Se sulla cifra complessiva proposta dalla Commissione tutti sembrano d’accordo è sui meccanismi di controllo della spesa che potrebbero nascere i problemi
Si giocherà sull’equilibrio tra sovvenzioni a fondo perduto e prestiti ma soprattutto sulla governance del Next Generation Eu la trattativa sul Recovery Fund nel prossimo vertice europeo del 17 luglio. Se sulla cifra complessiva proposta dalla Commissione ossia i 750 miliardi (500 di sovvenzioni e 250 di prestiti) tutti sembrano in linea di principio d’accordo è sui meccanismi di controllo della spesa che potrebbero nascere dei problemi. Non è escluso che la stessa presidenza tedesca possa utilizzare come strumento negoziale la possibilità che le approvazioni per le sovvenzioni passino dal Consiglio anziché dalla Commissione.
Gozi: lo strumento in mano al Consiglio e non alla Commissione
«Questo vuol dire – spiega l’europarlamentare Sandro Gozi, già sottosegretario agli Affari europei – che non sarebbe più la Commissione a dare automaticamente il disco verde alle spese a fondo perduto ma queste saranno soggette a un esame preventivo dei singoli Governi che potrebbero richiedere l’attuazione di riforme agli Stati beneficiari, una misura che tranquillizzerebbe molto le opinioni pubbliche e i Parlamenti dei Paesi cosiddetti frugali». I quattro Paesi frugali vogliono vedere approvate e implementate le riforme in Italia e negli altri Paesi soprattutto per la concessione di quei 310 miliardi (dei 500 di sovvenzioni) che fanno parte dei cosiddetti “Recostruction and Resilience Instruments”.
Come prevede l’ultima proposta resa nota oggi dal presidente del Consiglio Ue Charles Michel il pagamento delle sovvenzioni «sarà subordinato al soddisfacimento delle “pietre miliari” e degli obiettivi pertinenti». Ma le decisioni che prima erano adottate dalla Commissione vengono spostate in capo al Consiglio. La Commissione nelle decisioni sugli esborsi agli Stati dovrà quindi tenere conto del parere dei Governi. Per quanto riguarda i criteri di ripartizione dei 310 miliardi in sussidi del Fondo per la ripresa e la resilienza sui quali si erano espressi contro i “frugali” e l’Est, Michel propone che per 217 miliardi nel 2021 e nel 2022 si tenga conto della disoccupazione tra il 2015 e il 2019, anni precedenti la crisi sanitaria, del pil procapite e della quota di popolazione; nel 2023 per i restanti 93 miliardi va aggiunto un criterio che rifletta l’impatto della crisi del Covid-19 e cioè la caduta complessiva del pil nel 2020 e nel 2021 osservata nel 2022.
Il criterio dello “Stato di diritto”
Un altro elemento del negoziato potrebbe essere quello dello “Stato di diritto” ossia il rispetto delle libertà fondamentali come presupposto per la concessione delle sovvenzioni. È questo una condizione che l’Italia non teme affatto ed anzi sostiene insieme ad alcuni “frugali” quali Svezia e Olanda ma è temuta da alcuni Paesi dell’Est come Polonia e Ungheria.
La proposta di Michel secondo l’ex ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi non introduce elementi tali da modificare il quadro negoziale. Michel prevede di ridurre leggermente il bilancio pluriennale ( da 1100 miliardi a 1070), lascia gli sconti ossia i rebates ai “frugali” e mantiene invariata la somma di 750 miliardi dei Recovery Fund. Crea anche un fondo di compensazione Brexit a favore di quei Paesi che avranno maggiori problemi economici ma non offre risposte convincenti sulle risorse proprie come la web tax o la tassa sulla plastica non riciclabile che dovrebbe servire da garanzia per gli eurobond che finanzieranno i 750 miliardi. La proposta, spiega l’ex ministro degli Esteri «sconta tre grandi inconvenienti: è modesta nelle struttura e torna ad essere una base di discussione, non un possibile compromesso, quanto al bilancio pluriennale, che è misura strutturale rispetto all’una tantum del Recovery fund dà un segnale negativo come è negativo confermare i rebates anche perchè dal bilancio ordinario lItalia trae i maggiori vantaggi soprattutto per l’agricoltura».
Risorse proprie: in assenza di garanzia devono intervenire gli Stati
Inoltre, secondo Moavero «rimangono molto oscure le misure sulle risorse proprie perchè non si capisce quale dovrebbe essere l’imponibile e quindi queste imposte potrebbero ricadere sulle imprese e sui consumatori finali senza parlare della carbon tax che falcidierebbe le aziende del Nord Italia per eccesso di inquinamento oltre alle numerose procedure di infrazione già subite». Senza contare che senza risorse proprie non c’è possibilità di garantire gli eurobond necessari al Recovery Fund che quindi dovrebbero essere garantiti dai singoli Stati membri e per l’Italia il conto sarebbe molto salato.
(Il Sole24Ore)