L’esigenza deve essere circoscritta e legata a situazioni di oggettiva necessità
Il lavoro agile, come configurato dalla legge 81/2017, presuppone in tempi “normali” il consenso delle parti (lavoratore e datore di lavoro), e si fonda su un accordo individuale stipulato in forma scritta. Nel periodo di emergenza, in virtù dei vari provvedimenti che si sono susseguiti, la regola del consenso è stata derogata, per entrambe le parti ma in modo diverso.
Lo smart working può essere imposto unilateralmente dal datore di lavoro, come ribadisce da ultimo l’articolo 90 del Dl Rilancio. Viceversa, in generale, non può essere preteso dal lavoratore, salvo in alcuni casi specifici, in cui la legge ha stabilito priorità e diritti.
Quando scatta la precedenza
Prima della pandemia, era prevista solo una priorità nell’accesso allo smart working per le lavoratrici madri nei tre anni successivi al congedo di maternità e per i lavoratori con figli disabili (legge 145/2018). Non un diritto dunque, ma solo una priorità nell’accoglimento delle richieste, in caso di effettiva implementazione (decisa dal datore di lavoro) del lavoro agile in azienda.
Quando scatta il diritto
Nell’emergenza Covid, sono stati individuati alcuni casi in cui il dipendente ha invece un vero e proprio diritto a lavorare in modalità agile, ed è stata aggiunto un caso di priorità nell’accoglimento delle richieste. Il Dl Cura Italia ha stabilito il diritto allo svolgimento della prestazione in modalità agile, fino alla cessazione dello stato di emergenza (31 luglio 2020), per i lavoratori con grave disabilità e per quelli immunodepressi (o con familiari conviventi gravemente disabili o immunodepressi), a condizione che la modalità agile sia compatibile con la mansione. Contemporaneamente, ha previsto una priorità per chi è affetto da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa.
Il Dl Rilancio ha esteso il diritto al lavoro agile ai dipendenti con figli minori di 14 anni,
a condizione che l’altro genitore non sia in cassa integrazione o inoccupato. Anche in questo caso il diritto può essere esercitato solo se la modalità agile è compatibile con le caratteristiche della prestazione. La valutazione di compatibilità non può che essere rimessa al datore di lavoro, che dovrà effettuarla secondo correttezza e buona fede, con esclusivo riguardo alla oggettività delle mansioni del lavoratore. Il diritto allo smart working è rafforzato dalla previsione della possibilità di utilizzo degli strumenti personali del dipendente. Quindi il datore di lavoro non potrà opporre alla richiesta del dipendente la mancanza di strumenti aziendali da assegnare. Naturalmente l’utilizzo di strumenti personali può porre delicati problemi di tutela dei dati aziendali, e richiederà la predisposizione di opportune cautele.
Il diritto a svolgere la prestazione in modalità agile non determina l’impossibilità per il datore di lavoro di richiedere la presenza in azienda in momenti e per necessità particolari. Il lavoro agile non è telelavoro, e si caratterizza per essere prestato in parte all’interno e in parte all’esterno dei locali aziendali. Ovviamente, considerata la situazione e la ratio dell’attribuzione del diritto, la facoltà di richiedere la presenza fisica dovrà essere circoscritta a occasioni particolari e di comprovata, oggettiva necessità.
(Il Sole24Ore)