Oggi la decisione della data per la ripartenza della Serie A.
Ricostruiamo i momenti salienti del ‘lockdown’ del pallone, tra contagi e polemiche in cui si sono mescolate preoccupazioni per la salute, calcoli economici e di classifica
Il calcio italiano si è fermato ufficialmente il 9 marzo con il decreto del governo sull’emergenza coronavirus che ha imposto la sospensione di tutte le attività sportive, compreso il campionato di calcio di Serie A.
Da allora è iniziato un lungo e inusuale digiuno per i tifosi, in pratica un’intera stagione meteorologica, quella primaverile, senza partite, neppure amichevoli. Ricostruiamo i momenti salienti del ‘lockdown’ del pallone, tra contagi e polemiche in cui si sono mescolate preoccupazioni per la salute, calcoli economici e di classifica.
Lo stop
L’ultima partita giocata in Serie A è Sassuolo-Brescia, posticipo di lunedì 9 marzo, finito 3-0 per gli emiliani. Ancora negli occhi c’è la scritta mostrata dall’attaccante nero-verde Francesco Caputo, dopo un gol: “Andrà tutto bene, restate a casa”. La 26esima giornata, del resto, era andata in scena tutta a porte chiuse, con il big match tra Juventus e Inter terminato 2-0 in favore dei campioni d’Italia.Una sfida storica che diventa l’oggetto delle ironie social per la sua mancanza di tifo, di cori, di pathos. Poche ore dopo e’ il premier Giuseppe Conte a decretare il primo parziale triplice fischio per l’intera stagione calcistica attraverso un Dpcm che sospende tutte le manifestazioni sportive nel territorio nazionale.
Ci sarà ancora un’appendice per l’Atalanta che il giorno dopo disputerà il ritorno della gara di Champions League, a Valencia, conquistando una storica qualificazione ai quarti di finale. Una doppia sfida, quella con la squadra spagnola, che sara’ poi indicata da molti come probabile concausa della diffusione del contagio in Lombardia e nel sud della Penisola iberica.
I contagi di marzo
L’11 marzo arriva la notizia del primo contagio tra i calciatori del campionato di Serie A. Daniele Rugani, difensore della Juve, e’ risultato positivo al Covid-19. Il giorno dopo tocca all’attaccante della Sampdoria, Manolo Gabbiadini. Al 18 marzo il numero crescera’ ancora con l’aggiunta di Matuidi e Dybala (Juventus), Zaccagni (Verona), Colley, Ekdal, La Gumina, Thorsby, Depaoli e Bereszynski (Sampdoria), Sportiello (Atalanta) Vlahovic, Cutrone e Pezzella (Fiorentina). Quindici in tutto.
Si teme il peggio e si fa strada sempre più l’ipotesi di una sospensione definitiva della stagione agonistica, avvalorata anche da un’altra serie di decisioni di notevole importanza: gli Europei di calcio vengono definitivamente posticipati di un anno, il centro di Coverciano si trasforma in un ospedale Covid, si moltiplicano le voci di altri campionati del Vecchio Continente pronti a gettare la spugna.
Aprile, stipendi e “botta” francese
All’inizio di aprile è la questione economica a sovrastare i discorsi sull’eventuale ripresa effettiva della Serie A. Si discute dei tagli agli stipendi dei calciatori, dei diritti televisivi delle partite non trasmesse, degli aiuti per i lavoratori dipendenti delle squadre. Intanto, pero’, i contagiati iniziano a guarire.
I primi sono Rugani e Matuidi, mentre il caso Dybala, positivo per oltre 40 giorni, diventerà oggetto di mistero e dibattito tra virologi e commentatori sportivi. Il 20 aprile, al Consiglio di Lega, le società si schierano compatte per la ripartenza del campionato. La cosiddetta “Fase 2” è entrata ormai stabilmente nei calendari e anche il calcio prova a ritagliarsi uno spazio nell’eventuale ripartenza del Paese.
Il 28, pero’, arriva una “botta” direttamente dalla vicina Francia. La Ligue 1, massimo campionato transalpino, decide di sospendere definitivamente le proprie partite. E il partito dello stop definitivo torna a prendere fiato.
Maggio e il soccorso tedesco
A controbilanciare la chiusura francese arriva l’apertura tedesca. Il 6 maggio la Bundesliga annuncia la ripartenza, fissata per meta’ mese, eleggendosi come modello da imitare. Pochi giorni prima, la parziale riapertura dal lockdown del 4 maggio, aveva permesso i primi allenamenti individuali ai calciatori italiani, seppur con profonde limitazioni. Il 7 maggio inizia il “balletto” dei protocolli. Le bozze vengono rimbalzate tra la Figc, il Comitato tecnico-scientifico e i Ministeri della Salute e delle Politiche giovanili e dello Sport.
Dopo analisi, correzioni e compromessi, si arriva alla situazione odierna con la possibilità di svolgere allenamenti di gruppo in piena sicurezza e un elenco di misure specifiche da seguire prima, durante e dopo le sessioni giornaliere. Nel frattempo la notizia di qualche altro contagio viene diffusa ma, come nei casi del Torino, della Fiorentina e della Sampdoria, i nomi degli atleti e dei membri dello staff coinvolti non vengono resi noti.
Occorre segnalare, infine, la presa di posizione degli ultras di tutta Europa che il 13 maggio, in un comunicato congiunto firmato da 360 realtà, chiedono lo stop definitivo dei campionati denunciando “il solo interesse economico” come motivazione alla base della ripresa delle partite.
A che punto siamo
Tutti i verdetti sono ancora avvolti nell’imprevedibilità. Dalla lotta Scudetto, che comprende Juve e Lazio, con l’Inter leggermente staccata che sogna la rimonta, alla qualificazione alle coppe europee con Atalanta e Roma a giocarsi l’ultimo posto in Champions e almeno sette squadre, dal Napoli al Cagliari, a lottare per l’accesso alla prossima Europa League.
Nelle parti basse della classifica si riparte con Brescia e Spal leggermente staccate dal gruppo delle pretendenti alla salvezza che comprende Lecce, Genoa, Sampdoria, Torino e Udinese. Ma la distanza tra le squadre è talmente ristretta che tutto, visto anche lo stop di oltre tre mesi, può essere rimesso in discussione in poco tempo.
Le giornate che mancano sono ben 12, più 4 recuperi, e i punti a disposizione sono tanti. Bisogna aggiungere a questo scenario la Coppa Italia interrotta prima della disputa delle gare di ritorno di semifinale tra Juventus-Milan (and. 1-1) e Napoli-Inter (and. 1-0).
Le questioni aperte
Oltre alla decisione sulla data di ripartenza della Serie A ci sono ancora alcuni nodi che devono essere sciolti. L’orario delle partite, ad esempio, con i giocatori che avrebbero bocciato la proposta delle 16.30 domenicali, preferendo mantenere le opzioni del tardo pomeriggio, 18 o 18.30, e serali, alle 21. Si discute inoltre del tema che riguarda la messa in onda delle partite, stabilendo se la formula “diretta gol” possa essere trasmessa in chiaro. Il tutto mentre si e’ aperto il contenzioso sui diritti audiovisivi tra la Lega di Serie A e Sky.
Rimangono sullo sfondo, opachi ma ancora visibili, gli scenari che propongono soluzioni pià rapide come quella dei playoff e dei playout. Insomma, il calcio prova a ripartire, stavolta definitivamente, per poter decretare vincenti e perdenti. Ma soprattutto sperando di non doversi fermare più.
(Agi)