26 Novembre, 2024
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Scuola: la posizione critica dei Cobas: La scuola che produce non è quella asservita alla produttività

Pubblichiamo un documento dei Cobas, molto critico sulle prospettive della scuola

La scuola che produce non è quella asservita alla produttività

L’assimilazione forzosa e snaturante dei presupposti, dei programmi e degli obiettivi della Scuola pubblica statale a quelli della privata impresa, resa possibile dalla legge Bassanini, che ha introdotto l’autonomia scolastica (Legge 59/97, integrata successivamente con il D.P.R. 233/98 ed il D.L. 44/01), e resa operativa dalla Legge 133/2008 (Gelmini), ha avuto un effetto devastante su tutte le componenti e le dinamiche del mondo della Scuola, senza produrne alcuno, invece, sul piano occupazionale, incrementando, anzi, gli indici di dispersione scolastica, abbandono e fuga all’estero dei giovani, nonché il disagio sociale.
La sciagurata scelta politica di battere cassa sulla Scuola e di renderla funzionale alle istanze di un “mercato del lavoro” ipostatizzato dalla propaganda ma in realtà respingente quando non addirittura inesistente, ha rivelato, nel corso dei duri anni di denuncia e umiliazione culminati nell’approvazione, con forzature procedurali notevoli e la fiducia, della Legge 107/2015 (la cosiddetta “Buona Scuola”), il vero scopo di tanto accanimento distruttivo: neutralizzare l’azione emancipante della Scuola, azzerare la mobilità sociale polarizzando nuovamente le classi sociali e fornire manodopera a costo zero alle imprese, prima con “l’alternanza scuola-lavoro”, una vera e propria involuzione pedagogica, culturale e giuridica, spacciata, come tante altre regressioni, per innovazione necessaria e modernizzante, e poi con l’immissione, nel circuito di un predace e vorace mercato, di lavoratori e lavoratrici fragili, ricattabili e ignari di tutele.
Il programma di riconversione violenta di quella che era la Scuola tendenzialmente perequativa della Costituzione, è stato accompagnato da ben orchestrate campagne mediatiche di diffamazione dei docenti, dalla soppressione o dall’esautoramento degli organi collegiali, ridotti ad assemblee di ratifica delle decisioni del potere monocratico del dirigente, da assunzioni condizionate all’accettazione di una deminutio di dignità professionale e tutela sindacale e dal disprezzo totale per il dissenso democraticamente espresso (750.000 docenti scesero in piazza il 5 maggio del 2015 contro la “Buona Scuola”, ma una così massiva mobilitazione, accompagnata dal successivo blocco degli scrutini, cui aderì il 92% dei docenti italiani, non bastò a frenare il progetto governativo).
La Scuola non educa e non istruisce quasi più, perché non è più né indipendente né autorevole, ma è asservita a poteri esterni, burocratizzata, gerarchizzata nelle sue componenti, additata al pubblico ludibrio per la sua sacrosanta renitenza a entrare nel folle mondo dei valori e delle persone “usa-e- getta”, controllata nelle sue programmazioni e azioni didattiche dagli stessi agenti economici che continuano a imporre manovre “lacrime e sangue” alla popolazione, mentre le spese militari e quelle per le “grandi opere” inutili e dannose restano invariate o vengono accresciute.
Il Piano Scuola 2020/2021, adottato con decreto n° 39 del 26/06/2020, incoativamente definisce la Scuola come una “comunità educante”, ma precisa subito che per comunità educante si intende l’insieme dei “portatori di interesse della Scuola e del territorio”. La definizione serve astutamente a sublimare, con il ricorso ad uno stilema aulico e legato alla paideia, la nuova visione mercantilistica della Scuola, vista come un concorde gruppo di “stakeholders” (portatori di interesse).

Gli alunni, i genitori, i docenti, non sono investitori o soci di una S.P.A.! La Scuola non è un istituto di credito e non è l’anticamera dell’ufficio di collocamento; è un luogo di apprendimento comunitario e di esercizio propedeutico di cittadinanza attiva, un luogo di protagonismo giovanile e di crescita morale, umana, culturale, che va preservato nella sua specificità.
La solida formazione, in un’ottica di lungo respiro, crea anche profitto; la miope estrazione del profitto immediato a detrimento dell’istruzione, invece, depaupera irrimediabilmente il tessuto sociale ed anche economico del paese, rendendolo incapace di progettare a lungo termine e di padroneggiare le complesse articolazioni concettuali, ideologiche e scientifiche che connotano il presente e il futuro.

