“E’ stato un fallimento. L’Italia richiami l’ambasciatore in Egitto”.
Il commento dei genitori di Giulio Regeni sintetizza, forse in modo crudo, i risultati dell’incontro, il dodicesimo, tra i magistrati della procura di Roma e quelli egiziani che indagano sul sequestro ed omicidio del ricercatore italiano trovato morto al Cairo nel febbraio del 2016. Un incontro durato poco più di un’ora e svolto in videoconferenza per l’emergenza coronavirus. A leggere il comunicato diffuso al termine del vertice emerge che le autorità egiziane non hanno fornito alcun elemento nuovo o risposte alla rogatoria inviata da Roma nell’aprile del 2019 a cominciare dall’elezione di domicilio dei cinque indagati, tutti appartenenti ai servizi di sicurezza egiziana, e accusati dal pm Sergio Colaiocco del reato di sequestro di persona. Il procuratore generale egiziano “ha assicurato che, sulla base del principio di reciprocità, le richieste avanzate dalla procura di Roma sono allo studio per la formulazione delle relative risposte alla luce della legislazione egiziana vigente”. Sul punto però il Procuratore di Roma, Michele Prestipino, ha “insistito sulla necessità di avere riscontro concreto, in tempi brevi, alla rogatoria avanzata nell’aprile del 2019 ed in particolare in ordine all’elezione di domicilio da parte degli indagati, alla presenza e alle dichiarazioni rese da uno degli indagati in Kenya nell’agosto del 2017” e, novità emersa oggi, di “mettere a fuoco il ruolo di altri soggetti della National Security che risultano in stretti rapporti con gli attuali cinque indagati”. Nel corso dell’incontro gli Egiziani si sono spinti a fare “alcune richieste investigative finalizzate a meglio delineare l’attività di Giulio Regeni in Egitto”.
(Ansa)