23 Novembre, 2024
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La Germania ha compreso la lezione greca del 2008

Recovery Fund. Una svolta verso il federalismo prima del semestre di presidenza tedesca

Un segnale politico e una svolta «storica» nel metodo, che apre lo spiraglio del federalismo, con il piano Next generation Eu presentato dalla Commissione.

La Germania dal primo luglio è ai comandi, il caso ha voluto che tocchi al paese che pesa di più nella Ue la presidenza semestrale a rotazione del Consiglio Ue, dopo che Angela Merkel con Emmanuel Macron ha aperto la strada al Recovery Plan. «Quando la Germania aiuta la Spagna e l’Italia, aiuta se stessa, se esitiamo, una seconda Brexit in Italia diventa possibile» (Markus Söder, presidente della Baviera).

La svolta riguarda il metodo di finanziamento per il rimborso del prestito comune proposto: la creazione di nuove e consistenti risorse proprie.

Una risposta ai «frugali», la cui prima preoccupazione è evitare un aumento dei contributi degli stati. Una tassa digitale, una carbon tax alle frontiere esterne, il trasferimento alla Ue dei proventi dello scambio di Co2. Gli stati devono accettare di trasferire alla Ue parte delle entrate fiscali (molte nuove, impossibili da imporre a livello nazionale), creando una base federale tra tasse e debito comuni. La Commissione acquisisce un margine di autonomia.

Al di là delle cifre mirabolanti che quasi non fanno più impressione – si parla di 750 miliardi di euro – il piano presentato da Ursula von der Leyen ha mandato un segnale immediato, una replica del whatever it takes di Mario Draghi del 26 luglio 2012 che salvò l’euro: i paesi europei non sono soli, soprattutto quelli più indebitati, ma hanno dietro tutti gli altri, esiste una coesione per evitare che lo choc creato dalla crisi del Covid porti a risposte asimmetriche, che accentuando le divergenze tra i paesi rischierebbero di spaccare la Ue (e di mettere fuori dall’euro i più deboli, come ha messo in guardia qualche giorno fa la Bce).

La Ue, che gode della notazione AAA, prenderà a prestito sui mercati i miliardi necessari, a tassi più che favorevoli, per poi redistribuire queste risorse a seconda dei bisogni.

Il rimborso, a partire dal 2028, dopo trent’anni di maturità media. Sarà un debito Ue, che non rientra nella contabilità nazionale e sul rimborso la ripartizione sarà stabilita tra 8 anni (quindi sono un po’ prematuri i calcoli sul rapporto contributi/trasferimenti, si vedrà come sarà allora la ricchezza relativa). Al suo interno è in discussione la spartizione tra 500 miliardi di trasferimenti e 250 miliardi di prestiti, ma il tutto avverrà attraverso il bilancio Ue, il canale storico che permette il rilancio e che ha già in mano tutti gli strumenti adatti.

Per l’immediato – ieri la Francia ha auspicato una decisione definitiva a luglio – ci sarà una modifica del budget in corso: è richiesto un voto all’unanimità in Consiglio e all’Europarlamento, ma non nei parlamenti nazionali.

Poi dovrà essere approvato il bilancio 2021-27, bloccato a febbraio dallo scontro nord-sud: la crisi del Covid fa sperare che molti ostacoli saranno superati. Le condizionalità esistono, si tratta del rispetto degli obiettivi della Ue, il Green New Deal, la svolta digitale, l’investimento per le nuove generazioni. Sono soldi pubblici, ci sono regole da rispettare, «raccomandazioni» agli stati (che nei fatti finora hanno rispettato molto di più i «frugali» dei paesi indebitati del sud) e saranno gli stati a fare i loro «piani», su questo non c’è veto. La lezione del 2008 sembra essere stata compresa: non dovrebbe ripetersi un «caso Grecia».

(Il Manifesto)

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