Perché la Scuola torni a svolgere la sua precipua funzione, occorre decolonizzarla dalle pretese e dai linguaggi insulsi dell’imprenditoria, abbondantemente utilizzati nell’ultimo “Piano Colao” (Iniziative per il rilancio d’Italia 2020-2022 – Rapporto al presidente del Consiglio dei ministri, Giugno 2020), che, nonostante constati l’insufficienza e la inadeguatezza dei risultati della formazione scolastica e accademica degli ultimi anni, continua a postulare l’applicazione di metodi e strumenti mutuati dall’impresa, ritenuti unicamente validi e capaci di risollevare le sorti di una formazione indebolita proprio dall’irruzione violenta e dalla destabilizzante sovrapposizione dei suoi paradigmi a quelli, bollati come “vetusti”, della Scuola, che parla un’altra lingua, ha altre aspettative rispetto all’azienda e, soprattutto, richiede tempi più distesi di quelli, frenetici, della Borsa e del volubile mercato, perché i giovani sono coscienze e menti in fieri, non macchine da caricare con schede di programma variabili a seconda dei venti speculativi che tirano.

Molto allarmati dalla crisi che la pandemia ha aggravato, dalle pulsioni secessioniste che percorrono il paese e, soprattutto, dal palese tentativo di strumentalizzare il rischio contagio per liquidare del tutto gli spazi di residua agibilità democratica di docenti e studenti nella Scuola pubblica, sosteniamo e caldeggiamo:

