranno tra di loro?
Nell’annunciare la pubblicazione delle nuove API, Apple e Google hanno voluto in ogni caso reiterare che queste API e le app che le utilizzeranno “non sono una panacea”, ma solo uno strumento utile ad ottimizzare su scala più ampia il tracciamento manuale. L’adesione da parte delle autorità nazionali, ad oggi, è comunque già buona. Molti stati americani baseranno le proprie app su questo sistema, e così anche 22 autorità sanitarie nazionali sparse in cinque continenti.
Le aziende non hanno fornito dettagli sui paesi inclusi nella lista, ma sappiamo già che l’app italiana si baserà su queste API (una descrizione tecnica di “Immuni” è già disponibile online). Così anche l’app tedesca, che tuttavia non è ancora stata annunciata ufficialmente.
Un dettaglio che al momento rimane poco chiaro, però, è quello dell’interoperabilità tra applicazioni di nazioni differenti. Nonostante le app in corso di sviluppo utilizzino la stessa infrastruttura software di iOS e Android, con ogni probabilità non “parleranno” tra di loro.
Questo perché, ci spiegano da Apple e Google, i paesi europei hanno deciso per un approccio “country-level”, basato cioè sul tracciamento entro i confini nazionali, mentre ad esempio le app di diversi stati americani, che hanno scelto un approccio macro-regionale, saranno in grado di comunicare l’una con l’altra.
In altre parole, se quest’estate il turista tedesco in visita in Italia, dotato dell’app ufficiale tedesca, dovesse entrare in contatto con un italiano che utilizza “Immuni”, nessuno dei due verrà avvisato dalla rispettiva app dell’eventuale positività dell’altro al Coronavirus. Questo aspetto non è ancora del tutto chiaro e può darsi che in una fase più avanzata le app possano aggiornarsi per ampliare la compatibilità con le controparti di altri paesi europei.
Proprio perché altrove (si veda il caso degli Stati Uniti) l’interoperabilità tra le app è possibile, si può desumere che questa assenza di una concertazione europea sia risolvibile solo attraverso un approccio congiunto delle autorità sanitarie dei vari paesi. È una prospettiva tanto necessaria nell’ottica di una riapertura completa dello spazio Schengen, quanto improbabile al momento data l’attenzione dei singoli paesi allo sviluppo di un’app nazionale che funzioni perlomeno all’interno dei confini di appartenenza.
Quando arrivano le app?
Ora che le API di Apple e Google sono finalmente pubbliche, mancano solo le applicazioni. I portavoce delle due aziende, come già in altre occasioni, si astengono dal commentare i piani dei singoli paesi che hanno chiesto di utilizzare le API. Tuttavia, ricordano, la versione finale del sistema è disponibile in beta ormai da una settimana e mezzo. Gli sviluppatori che stanno lavorando alle applicazioni hanno dunque già avviato il test delle prime versioni delle app e si suppone che vedremo arrivare le prime su App Store e su Google Play Store dalla prossima settimana. Le procedure di approvazione degli Store dovrebbero inoltre essere molto più veloci rispetto all’approvazione delle app generiche, in quanto sviluppatori e aziende stanno lavorando a stretto contatto.
A giudicare dalle specifiche pubblicate e dallo stato di avanzamento dello sviluppo dell’interfaccia, anche l’app “Immuni” dovrebbe essere ormai in dirittura d’arrivo. Alcuni commentatori suggeriscono che un eventuale ritardo dell’app andrà a detrimento della sua adozione e della sua efficacia. A favorirne l’installazione e dunque l’efficacia, chiariti ormai gli aspetti tecnici e relativi alla privacy, saranno piuttosto le future campagne di sensibilizzazione da parte delle istituzioni.
Va ricordato infine ancora una volta che l’app non è una bacchetta magica, bensì uno strumento in più per favorire il tracciamento su larga scala. Se in questa fase due, con una diminuzione dei contagi, non ricoprirà magari un ruolo di primo piano, l’app sarà comunque uno strumento utile per favorire un ritorno alla normalità e per favorire la prevenzione in caso di ondate successive di contagio, o ancora per evidenziare ed isolare tempestivamente eventuali nuovi focolai di Coronavirus.
(La Stampa)