“Il distanziamento sociale ha messo fuori gioco il bullismo “fisico”, ma potrebbe aver favorito il cyber bullismo; infatti la didattica a distanza delega alle famiglie la gran parte del controllo di ciò che accade ai ragazzi; famiglie che, purtroppo per inesperienza, non sono sempre in grado di riconoscere o gestire queste problematiche”.
Questo è quanto affermano Patrizia Chelini e Massimo Malerba, docenti dell’Istituto Comprensivo Corrado Melone di Ladispoli.
Dalla vostra esperienza di didattica a distanza sono emersi fenomeni di bullismo digitale?
“Si, per citare alcuni esempi ricordiamo che dai primi giorni di DaD abbiamo osservato che attraverso skype alcuni studenti “escludevano” altri buttandoli fuori dalla chat (ragion per cui abbiamo scelto di non usare più skype); molte studentesse non vogliono apparire in video; è semplicistico pensare che sia sempre o solo per eludere un’interrogazione o per nascondere degli appunti, crediamo che spesso sia per problemi legati all’accettazione di sé o magari per la paura che i compagni possano scattare foto, registrarle per prenderle in giro; c’è infine un abuso di whatsapp”.
La classe, con tutti i suoi limiti, con le antipatie, la creazione di gruppi, le piccole o grandi prepotenze che vi si possono riscontrare, è un luogo fisico in cui i problemi si possono creare, ma possono anche essere portati alla luce e risolti, con l’aiuto del gruppo dei pari o, in molti casi, dove si crea un rapporto di fiducia, dei professori
“Non è un caso che uno dei primi modi per contrastare il bullismo e il cyberbullismo proposto ai ragazzi è il circle time: uno spazio periodico in cui l’insegnante faccia solo il facilitatore della comunicazione, e gli studenti siano lasciati liberi di esprimersi sulle situazioni problematiche che vivono, ed eventualmente di proporre soluzioni.
Abbiamo più volte osservato che sia il bullismo che il cyberbullismo si nutrano del silenzio della vittima; nei casi di cyberbullismo questo è paradossale, si ha il massimo dell’esposizione pubblica, ma ci si ‘nasconde’ per la vergogna di parlarne”.
Per contrastare questi fenomeni bisogna portarli alla luce, e nella situazione attuale, in cui ognuno è confinato nella propria casa o camera, c’è il grosso rischio che trovare il coraggio di parlare con qualcuno sia ancora più difficile
“Naturalmente il primo aiuto in tempi di confinamento dovrebbe venire dalle famiglie, che dovrebbero mantenere un clima il più possibile sereno e comunicativo”.
Cosa può fare la scuola per limitare i danni che il cyberbullismo provoca?
“Poiché non sempre questo è possibile, e può capitare che le vittime di bullismo siano tali anche perché hanno situazioni difficili in casa, la scuola deve fare quello che può, anche se gli strumenti di questo periodo sono limitati rispetto a quelli ordinari.
Alcune psicologhe si sono messe a disposizione per aiutare gli studenti in questo periodo di emergenza anche psicologica. Questi incontri sono utili in tutte le classi e tanto più in quelle in cui si sospetta possano esserci sofferenze o prepotenze particolari.
Ma è anche lo spazio della video-lezione che dovrebbe essere pensato come un momento non solo trasmissivo, ma un’occasione per far parlare gli alunni.
Se si fa una didattica solo trasmissiva in classe, infatti, c’è sempre qualche momento che sfugge alla mera esposizione dei contenuti o alla correzione degli esercizi; c’è la ricreazione, il momento della battuta, dello scherzo, i cambi dell’ora; se si spiega e basta, durante la video-lezione, gli studenti hanno solo quello, viene a mancare qualsiasi spazio protetto per esprimersi.
Anche i compiti assegnati dovrebbero tenere conto della nuova situazione; largo spazio ai temi, alle pagine di diario, alle lettere, alle poesie, in cui i ragazzi possano trovare il modo di raccontarsi”.
La didattica a distanza, in questo senso, ha degli aspetti positivi?
“Si, un aspetto positivo dell’attuale situazione è che si sono intensificati gli scambi tra docenti e studenti fuori dal momento della lezione, attraverso le mail e whatsapp, e questo, in presenza di un rapporto di fiducia con l’insegnante, è sicuramente un buon sistema per monitorare la situazione.
In conclusione, la didattica a distanza richiede un ripensamento complessivo della situazione dei singoli alunni, e un’attenzione a tutti gli aspetti che il confinamento ha portato con sé.
Non si tratta tanto di scegliere la piattaforma migliore su cui creare la classe virtuale, ma di essere educatori, dunque aperti a cogliere le novità del momento e ad adeguare ad esse il nostro lavoro coi ragazzi”.
Erica Trucchia