Nessuno ha mai detto che il virus è sicuramente mutato, né che non esiste più, ma il fatto che i pazienti che vengono ricoverati oggi siano “diversi” e meno gravi rispetto a quelli di un mese fa è una “evidenza clinica”.
E’ questa in sintesi la linea comune fra alcuni dei più noti medici italiani in prima linea nella lotta contro il coronavirus, rispetto alla posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e di diversi scienziati britannici e statunitensi, secondo cui non c’è una evidenza scientifica che la gravità del Covid-19 sia cambiata.
ZANGRILLO: MAI DETTO VIRUS MUTATO, MA ORA MALATTIA DIVERSA
“La mia è una osservazione puramente clinica, assistita dallo studio virologico del professor Massimo Clementi, e la derivo dall’osservazione nel mio ospedale che ha avuto sino a 1.200 ricoverati all’apice della crisi, 150 dei quali in terapia intensiva”, dice il professor Alberto Zangrillo, docente e primario di Anestesia e Rianimazione all’Ospedale San Raffaele di Milano, la cui intervista televisiva alla Rai di domenica scorsa ha suscitato un’ondata di commenti e reazioni anche internazionali.
“Dal 21 aprile non abbiamo più ricoverato pazienti in condizioni gravi – scandisce – Ora noi abbiamo a che fare con una malattia completamente diversa. E questo dato arriva dal confronto con i responsabili di tutti gli ospedali dell’area metropolitana milanese e anche dagli ospedali delle aree più colpite, come il Papa Giovanni XXIII di Bergamo e quelli di Crema, Cremona e Lodi”.
“Non abbiamo mai detto che il virus è mutato – ribadisce Zangrillo – Abbiamo detto che è cambiata l’interazione fra il soggetto ospite e il virus. E questo può derivare o da una caratteristica differente del virus, che non abbiamo dimostrato, o da caratteristiche diverse a livello recettoriale dell’ospite”.
Zangrillo tiene a sottolineare che le sue considerazioni non equivalgono a un ‘liberi tutti’. “Al contrario, significa che se continueremo a tenere i comportamenti virtuosi che abbiamo tenuto finora, probabilmente fra un mese avremo risultati anche migliori”.
CLEMENTI: POSSIBILE CO-ADATTAMENTO, ORA STUDIO PIU’ AMPIO
Il professor Massimo Clementi è direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia del San Raffaele, ed è curatore di uno studio che, spiega, verrà pubblicato dalla rivista scientifica “Clinical Chemistry and Laboratory Medicine” entro la prossima settimana.
Lo studio del San Raffaele, condotto su un campione omogeneo di cento pazienti dei primi quindici giorni di marzo confrontato con un analogo campione di altri cento pazienti negli ultimi quindici giorni di maggio, evidenzia che la carica virale negli ammalati di fine maggio è notevolmente ridotta.
“Test genetici li facciamo di routine. Cerchiamo verifiche su sequenze virali – dice il professor Clementi – E non abbiamo notato mutazioni rilevanti: il virus non sembra sia mutato da un punto di vista genetico”.
“Il nostro studio è partito quindi dall’evidenza clinica che la malattia ha cambiato profilo – continua – E’ una cosa abbastanza abituale in un nuovo virus. Capita spesso che, dopo una fase di grande aggressività, ci sia una forma di coadattamento, fra virus e ospite”.
Il professor Clementi per il suo studio ha quindi applicato una tecnica quantitativa che aveva utilizzato nei primi anni 90 per l’Hiv “un virus diverso che più replica e più fa danno”, che consente di misurare l’Rna del virus.
“Con una metodologia un po’ forzata, perché in questo caso abbiamo usato campioni ottenuti da tamponi rispetto al prelievo di sangue utilizzato per l’Hiv – precisa Clementi – Abbiamo diviso i pazienti per fasce omogenee, e quel che è emerso è che i pazienti di maggio avevano una carica virale straordinariamente più bassa di quelli di marzo, anche considerando soggetti con età superiore ai 65 anni”.
“Capire da cosa questo sia determinato – sottolinea – non lo so. Ma mi pare un dato significativo”.
“Ora vorremmo fare uno studio più ampio in più centri – conclude – Siamo in contatto con il professor Guido Silvestri, virologo ad Atlanta (Usa), per fare uno studio comparativo fra 1.000 suoi soggetti e 1.000 soggetti nostri”.
BASSETTI: DA TIGRE A GATTO SELVATICO
Sulla stessa lunghezza d’onda dei due colleghi è il professor Matteo Bassetti, docente di Malattie Infettive all’Università di Genova e direttore della Clinica Malattie Infettive e Tropicali dell’Ospedale genovese San Martino.
“Fondamentalmente nelle ultime tre-quattro settimane i nostri pazienti sono molto cambiati – dice – In parole povere se prima il virus si presentava come una tigre assassina ora si presenta come un gatto selvatico addomesticabile”.
“Prima almeno il 10% dei malati che arrivavano al San Martino avevano bisogno di assistenza ventilatoria, ora non arriva più nessuno in quelle condizioni”.
Il professor Bassetti dice che al momento non si sa la ragione di questo cambiamento e che, oltre a quello del San Raffaele ci sono studi in corso a Brescia e a Padova che sembrano indicare che il virus “uccida meno cellule”.
“Per avere una conferma laboratorica, bisogna attendere la pubblicazione di questi studi”, precisa.
“Ma il fatto che i pazienti siano diversi rispetto a un mese fa è un dato di fatto – ribadisce il professor Bassetti – E non si può nemmeno dire che la ragione sia che ora i pazienti hanno accesso all’ospedale più rapidamente, perché qui a Genova non abbiamo avuto i livelli di emergenza di altre zone, e i pazienti sono sempre arrivati nelle prime fasi della malattia, non dopo aver passato giorni e giorni malati a casa”.
(Reuters)