  1. la necessità di liberare la Scuola dalla zavorra degli invisi test INVALSI¹,strumento cardinale del controllo “foucaultiano” sulle scuole, i quali non fanno altro che certificare l’ovvio, con enorme dispendio di denaro pubblico, ma servono in realtà a retroagire sulla programmazione degli insegnanti. Questi, infatti, sono costretti ad abbandonare la complessità e profondità dell’analisi e ad “addestrare” i ragazzi e i bambini alla risoluzione di questi quiz asfittici e
    standardizzanti, oltre che pretenziosi, in quanto millantano di valutare i ragazzi, i docenti e l’intero sistema scuola con uno stesso test, uguale per ogni contesto territoriale e ogni fascia sociale. I quiz si rivelano, inoltre, incapaci di cogliere i processi e percorsi dei singoli discenti e dell’istituto, dal momento che i rilevamenti per cui essi sono strutturati sono sincronici, non diacronici.
  2. La soppressione dell’alternanza Scuola-lavoro (regolamentata dai commi 43-53 della Legge 107/2015 e oggi ridenominata PCTO, cioè “Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientalmento), in ragione delle modifiche introdotte dalla L. 145/18, art.1, commi 784-787, applicata dal decreto 774 dell’aprile 2019), che inficia doppiamente il processo educativo: consentendo ai privati di sfruttare la forza lavoro gratuita degli alunni e sottraendo prezioso e cospicuo tempo-scuola alla formazione teoretica e culturale dei giovanissimi, senza alcuna contropartita attiva, come, del resto, nel caso dell’INVALSI, la cui natura puramente ideologica è oggi evidente anche a quanti ne ritenevano, all’inizio, utile o addirittura necessaria l’ingerenza nella vita scolastica.
  3. Un forte impegno politico e sociale nello scongiurare ogni forma di regionalizzazione differenziata, che porterebbe alla territorializzazione e balcanizzazione definitiva del sistema scolastico, il quale invece deve restare unitario, uniforme e omogeneo da Gela a Livigno, onde evitare l’ampliamento di un divario già drammatico tra Nord e Sud del paese e tra zone a diverso livello di sviluppo. Grande preoccupazione genera, a tal proposito, il già menzionato Piano Scuola del 2020, che (a pag. 7) declassa la Scuola a semplice ente locale tra gli altri, equiparandola ad una qualunque associazione di volontariato priva di ogni diritto ad avanzare la sua primazia costituzionalmente fondata su altri soggetti presuntamente titolati a “erogare” istruzione. Lo stesso Piano sancisce la possibilità per enti privati e pubblici di finanziare non più progetti extracurricolari, ma addirittura la didattica ordinaria, e di sostituirsi alla Scuola nel fornire a microgruppi di alunni (l’unità euristica ed affettiva della “classe” viene considerata superata e ne viene ipotizzato lo scorporo) lezioni che valorizzano l’apprendimento tecnico- operativo a scapito di quello culturale, agglutinando le materie “affini” per nuclei e indici epistemologici improbabili e devolvendo tali interventi allo sviluppo delle “soft-skills”, le “competenze” superficiali e generiche, cioè, di cui le aziende hanno bisogno, e che restano vaghe nella definizione quanto equivoche nei contenuti (Il Rapporto Colao propone, a p. 37, di predisporre una piattaforma digitale di education-to-employment, ribadendo la subordinazione dell’istruzione all’impiego).
  4. La relegazione della Dad (didattica a distanza) tra le pratiche emergenziali legate alla eventuale recrudescenza del virus. La Dad (eseguita su piattaforme proprietarie, peraltro) non è “Scuola”: sclerotizza le relazioni; riduce forzosamente e quantitativamente i contenuti didattici; individualizza l’apprendimento; è puramente trasmissiva, quindi acritica e non consente verifiche attendibili. Inoltre, è discriminatoria, perché non raggiunge tutti e, per i bambini, necessita di competenze che spesso le famiglie non hanno. La digitalizzazione della Scuola non è una priorità né è la garanzia, come si vuole far credere, dell’immediato miglioramento qualitativo dell’istruzione. Il mezzo non va confuso con il fine. Chiediamo che non si imponga al corpo docente italiano, con il pretesto e la mannaia del Covid-19 e con la solita retorica della “innovazione”, una metodologia non da tutti condivisa, dai limiti feroci e ampiamente evidenziati, e, soprattutto, non fatta oggetto di un dibattito pubblico tra esperti e destinatari, il che configura una violazione della libertà di insegnamento e del diritto allo studio.
  5. Il ripristino dei consigli di disciplina, organi collegiali provinciali o nazionali chiamati ad esprimere il proprio parere sulla dichiarazione di proscioglimento da ogni addebito, ovvero sull’inflizione della sanzione disciplinare nei confronti del personale della Scuola, scomparsi per effetto del decreto legislativo 150 del 2009(c.d. riforma Brunetta). Da quando, infatti, il dirigente è titolare unico della facoltà di erogare punizioni fino alla sospensione, è diventata possibile la persecuzione su base ideologica dei docenti (il caso eclatante della prof. Roberta dell’Aria, censurata per non aver a sua volta censurato i suoi studenti ne è un lampante e triste esempio).
  6. 6. Il finanziamento congruo (un punto percentuale di PIL in più) del settore, con interventi all’edilizia e la distribuzione razionale e funzionale degli alunni nelle classi (massimo 15). La Scuola deve smettere di essere usata come bancomat della crisi. Anche il dimensionamento degli istituti con meno di 500 alunni è devastante, perché crea istituti “comprensivi” di 1000/1200 alunni gestiti da un solo dirigente non esperto, verosimilmente, delle dinamiche relative a tutti gli ordini di scuola contenuti nel mega-istituto di cui è alle guida. Chiediamo la soppressione della L. 62/2000, che consente di aggirare la Costituzione e di finanziare con soldi pubblici le scuole private, per lo più confessionali (solo il 19% delle paritarie sono pubbliche).
  7. Un sistema di reclutamento serio ma unico, per evitare guerre tra poveri, carriere all’insegna della desultorietà, mancanza di continuità per gli alunni, specie sul sostegno, dove è assolutamente necessaria, e un precariato eterno, dequalificante. Fare l’insegnante deve essere una scelta, non un ripiego o una casualità, e deve tornare ad essere socialmente accreditante, appagante e gioioso, in ragione della libera e creativa impostazione del magistero docente, che deve indurre le generazioni ad articolare alternative ai modelli imperanti, non a soggiacere a un modello che pretende di essere “naturale”, “fatale”, e come tale immodificabile.

I Cobas Scuola Napoli

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