Non si può parlare di rilancio senza parlare di agricoltura.
Il piano Colao (102 proposte per favorire la ripresa economica del paese in 121 pagine dal titolo «Iniziative per il rilancio – Italia 2020-2022», redatto dal comitato di esperti voluto dal Governo e guidato dal manager Vittorio Colao, ribattezzato appunto “piano Colao”) riporta l’Italia a quando nasceva Slow Food, più di trent’anni fa e si dimentica del vero tesoro d’Italia: la produzione agricola e alimentare di piccola scala.
E invece il nostro Paese ha necessità di trovare la strada delle produzioni di prossimità, del sostegno verso la transizione ecologica dell’agricoltura, della forte interazione tra produzioni locali e consumo, ha bisogno di puntare sui borghi e sulle botteghe, di rendere vive e vitali le terre alte, di credere in chi produce cibo senza devastare e magari di chiedere conto di quella devastazione a chi produce senza freni e con l’obiettivo la massimizzazione del profitto, costi quel che costi.
Riprendiamo l’intervento di Cinzia Scaffidi, giornalista docente dell’Università di Scienze gastronomiche, che qualche giorno fa sul suo blog (www.blog.cinziascaffidi.com) e poi su il manifesto ben inquadra le lacune del piano di supposto rilancio del nostro Paese. Con l’augurio che prima della sua attuazione abbia l’attenta revisione che necessita.
Condividiamo e riprendiamo le riflessioni di Cinzia pubblicate su Il manifesto del 12 giugno 2020
«Qualche giorno fa, sul mio blog, fingevo di scrivere a Vittorio Colao, immaginando che il Piano Colao fosse la sua tesi e io la sua relatrice. Gli dicevo, in sostanza, di lavorarci ancora un po’ su. Due sono le cose che più colpiscono, negativamente, di questo lavoro corale, che ha messo intorno a un tavolo (virtuale) tante preziose energie e tanta effettiva sapienza. La prima è la mancanza assoluta dell’analisi del problema. Com’è possibile che l’economia globale fosse così malferma, così poco reale e solida da far andar giù come birilli i bilanci di tutti quei paesi che alla vigilia del lockdown erano tronfi e compiaciuti del loro Pil?
Come si ragiona di futuro senza discutere il presente?
Fare un piano, significa mettere in discussione quello che si sta facendo. Pensare il futuro modifica il presente, se lo si fa per bene. Questo ci insegnano le cosiddette scienze del futuro, e ci insegnano anche che le previsioni o le proiezioni, che pure servono, non bastano se non si mettono in atto comportamenti anticipatori, i quali ci consentono di gestire il rischio. Posso sapere che pioverà oggi o domani e posso sapere anche con quale percentuale di probabilità. Ma la cosa importante che devo fare, se esco, è portare con me un ombrello. L’abbiamo capito tutti, in questi giorni, qui nella vita vera. Possibile che là, su Second Life, non se ne parlasse?
Allora, come cambiamo, oggi, per non ritrovarci alla prossima pandemia (che arriverà, le previsioni già ci sono) con le stesse debolezze e incapacità? Era di questo che dovevano ragionare.
Occorreva partire da una mappa degli errori, nella quale si chiarisse come questo Paese ha colpevolmente e avidamente devastato la sanità pubblica e di territorio, come ha indebolito la ricerca, come non ha supportato la scuola, come non si è curato della qualità della vita – lavorativa, sociale, culturale – nelle aree interne, nelle zone di montagna, al Sud. Una mappa delle ingiustizie, delle disuguaglianze, delle disparità di genere.
Ma la cosa che mi ha davvero scandalizzato è che da nessuna parte, in quel documento, si parla di agricoltura. Come fosse un elemento accessorio, una cosa utile solo a farsi belli nei pranzi di gala delle Ambasciate. In questi tre mesi la vita delle persone ha trovato un perno, un ritmo, un misuratore di benessere fisico e mentale nella relazione con il cibo.
Intorno all’agricoltura si devono posizionare i tavoli di costruzione del futuro dell’ambiente, della salute pubblica, della gestione corretta dei territori, della protezione della biodiversità, dell’occupazione.
Abbiamo re-imparato a fare la spesa, sono cresciute le quote di consumo del biologico anche se le istituzioni si son fatte guidare dalla facilità di gestione e di igienizzazione penalizzando le produzioni di piccola scala, l’artigianato alimentare di qualità, l’agricoltura virtuosa e favorendo solo la grande distribuzione. La quale invece si regge sulla grande industria alimentare che a sua volta si regge su un modello di agricoltura che – dal punto di vista economico, sociale, ambientale ed etico – è esattamente quello che oggi va messo in discussione, insieme a quei trattati commerciali internazionali che minacciano il senso stesso della produzione alimentare di eccellenza del nostro Paese.
Di tutto questo, nel Piano Colao, non c’è traccia.
Quando impareremo che un bravo imprenditore non dà, ipso facto, garanzie di visione o di capacità politiche?
Un imprenditore può permettersi di pensare solo alla sua azienda. Non dico che sia una cosa intelligente, ma se uno vuole lavorare come se non avesse mai aperto un libro, come se il resto dell’universo fosse lì per servirlo, lo faccia.
In un comitato tecnico che deve risollevare le sorti di un Paese, invece, servono tecnici che abbiano idea di cosa sia la politica e che sappiano che la politica, in democrazia, è “favorire i molti invece dei pochi” come diceva Pericle quasi 2500 anni fa.
Quando il sistema del profitto privato fallisce nella protezione del sistema-paese, bisogna ammettere che l’unica strada da cui passare è quella di un saggio, coraggioso, lungimirante e moderno intervento del pubblico. La ricerca, la scuola, la sanità, la difesa dei beni comuni (terra, aria, acqua e salute) fatta anche attraverso l’agricoltura, chiedono una relazione equilibrata dello Stato con il capitale privato.
E l’impresa privata deve imparare a fare il suo mestiere, magari iniziando a rileggersi l’articolo 41 della Costituzione: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».
(Slowfood)