Il giornalista più impegnato e identificato con la strage del 27 giugno 1980, intervistato dall’Agi analizza le false notizie che hanno accompagnato la tragedia: “Con questa storia ci sono cresciuto, sia umanamente sia professionalmente”
Con la storia di Ustica ci sono cresciuto, sia umanamente sia professionalmente. Per i primi sei anni dopo l’incidente, quando ancora non c’era l’associazione dei familiari delle vittime, io ero un po’ il loro riferimento, leggevano i miei articoli e poi mi telefonavano per chiedere qualche informazione in più, non sapevano nulla erano, stati totalmente abbandonati”. Andrea Purgatori, oggi conduttore di “Atlantide” (La7) scrittore, sceneggiatore, aveva 27 anni e lavorava al Corriere della Sera quando nella sera del 27 giugno 1980, rievoca con AGI, un’ora dopo che il DC-9 dell’Itavia proveniente da Bologna e diretto a Palermo era scomparso dai radar, ricevette una telefonata da una sua fonte, un controllore di volo del centro di controllo di Ciampino, convinto che l’aereo fosse stato abbattuto. “In quel periodo al Corriere mi stavo occupando anche di sicurezza del volo, di incidenti aerei e del delicato processo della smilitarizzazione dei controllori di volo: avevano dei giornalisti di cui si fidavano, io ero uno di quelli, per questo fui contattato”.
Da quella sera sono passati quaranta anni durante i quali quella storia gli si è incollata addosso con i suoi depistaggi, le omissioni, le morti di tanti protagonisti, le minacce, le verità ufficiali e quelle nascoste.
E quindi con le varie sentenze che accanto all’assoluzione di quattro generali dell’Aeronautica dall’accusa di depistaggio, hanno stabilito che l’aereo di linea con 81 persone a bordo fu abbattuto da un caccia di nazionalità ancora non identificata, durante una sorta di duello aereo, all’altezza dell’isola di Ustica, un episodio di guerra in tempi di pace. I ministeri della Difesa e dei Trasporti, giudicati colpevoli di non aver tutelato la sicurezza nei cieli sono stati condannati a risarcire la compagnia aerea Itavia e i familiari delle vittime, con cui Purgatori, che a questo anniversario della strage ha dedicato uno speciale di Atlantide dall’eloquente titolo “Ustica, quarant’anni di bugie”, è sempre rimasto in contatto:
“Vado a trovarli ogni tanto, ci vediamo occasioni ufficiali, c’è un rapporto molto stretto. Sono grati per il fatto che non ho mai mollato dall’inizio, le verità che sono uscite fuori un po’ alla volta si devono anche al fatto che c’erano degli articoli di giornale che imponevano anche ai magistrati di andare avanti. Ed è certo che i vari tribunali e corti di Cassazione non hanno preso certo le loro decisioni per fare un favore a me…”.
Sebbene i familiari non siano ancora stati risarciti con la verità completa, Purgatori osserva: “Dopo 40 anni abbiamo uno scenario e da quello non si torna indietro:
non sappiamo esattamente chi ha colpito il Dc-9 ma sappiamo chi volava quella sera sopra Ustica (americani, francesi e libici) e questo è un dato positivo – chiarisce – il secondo dato positivo è che l’inchiesta penale non è stata ancora chiusa perché la Procura sta lavorando su altri elementi anche a distanza di 40 anni: fino al 2004 c’è stato un processo penale per i depistaggi non per le cause e per i responsabili della strage. Non c’è stato ancora perché l’inchiesta penale è in corso ancora, è inutile che si raccontino altre balle”.
