27 Dicembre, 2024
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Il Riformista: berlusconi, “condanna sbagliata” per frode. “Fatti già accertati in modo incontrovertibile” di cui l’articolo non parla

Il quotidiano di Sansonetti sostiene che un verdetto del Tribunale civile di Milano – di cui il Corriere ha scritto il 1 febbraio di quest’anno – smonta la sentenza della Suprema corte che ha condannato l’ex premier.

E poi riporta alcuni audio del giudice Amedeo Franco, relatore del verdetto di condanna emesso dalla Cassazione, che dice: “Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone!

Questa è la realtà… a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia”. Oggi il magistrato è morto ma davanti al Csm ha detto il contrario, cioè di non essersi sentito né condizionato né influenzato nel lavoro di redazione delle motivazioni della sentenza sul leader di Forza Italia

“Ci sono le prove che la sentenza che condannò Berlusconi al carcere, nel 2013, e che diede il via al declino precipitoso di Forza Italia, era una sentenza clamorosamente sbagliata”. Questo l’incipit di un articolo del Il Riformista, a firma di Piero Sansonetti, che ha scatenato un fiume in piena di reazioni di esponenti azzurri che – da Antonio Tajani a Licia Ronzulli, dalla Gelmini a Brunetta, in alcuni casi parlano di “esecuzione politica” e “colpo di stato giudiziario”. Ebbene qual è questa incredibile sentenza che smentirebbe il verdetto della Cassazione che ha condannato per frode fiscale in via definitiva Silvio Berlusconi il 1 agosto del 2013? Un verdetto del Tribunale civile di Milano – di cui il Corriere della Sera ha scritto il 1 febbraio di quest’anno – che ha negato a Rti e Mediaset di ottenere dal produttore americano Frank Agrama, coimputato del leader di Forza Italia ma prescritto per il reato di appropriazione indebita, un tesoro da 113 milioni di euro. Il motivo è che Agrama lavorava come intermediatore. Il magistrato civile, Damiano Spera presidente della X civile, non smentisce affatto il verdetto degli ermellini ma ritiene di avere il diritto esercitare “il potere/dovere di rivalutare criticamente (alla luce anche del contraddittorio) i fatti già accertati in modo incontrovertibile in sede penale“.

Agrama era un vero intermediario, i contratti erano effettivi, ma questo fa parte esplicitamente del processo penale, e dunque “l’interposizione fittizia contestata nei capi di imputazione non sussiste”. Quei soldi – circa 150 milioni di euro – giacciono su conti svizzeri dal 2005 e potranno tornare in possesso del produttore. Nessun riferimento alla frode fiscale contestata all’ex senatore ed ex presidente del Consiglio, legata all’acquisto dei film americani con “perdurante lievitazione – scriveva la Cassazione – dei costi di Mediaset a fini di evasione fiscale”. Senza dimenticare che tra le prove documentate che portarono alla condanna definitiva di Berlusconi c’era proprio una lettera-confessione con data 29 ottobre 2003, diretta all’avvocato Aldo Bonomo, all’epoca Presidente di Fininvest e ad Alfredo Messina, direttore di Fininvest, in cui Agrama dichiara di aver lavorato per le società del gruppo fin dal 1976 e di aver interloquito con Silvio Berlusconi anche in assenza di un contratto, che poi ha cominciato a chiedere quando la sua interfaccia non era più il presidente o Carlo Bernasconi. Nessun ribaltamento di sentenze quindi, semplicemente la risposta del giudice civile a una istanza in ambito civile. Che poi questo verdetto sia un supplemento di ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo presentato legittimamente dagli avvocati, vale la pena ricordare che la Cedu ha già archiviato il ricorso perché ritirato dai legali che sostenevano che, data la riabilitazione del leader di Forza Italia da parte del tribunale di Milano, Berlusconi non aveva più interesse ad avere un pronunciamento perché “non avrebbe prodotto alcun effetto positivo” per lui. È stato l’ex Cavaliere a non volere sapere alla fine se i suoi diritti fossero stati violati.

