23 Dicembre, 2024
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Consiglio europeo, Conte vede Macron: «Occorre fare presto». E per cercare alleati sente anche Orbán

L’Italia non vuole obblighi di «riforme strutturali» né che la vigilanza passi al Consiglio Ue. Telefonata al premier austriaco Kurz, con cui la discussione non è stata facile

«La nostra preoccupazione è che tutto sia finalizzato al più presto. La situazione è complicata, ci sono differenti sensibilità». Non basta il «bisogna essere sempre ottimisti» che Giuseppe Conte si lasca sfuggire allungando il passo verso una cena alla dieci e mezza di sera nel quartiere di Sablons a compensare la preoccupazione che traspare dalle parole del presidente del consiglio. Il premier ha appena finito il suo incontro con il presidente francese Emmanuel Macron, alla vigilia del consiglio europeo che deve decidere sugli aiuti dopo il buio del Covid. Come dice lui stesso «la posta in gioco è l’Europa, la competitività dell’Ue nel mondo globale». E le curve pericolose sono parecchie come la richiesta dell’unanimità sull’utilizzo degli aiuti avanzata dall’Olanda: «Una richiesta non in linea con le regole europee». Che l’aria non fosse delle migliori s’era capito già dalle parole che aveva pronunciato prima di salire sull’aereo: «Stiamo affinando le armi, vorrei dire affilare le armi ma mi sembra una metafora impropria. Siamo al rush finale». Italia e Francia sono dalla stessa parte. Ma non è detto basti. E a questo punto è utile fare un passo indietro.

Le parole di Lagarde

Sull’aereo per Bruxelles Conte ha riletto le dichiarazioni di Christine Lagarde. E non è stato esattamente un momento di serenità. Secondo la presidente della Banca Centrale Europea, i fondi devono «essere profondamente ancorati a solide politiche strutturali». In sostanza si è fermata un millimetro prima dal sostenere la proposta appoggiata dai Paesi «frugali», quella per cui i fondi dovrebbero essere condizionati alle riforme strutturali. La Troika, solo con un altro nome.

Parole che non hanno certo fatto piacere al premier. Anzi. Ed è stato inevitabile ricordare l’intervento maldestro della stessa Christine Lagarde quando, nei primi e drammatici giorni del lockdown, disse che la Bce «non era lì per chiudere gli spread», con tutto quello che ne seguì sui mercati. Anche di questo Conte ha parlato con Macron. Trovando una sponda e anche una porta aperta visto che non è certo la Francia il nemico dell’Italia in questa difficile partita di mezz’estate.

Le telefonate a Orbán e Kurz

In mattinata Conte aveva fatto un giro di telefonate per provare ad allargare la tela del negoziato con i capi di governo di Ungheria, Finlandia e Repubblica Ceca. Viktor Orbán gli ha chiesto di mediare sulla clausola che potrebbe ridurre i fondi a favore dei Paesi che non rispettano i principi dello Stato di diritto. Conte ha ascoltato. Tra le sue telefonate c’è stata anche quella con Sebastian Kurz, il cancelliere austriaco che ha bacchettato l’Italia più volte. Con lui la discussione è stata meno facile. Ma siamo solo all’inizio. Le richieste che oggi l’Italia metterà sul tavolo, con la sponda anche di Emmanuel Macron, non sono condivise da tutti.

Prima di tutto c’è la necessità di difendere l’ammontare complessivo degli aiuti che tra fondo perduto e prestiti dovrebbero arrivare in tutto a 750 miliardi di euro. Una cifra che il fronte dei Paesi cosiddetti frugali, ma non solo, considera troppo elevata e che vorrebbe limare. L’Italia, invece, è per non arretrare di un millimetro. L’obiettivo resta portare a casa la posta piena e cioè, alla voce Italia, 81,8 miliardi. Ma la vera preoccupazione di Conte è chiudere il negoziato prima possibile, perché è «chiaro che quello in arrivo non sarà un autunno facile».

Condizionalità: i paletti

Se la cifra e i tempi sono i punti più evidenti, ci sono tuttavia altre due questioni che Conte considera centrali. Una è proprio il discorso delle condizionalità, parola volutamente vaga che può andare da un controllo di massima sulle politiche nelle quali investire, l’ipotesi che sostiene l’Italia, fino a una contropartita in riforme strutturali che è proprio quella sfiorata ieri da Lagarde e osteggiata dall’Italia. Proprio per questo Conte sottolinea che le nuove risorse ci «consentiranno di investire nelle infrastrutture, nella digitalizzazione, e di perseguire il rilancio economico e sociale di cui il Paese ha bisogno». Come dire, questi sono i campi in cui usare gli aiuti, non c’è bisogno di altri paletti.

La vigilanza: Commissione o Consiglio

L’altro punto delicato è chi dovrà controllare il rispetto di queste condizionalità, qualsiasi esse siano. L’Italia preme perché il compito resti nelle mani della Commissione, per una questione di equilibrio ma soprattutto perché significherebbe essere tutelati da Paolo Gentiloni, che nella Commissione è responsabile per gli Affari economici. Il rischio è che invece la vigilanza venga spostata nelle mani del Consiglio, dove siedono i capi di governo degli Stati membri. Con il rischio conseguente che si inneschi un meccanismo di veto che ci potrebbe danneggiare, e che si ricompatti quel fronte dei paesi frugali che rappresenta il nostro principale nemico. Il cielo basso e grigio di Bruxelles non sembra promettere bene.

(Corriere della Sera)

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