Alle verità ufficiali, Purgatori che ha raccontato la sua storia relativa all’inchiesta di Ustica firmando anche soggetto e sceneggiatura de ‘Il muro di gomma’ di Marco Risi del ’91, non si è mai arreso, fin dal primo articolo sul Corriere firmato il 29 giugno dell’80: “La sera della tragedia non scrissi nulla, chiamai il Corriere e chiesi che cosa era accaduto, non potevo certo scrivere un pezzo su qualcosa che mi era stato detta al telefono”. Il giorno seguente, il 28 giugno, ricorda, il quotidiano uscì come tutti con la notizia dell’aereo scomparso dai radar, precipitato, senza nessuna ipotesi. “Il 29 io scrissi il mio primo articolo nel quale avanzavo anche l’ipotesi dell’abbattimento, perché il giorno dopo la tragedia avevo lavorato ascoltando piloti, una serie di persone e tutti, chi con un sospetto chi con qualcosa più di un sospetto pensavano fosse accaduto questo.In prima pagina c’era anche un disegno con le varie ipotesi, tra cui anche l’abbattimento dell’aereo”. Si rese conto da subito, racconta, della “cortina impenetrabile” che avvolgeva quella tragedia. “Tra le informazioni che avevo avuto, quello che avevo raccolto e le posizioni ufficiali c’era una distanza abissale – chiarisce – la tesi era quella dell’aereo che aveva dei problemi, privo della manutenzione giusta, si parlava di cedimento strutturale, tutta la responsabilità andava a ricadere sull’aereo e sulla compagnia”.
Indagare e scrivere su Ustica non è mai stato semplice, le pressioni cominciarono da subito, accompagnate, ricorda, da una quarantina di telefonate anonime al giorno, mute: “Gli articoli che scrivevo erano molto fastidiosi, al giornale arrivavano pressioni di ogni genere, militari e politiche, affinché io smettessi di seguire quella storia -ricorda – poi però, visto che le notizie c’erano era un po’ difficile chiedermi di censurarle e alla fine il giornale le ha pubblicate sempre. I direttori del Corriere sono sempre stati dalla mia parte, anche se ci sono stati momenti complicati: spesso all’esterno sapevano in anticipo che io avrei scritto e cosa avrei scritto, era una situazione molto delicato”.
E poi c’erano le minacce, tante: “Quaranta telefonate anonime al giorno, mute, e riceverle anche durante la notte non era certo così piacevole”.
Si sono concentrate nel 1981 e 1982, quando, racconta “ho cominciato a scrivere cose pesanti e circostanziate” e poi intorno tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta quando le commissioni stragi cominciarono a occuparsi di inchiesta Ustica”. Erano condite da intimidazioni più pesanti: “Mi hanno rotto la macchina due volte, sono entrati nella mia casa…”. Poi le telefonate si sono fermate e le ragioni di tanto accanimento verso un giornalista oggi Purgatori le spiega così: “Eravamo in anni in cui quando il ministero della Difesa, o lo Stato maggiore dell’Aeronautica parlavano, le loro parole venivano ritenute Vangelo – analizza- quindi l’idea di opporsi a queste verità ufficiali, per di più raccontando una cosa così clamorosa come uno scenario di guerra che era stata coperto, li faceva impazzire”, spiega, raccontando quindi di avere “avuto anche faccia a faccia con questi signori, e per usare un eufemismo erano molto irritati: Ustica è stato un evento decisivo per le forze armate, fino a quel momento nessuno si era mai azzardato a mettere in discussione una loro versione ufficiale”.
Il “muro di gomma” che dà il titolo al film di Risi su Ustica, spiega, era la metafora del silenzio eloquente, la modalità delle reazioni ufficiali:
“Io scrivevo delle cose pesantissime corroborate da notizie ma non rispondeva nessuno, né i militari né il governo, nei primi anni la linea era quella di lasciar cadere – ricorda – io non ci dormivo la notte pensavo ‘chissà domattina quando esce il giornale chissà cosa succede e invece non succedeva assolutamente niente”. Ha avuto paura? “Più che altro avevo paura per i miei, ma la sensazione di disagio mi accompagnava sempre, non ero tranquillo capivo di avere addosso molti occhi e molte orecchie” racconta.
Purgatori si è occupato ovviamente anche delle strane morti che negli anni hanno accompagnato la storia della tragedia di Ustica che, spiega, sono più di quelle conteggiate: “Alcune sono fisiologiche, in quarant’anni è logico che sia così, molte altre no,
il giudice Rosario Priore ne elenca 15 ma sono almeno una ventina.
