Lettera al direttore de La Stampa, e risposta
Caro Direttore,
ieri due giovani di 15 e 16 anni a Terni hanno perso la vita per aver assunto metadone fornito da un tossicodipendente di 41 anni. Il metadone è un farmaco sicuro quando utilizzato nei tossicodipendenti, ma può diventare letale se viene assunto da persone prive di tolleranza agli oppioidi. Per una persona priva di tolleranza anche l’equivalente di un cucchiaio (30-40 mg), può risultare letale con una morte che arriva nel sonno. Come dimostra questo ennesimo caso l’età del primo contatto si sta abbassando notevolmente: per il consumo di alcolici, è tra gli 11 e i 14 anni, mentre per le sostanze stupefacenti tra i 12 e i 15 anni. Alla temibile eroina (che è ritornata in auge), si arriva intorno ai 14-15 anni.
I casi di Alice, Desirée e la morte di questi due giovanissimi, ci dimostrano che i nostri ragazzi si espongono da soli a rischi enormi, in contesti di spaccio che raramente sono in grado di gestire. Il nodo cruciale è come ridurre la “domanda”: non esistono progetti di prevenzione strutturati, non esistono progetti di prossimità con educatori di strada che sappiano supportare o orientare ed il lavoro nelle scuole è pressoché inesistente. La risposta dello Stato deve essere forte ed integrata: prevenzione, riduzione del danno, contrasto del traffico, cura e recupero non possono più essere pensati da soli, serve un tavolo integrato in cui gli operatori di polizia discutono con gli operatori del territorio, dei Sert e delle comunità.
Andrea Zirilli
Caro signor Andrea,
la tragedia di Flavio e Gianluca è una sconfitta per tutti noi. Due adolescenti di 15 e 16 morti per aver bevuto una bottiglia di metadone diluito nell’acqua sono un buco nero nella nostra coscienza di adulti, disattenti e lontani dalla vita di tanti giovani. Le foto pubblicate in questi giorni sono scioccanti: basta vederli in faccia, questi due amici per la pelle che se ne sono andati non certo per quella che in apparenza potrebbe sembrare la “stupidata” di una sera: sono due ragazzini, si portano dietro l’ingenuità, forse la solitudine, sicuramente l’insondabile mistero della loro età. La tragedia si è consumata a Terni, ma poteva succedere e purtroppo succede in qualunque altra città italiana. Lei ha drammaticamente ragione: come lei ci ricorda, e come dimostrano tutte le indagini sociologiche e le analisi statistiche di questi ultimi anni, la soglia anagrafica del consumo delle droghe pesanti si sta abbassando sempre di più, fino a scendere a ridosso degli 11 o 12 anni. Insieme al consumo di alcolici e di superalcolici, questo fenomeno sta diventando il più grave e il più preoccupante della condizione giovanile moderna.
Quello che sconcerta, nella vicenda di Flavio e Gianluca e di tanti altri adolescenti come loro, è la “normalità del male”. “Fratè, je damo stasera?”, si scrivevano sugli smartphone questi ragazzini, preparando le loro serate come se fossero un droga-party. Questo linguaggio dimostra la collaudata dimestichezza che avevano con le sostanze stupefacenti. E sconcertano le parole del procuratore di Terni che sta indagando sul pusher ventenne che ha fornito ai due giovani la dose fatale e che ha interrogato in questi giorni gli amici della loro comitiva. Dice Alberto Liguori: “Mi ha stupito e sconvolto la naturalezza con la quale parlano di droga, la dimestichezza nello spiegare, a verbale, come cambia il colore della sostanza da violaceo se viene usata la codeina, a biancastro se c’è solo il metadone. Io stesso, da addetto ai lavori, sono rimasto esterrefatto dal loro patrimonio di conoscenze, dalle informazioni tecniche che avevano… dando per scontato che quella sostanza provoca sollievo e non è poi così nociva”.
Capisce, signor Andrea, perché dico che Flavio e Gianluca non sono morti per la “stupidata” di una sera. Se ne sono andati perché, a dispetto dei loro “teneri” 15-16 anni, avevano imboccato da chissà quanto tempo una strada senza ritorno. Questa, banalmente, era la loro quotidianità. Le domande che ci poniamo, di fronte a questi abissi, sono sempre le stesse, ordinate in una gerarchia che varia col variare della nostra sensibilità, che può essere affettiva, etica o securitaria. Dove sono i genitori? Dove sono i valori? Dov’è la scuola? Dove sono le forze dell’ordine? Sono domande legittime e ricorrenti, e la risposta non c’è, come sempre quando diamo la colpa di ciò che succede alla “società”. Lo stesso procuratore infatti aggiunge: “La verità è che i ragazzi non hanno colpa, siamo noi ad aver preparato per loro una società fatta in questo modo…”. Non ha torto. Ma ripeterlo non ci allevia il dolore e neanche l’inquietudine, perché tanto nulla cambia.
In casi come questi, non ha senso neanche invocare la liberalizzazione delle droghe leggere. Il metadone che ha ucciso Flavio e Gianluca è già “liberalizzato”: si trova in farmacia, ad uso esclusivo dei tossicodipendenti in terapia. Ma che si può fare, quando il tossico che ne beneficia per legge si rivende la sua dose giornaliera per comprarsi la droga pesante, e quella boccetta di “droga leggera” finisce nelle mani sbagliate, come è successo a Terni? Trovo sensata la sua proposta: un tavolo integrato, in cui operatori di polizia discutano con operatori di territorio, dei Sert e delle comunità. Ma temo che non basti. Anche in questo caso, occorre una svolta: l’emergenza droga deve tornare in cima all’agenda politica. Tanto quanto l’emergenza criminalità, di cui è una derivata. Con decisioni conseguenti. Preventive, molto più che repressive.
(La Stampa)