L’audio del relatore della sentenza di condanna

L’articolo del Riformista fa riferimento a un audio del relatore del verdetto di condanna emesso dalla Cassazione, Amedeo Franco. Probabilmente il magistrato, che è morto un anno fa e che quindi volendo non può più parlare, non ne era consapevole. “Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà… a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… l’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto… In effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale? … Voglio per sgravarmi la coscienza, perché mi porto questo peso del… ci continuo a pensare. Non mi libero… Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo…”.​ Altro stralcio in cui il giudice diceva che “sussiste una malafede del presidente del Collegio, sicuramente…”. E riferiva voci secondo le quali il presidente Antonio Espositosarebbe stato “pressato” per il fatto che il figlio, anch’egli magistrato, era indagato dalla Procura di Milano. E poi diceva ancora: “I pregiudizi per forza che ci stavano… si potesse fare…si potesse scegliere… si potesse… si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato, perché di peggio non poteva capitare…Questo mi ha deluso profondamente, questo… perché ho trascorso tutta la mia vita in questo ambiente e mi ha fatto… schifo, le dico la verità, perché non… non… non è questo, perché io … allora facevo il concorso universitario, vincevo il concorso e continuavo a fare il professore. Non mi mettevo a fare il magistrato se questo è il modo di fare, per… colpire le persone, gli avversari politici. Non è così. Io ho opinioni diverse della… della giustizia giuridica. Quindi… va a quel paese…”. ​Ebbene Amedeo Franco, magistrato per 20 anni in Cassazione fino al 1994, competente per i reati tributari, ha scritto personalmente e di suo pugno le motivazioni proprio in virtù della sua competenza in cui si diceva che Berlusconi era “l’ideatore del sistema illecito. Dominus indiscusso” del sistema illecito dei diritti gonfiati. Se non fosse stato d’accordo avrebbe avuto la possibilità, essendo in minoranza rispetto al collegio, di scrivere il suo dissenso e custodirlo. I magistrati ne hanno facoltà e già in passato e successo. Per esempio proprio con Berlusconi, imputato nel processo Ruby,Enrico Tranfa presidente della Corte d’appello di Milano, che assolse l’imputato, dopo il verdetto a cui era contrario ritenendo l’ex premier colpevole, si dimise. Ma Franco non ha fatto nulla di tutto questo. Di più. Davanti al Csm, che giudicava disciplinarmente il presidente Antonio Esposito per aver rilasciato un’intervista, aveva detto di non essersi sentito né condizionato né influenzato nel lavoro di redazione delle motivazioni della sentenza su Berlusconi. Se avesse avuto dubbi, se avesse temuto che quella sentenza fosse stata pilotata perché invece ha dichiarato il contrario? Dichiarazioni simili – nessun condizionamento nessuna influenza – erano arrivate anche dagli altri componenti del collegio, Claudio d’Isa e Giuseppe Di Marzo.

Il caso del giudice Antonio Esposito assolto dal Csm

Un altro magistrato viene tirato in ballo dal Riformista. Antonio Esposito, presidente del collegio della Cassazione che condannò Berlusconi e dopo la pensione collaboratore del Fatto Quotidiano. “Non ho mai in alcun modo, subito pressioni né dall’alto né da qualsiasi altra direzione”, dice oggi il giudice, smentendo il quotidiano di Sansonetti. Giò finito sotto procedimento disciplinare per dichiarazioni finite sulle pagine de Il Mattino, il 15 dicembre 2014 Esposito era stato assolto essere risultati esclusi gli addebiti. Anche in virtù delle dichiarazioni di Amedeo Franco. A far finire Esposito davanti al tribunale delle toghe con l’accusa di violazione del riserbo era stata un colloquio pubblicato dal giornale napoletano qualche giorno dopo la sentenza su Berlusconi e prima del deposito delle motivazioni che sarebbero state scritte da Amedeo. Un articolo che provocò uno tsunami di polemiche anche per il titolo vistoso: “Berlusconi condannato perché sapeva, non perché non poteva non sapere”. Il giudice accusò subito il giornale – contro il quale aveva intentato una causa civile – di aver manipolato l’intervista. Una tesi che aveva ribadito durante il processo disciplinare (e la cui fondatezza è stata riconosciuta dalla stessa Procura generale della Cassazione) spiegando di non aver “mai parlato degli esiti del processo Mediaset”, ma che al testo venne aggiunta una domanda su quel procedimento che in realtà non gli era mai stata formulata.

Nella sua lunga e appassionata autodifesa Esposito spiegò che, se parlò effettivamente con il giornalista fu perché ritenne suo “dovere ristabilire la verità’”, dopo aver subito “il più infame linciaggio mediatico della storia”, con l’accusa esplicita di “aver emesso un provvedimento anomalo con lo scopo di colpire Berlusconi”. Esposito aveva poi escluso di aver lui stesso sollecitato l’intervista: “Non avevo alcun motivo di farmi pubblicità attraverso un giornale a bassa tiratura, quando il mio nome era apparso su tutti i giornali italiani e stranieri e io avevo rifiutato di dare un’intervista alla Cnn“.

(Il Fatto Quotidiano)

 

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