Le più sospette, precisa, sono quelle relative a chi si è tolto la vita: “Un paio si sarebbero impiccati in ginocchio che è una cosa francamente contronatura, finchè ti appendi e ti lasci penzolare nel vuoto è una cosa, quando stai in ginocchio l’idea di volerti soffocare da sola è complicata, dovrebbe prevalere l’istinto di sopravvivenza” – osserva – Ma ci sono anche casi in cui è evidente l’induzione al suicidio, non tutti reggono al peso e alla responsabilità se hai una debolezza congenita è complicato tenere a botta alle pressioni”.
Lui ha tenuto botta, tra successi e battute d’arresto relativi alla sua indagine giornalistiche. Tra i primi gli sta a cuore, racconta, la sua intervista per Huffington Post al maresciallo Giulio Linguanti, che nel 1980 era al reparto del Sios Aeronautica nell’aeroporto di Bari. Parecchi anni dopo gli svelò parecchi dettagli relativi al Mig 23 libico che “a giudicare dai vermi lunghi cinque centimetri nel cadavere già putrefatto del pilota, non precipitò il giorno del suo ritrovamento ufficiale (18 luglio) ma almeno tre settimane prima, cioè il 27 giugno, la sera dell’abbattimento del Dc9 Itavia”. Ma ci sono stati anche momenti complicati “quelli relativi quando non si riesce ad andare avanti”.
Ricorda che una volta “per poter riuscire a parlare con uno dei controllori di volo di Ciampino che era andato in pensione e si era trasferito a vivere in barca” con Daria Lucca del Manifesto gli fecero la posta per mesi, al porto di Fiumicino: “Pensammo che per andare a ritirare la pensione a Roma e non poteva che arrivare a Fiumicino dove lo abbiamo beccato e lui ci ha raccontò che quella sera avevano visto gli aerei americani in volo, cosa che poi ha confermato anche in tribunale”.
Purgatori adesso prevede che per consegnare la verità su chi quella sera di quarant’anni fa abbatté il DC 9 dell’Italia “ci vorranno ancora uno o due anni, perché i tempi delle rogatorie internazionali e quelli delle risposte sono lunghi.
E poi io ho visto come rispondono i nostri alleati ed è scandaloso. La magistratura arriva fino a un certo punto …” . Si riferisce, precisa “alle bugie dei francesi alle quali siamo rimasti appesi per anni”: “Quella sera c’erano sicuramente in volo dei caccia francesi partiti dalla base di Solenzara in Corsica -spiega – qualche anno fa alcuni ex militari interrogati dai nostri magistrati nell’aeroporto di Nizza, in un luogo diverso dal ministero della Difesa hanno ammesso che contrariamente a quanto la Francia ci aveva sempre detto per oltre trent’anni, non era vero che la base aveva chiuso alle cinque del pomeriggio. Siamo rimasti appesi a questa grande bugia dei francesi, ma se non hai niente da nascondere perché devi dire che hai chiuso la base alle cinque del pomeriggio, quando ci sono i dati radar e i testimoni che dimostrano che non è così?”.
Tra le tesi che suffragavano l’ipotesi di una bomba (a cui Purgatori non ha mai creduto) c’era quella relativa alla presenza a bordo del militante di estrema destra Marco Affatigato: “Era un falso assoluto, anche perché lui in quel momento era nelle mani dei servizi segreti francesi, la Francia ritorna in ballo in questa storia, naturalmente lui non c’era su quell’aereo. E’ stato un tentativo di depistaggio o un messaggio? Chissà…”
Ma tra le bugie dei 40 anni di Ustica elencate nel suo speciale Atlantide del 24 giugno, Purgatori considera la più grossa tra le fake news di questi quarant’anni anni di Ustica proprio quella relativa al Mig libico recuperato sulla Sila, ufficialmente caduto il 18 luglio anziché il 27 giugno, durante quel duello nel cielo di Ustica.
