Crisi dello spettacolo. Costretti allo stop dalla pandemia, i lavoratori manifestano in 15 città per i diritti e nuove norme. Facchini, rider, sarti, truccatori, registi, attori, musicisti, tutti insieme domandano tutele e rivendicano la qualità del loro lavoro
A marzo avevano scritto al governo: circa 200mila lavoratori intermittenti dello spettacolo erano del tutto esclusi dalle misure di sostegno previste dal dl Cura Italia. Da allora videoriunioni e gruppi locali hanno tessuto una rete da cui è nato un Coordinamento nazionale di collettivi, movimenti, sindacati di base, professionisti che si riconoscono negli articoli 4, 9 e 33 della Costituzione cioè quelli che tutelano il lavoro, lo sviluppo della cultura e la sua libertà. Il 19 maggio hanno chiesto un incontro al premier Giuseppe Conte, al ministro della Cultura Dario Franceschini e alla titolare del dicastero Lavoro, Nunzia Catalfo: «La risposta è stata il silenzio», spiegano. Così oggi pomeriggio saranno in piazza in 15 città da nord a sud, da Brescia a Catania (l’elenco su facebook alla voce «Mobilitazione Nazionale: Agitazione permanente della cultura e dello spettacolo»). Se il silenzio perdurerà la protesta sarà nazionale, appuntamento a Roma il 13 giugno.
SONO LA STRUTTURA
che rende possibile ogni forma di spettacolo: sono facchini, rider, sarti, truccatori, elettricisti, un elenco lunghissimo di professionisti. Sono fianco a fianco di registi, attori, musicisti, tutti insieme rivendicano la qualità del loro lavoro, che va tutelato. La maggior parte ha impieghi intermittenti, molti sono costretti a lavorare a progetto, col tirocinio, con contratti brevissimi o a nero. Al governo chiedono, sul modello francese, «un reddito di continuità che traghetti il comparto culturale fino alla ripresa piena dei singoli settori e ne garantisca l’esistenza». E un tavolo di confronto tecnico sulla riapertura: «Priorità tutelare la salute per lavoratori e pubblico; protocolli di sicurezza; finanziamenti pubblici; strumenti di riforma sia per la ripartenza in presenza che per una virtualità sostenibile e democratica». L’uso dello streaming, così come proposto da Franceschini, uccide molte professionalità.
Non solo. Come spiegano i collettivi di Venezia (appuntamento alla Stazione Santa Lucia alle 14.30):«L’ultimo decreto del presidente del consiglio regolamenta l’impossibilità per quest’estate di produrre eventi culturali e rimarca che la cultura si può dare solamente dove crea grandi profitti. I costi per produrre a norma diventano insostenibili. Un dpcm di classe che facilita la ripresa del settore solamente per i grandi organizzatori di eventi che sulla cultura e lo spettacolo riescono a scaricare il costo del lavoro negli anelli più deboli, creando le condizioni per l’ipersfruttamento, il lavoro nero e il risparmio sulla sicurezza».
UN SETTORE
che non è riuscito a strutturarsi con un sindacato: «Difficile – spiega Cecilia Muraro, della sigla Adl Cobas – perché una categoria che non è stata mai unita semplicemente perché contiene diverse tipologie che hanno una loro precisa specificità. Negli anni scorsi si è tentato di creare un albo per i lavoratori e le lavoratrici, ma è andato tutto scemando…». E poi c’è il problema delle diverse regolamentazioni contrattuali: «È tutto complicato infatti: ci sono contratti a tempo determinato, indeterminato, gli intermittenti». Gli artisti fermi hanno più volte espresso solidarietà nei confronti dei lavoratori, ma qualche posizione è sembrata un po’sfuggente… :«Mi sembrano tutti responsabili ma chiaramente ci sono degli equilibri politici difficili da modificare e poi le scelte dei tour manager. Assomusica che gestisce i grandi eventi – come Vasco Rossi – ha sospeso tutto e rimandato al 2021, ma Otr – dove ci sono Diodato, Daniele Silvestri, Max Gazzè ha già dichiarato di voler comunque andare in tour. Ma come bisogna vedere: per rientrare dei costi devi necessariamente ridurre e magari tenere solo 2 persone che fanno tutte le mansioni. Io non so se è più responsabile chi dice che si ferma per un anno o chi annuncia invece di andare in tour, perché il problema è che in entrambi i casi la tutela e la continuità di reddito per tutti non è garantita».
LO STOP FORZATO
sta generando il rischio di perdere molte competenze, tanti professionisti pensano di gettare la spugna e di riconvertirsi in altri settori: «Sarebbe terribile perché porterebbe all’estinzione dei quadri di questo lavoro». Una professionalità costruita negli studi di aggiornamento, che ogni tecnico fa – a sue spese – durante i mesi di pausa: «E poi devi dotarti – spiega Elio Balbo, tecnico delle luci fermo dal 24 febbraio scorso – di strumenti molto costosi». Nel comparto dello spettacolo sono impiegati 1 milione e mezzo di occupati, il 6% della forza lavoro, 400 mila sono intermittenti: «Tutte queste persone hanno bisogno di un sostegno che gli permetta di arrivare alla ripresa altrimenti si creano sacche di miseria».
E sulla questione dei protocolli: «È importante che siano costruiti con un senso, per questo devono essere coordinati con gli stessi operatori. La parola d’ordine è ‘convocateci dal vivo’, vogliamo un’apertura di un tavolo di emergenza e dobbiamo essere noi lavoratori a rappresentarci».
(Il Manifesto)