Non è di elenchi delle cose da fare che il Paese ha bisogno. A mancare è la consapevolezza della necessità di atti concreti come richiesto nei giorni scorsi dal presidente Sergio Mattarella
Devono ancora ricevere la cassa integrazione, poco cambia per i lavoratori che aspettano.
E non è certo un sistema che funziona quello che ha obbligato di fatto le aziende ad anticipare gli assegni ai propri dipendenti. Dei famosi prestiti da 25 mila euro solo un quarto delle 640 mila domande risultavano accettate al 20 maggio.
L’elenco dei ritardi e delle mancate azioni nei confronti di imprese e cittadini potrebbe continuare a lungo.
Ma non è di elenchi delle cose da fare che il Paese ha bisogno. A mancare è la consapevolezza della necessità di atti concreti come richiesto nei giorni scorsi dal presidente Sergio Mattarella.
Sulla carta è meritorio che il governo con gli Stati generali abbia voluto ascoltare le diverse espressioni della società.
Ma l’ascolto non può trasformarsi in alibi. O peggio nel tentare di offrire «risposte semplici (di solito semplicistiche) a domande complesse (che) è la deformazione professionale dei politici», come scrive il filoso Ermanno Bencivenga nel suo ultimo libro «Critica della ragione digitale».
Come riferito dalla Fondazione Openpolis, i 13 decreti varati dal governo richiedono 165 misure attuative.
Di queste poco meno del 20% (31) sono state varate. Il solo decreto liquidità che prevedeva 12 provvedimenti a valle non ne ha visto nemmeno uno licenziato. Si pone quel problema evidenziato innumerevoli volte dal maggior esperto e studioso di leggi e meccanismi istituzionali, Sabino Cassese, della fattiva attuazione delle scelte operate attraverso le norme.
Per troppe volte abbiamo ascoltato in queste settimane, e va detto anche negli anni precedenti, la soddisfazione di ministri e politici per aver approvato questa o quella legge. Non basta. E non basta soprattutto nell’emergenza. Le parole, gli intendimenti, gli impegni, devono lasciare spazio al lavoro che produce effetti visibili, tangibili.
Da ieri è possibile poter inviare le domande della cassa integrazione in deroga all’Inps invece che alle Regioni. Una procedura che nello stile tutto italiano degli enti locali che si sentono padroni nel loro minuscolo o grande territorio, aveva fatto sì che ogni governatore decidesse un proprio percorso.
Quanto tempo è passato dalla chiusura dell’Italia a causa della pandemia per arrivare alla modifica delle regole per la cassa integrazione in deroga?
E soprattutto quante altre norme e leggi si sono accavallate l’una sull’altra in questi anni producendo effetti analoghi?
La Banca centrale europea ha fatto sapere ieri che 742 banche hanno attinto in questo periodo a liquidità per 1310 miliardi.
Sono cifre impressionanti. Per avere un termine di paragone, il prodotto interno lordo italiano, cioè la ricchezza creata in un anno dal nostro Paese è di circa 1500 miliardi. Sono cifre che danno la dimensione della crisi che si sta affrontando. E l’urgenza di agire.
Non è facile il compito che ha di fronte un governo composto da partiti che non si sono scelti, che si sono trovati a comporre una maggioranza impensabile prima. Ma la profondità della crisi richiede una riconversione della politica. Si deve passare dalla mera illustrazione degli obiettivi alla riuscita delle azioni che si intendono intraprendere.
Fatta la legge il compito dell’amministrazione non può essere demandato a una burocrazia demotivata,
spesso impreparata e in qualche caso figlia di assunzioni che aggirano più o meno colpevolmente persino lo strumento dei concorsi. Ci deve essere la vigile attenzione ai passaggi necessari alla fattibilità delle procedure.
Il rimpallo di responsabilità, le stucchevoli precisazioni sulla regolarità o meno delle domande di cassa integrazione, come se fosse semplice orientarsi tra ben 4 tipi di cig, è solo un esempio di quanto sia necessario cambiare il concetto di responsabilità di chi prende impegni pubblici. Oggi è la sesta giornata degli Stati generali. Il presidente Conte arriverà dopo aver partecipato al vertice in video conferenza con i partner europei sul «Next Generation Eu». E’ il piano che l’Europa, ben più presente di quanto certi critici interessati più ai voti che al futuro del Paese, sta varando per far arrivare risorse necessarie alla ripartenza delle economie. L’unica condizione che i partner tutti pongono l’uno all’altro è che quei fondi vengano usati e diano risultati. Ecco: risultati, quelli sui quali governo (e opposizione) sembrano essere distratti.
(Corriere della Sera)