“La versione ufficiale raccontava che era precipitato perché ilpilota, decollato da Bengasi, aveva avuto un infarto, l’aereo era arrivato da solo in Calabria con il pilota automatico, e quando era finito il carburante era caduto sulla Sila. Oltre ai fori sulla carcassa e alla decomposizione del cadavere del pilota, ci sono dei testimoni in Calabria che quella notte videro un aereo inseguito da due caccia militari che gli sparano col cannoncino, se la possono raccontare come gli pare, ma insomma…”. Purgatori precisa: “Ci sono una serie di elementi su cui hanno lavorato i magistrati che chiariscono che sotto al Dc9 c’erano almeno uno o due aerei che si nascondevano, bersagli di quello che era successo quella notte e che probabilmente erano libici. Certamente uno era quello che è finito sulla Sila probabilmente ce n’era un altro come ha sempre sostenuto Gheddafi”.
Sicuramente in quel momento, chiarisce, avere dei Mig libici che passavano sulla verticale della sesta flotta non poteva essere accettato, “Gheddafi all’epoca era il nemico numero uno dell’Occidente, un po’ come poi lo sono stati poi Saddam Hussein e Bin Laden, in quel momento il Mediterraneo era il posto più pericoloso del pianeta non è che potevano passare dei Mig. Quando entravano nel nostro spazio aereo le tracce venivano cancellate, e passavano, i nostri alleati non potevano tollerarlo”.
Tra le bugie dei 40 anni di Ustica Purgatori elenca anche la ritrattazione della precedente ammissione dell’uscita dei caccia americani,
quando il comandante della portaerei americana Saratoga, chiarisce, “disse che avevano spento i radar perché erano nella rada del porto di Napoli e avrebbero disturbato le trasmissioni tv. Un comandante di una portaerei come la Saratoga che spegne i radar sarebbe finito davanti alla Corte marziale”.
Tra gli americani che hanno ritrattato davanti ai magistrati c’è anche Brian Sandlin ex membro dell’equipaggio della Saratoga ), che la sera del 27 giugno 1980 era in servizio sul ponte della portaerei e aveva raccontato, prima a Purgatori nella puntata di Atlantide dedicata al 38° anniversario della strage e poi ai magistrati di aver visto due F-4J Phantom della squadriglia “Fighting 103” rientrare sul ponte al termine di una missione di combattimento contro due Mig libici senza più i loro armamenti sotto le ali. “Ha fatto arrabbiare moltissimo i magistrati italiani… Ma dopo che hanno ritrattato i comandante della Saratoga, e il capo della Cia a Roma Duane Clarridge mi pare naturale che lo faccia anche il marinai della Saratoga a cui chissà quali pressioni avrà ricevuto”. Ma il giornalista ha trovato un altro marinaio della Saratoga, che non è ancora stato sentito dai magistrati (l’intervista è stata proposta nello speciale di Atlantide, il 24 giugno): “Ha confermato la prima versione di Sandlin”.
I magistrati italiani, chiarisce, “sono stati bravissimi, hanno ricostruito minuto per minuto il volo del Dc9, si vede distintamente che sotto l’aereo o accanto c’era almeno un altro aereo”.
Adesso a fare la loro parte nella ricerca della verità nel quarantennale ci sono i nastri della conversazione dei piloti ripuliti dai tecnici di Rainews 24. Finora si era riuscito ad ascoltare solo un “Gua”, un pezzo di una parola mozzata, che poteva essere “Guarda” pronunciata da uno dei due piloti, incisa nell’ultimo tratto del nastro che girava nella scatola nera del Dc9. I tecnici hanno ripulito quell’audio, conservato sul sito stragi80.it, scoprendo che, in realtà, la frase è “Guarda cos’è?” pronunciata dal pilota Domenico Gatti. Purgatori lo trova credibile: “Ho ascoltato il nastro e sembra che questo copilota dica “guarda cos’è”. Tra l’altro era seduto a destra e le tracce radar di uno degli aerei che sembrano fare questa manovra d’attacco vengono proprio da destra – spiega – E’ verosimile che quello sia il momento in cui chi si nascondeva sotto il Dc9 cerca di scappare , magari passa davanti alla cabina di pilotaggio dopo essere stato o dietro o sotto e i piloti lo vedono”.
(Agi)