Il segretario dei Dem: «Se Renzi non vota il testo sul proporzionale, cade il vincolo di maggioranza»
La minaccia di Nicola Zingaretti è di quelle serie: stringere un accordo con Salvini su un nuovo sistema di voto alle politiche, che penalizzerebbe i piccoli partiti dando vantaggio ai primi quattro in classifica. Ovvero: Lega, Pd, M5S e Fratelli d’Italia. Ma Renzi già sa tutto e ha già lanciato la sua contromossa dalle colonne di questo giornale, ovvero l’idea di un partito unico con Forza Italia, tutta da realizzare.
DOMANI IL BLITZ ALLA CAMERA
Dunque: il Pd domani forzerà la mano, per votare in commissione alla Camera l’accordo stretto con 5Stelle e Italia Viva il 9 gennaio scorso. Su una legge proporzionale con soglia di sbarramento al 5% che doveva sostituire il famigerato Rosatellum. Renzi però ha già detto che no, non vuole più saperne del proporzionale e ha rilanciato la sua antica passione per la legge dei sindaci, maggioritaria e a doppio turno. Dove la sera si sa chi ha vinto e chi governerà. Ed ecco la minaccia di Zingaretti: se Renzi non rispetterà l’accordo stipulato a suo tempo per bilanciare gli effetti del referendum sul taglio dei parlamentari, facendo dietrofront sul proporzionale che aveva firmato anche lui, il Pd cambierà schema. Considerando rotto il vincolo di maggioranza, andrà a cercarsi in casa delle opposizioni i voti per un altro tipo di legge elettorale. Quella più temuta da Renzi, ovvero il cosiddetto «sistema spagnolo», costruito su sfide in collegi piccoli, che alla fine tendono a premiare i partiti maggiori a scapito dei minori. Fumo negli occhi per Italia Viva.
LA MORSA DI DEM E GRILLINI ALL’EX ROTTAMATORE
«Non si tratta di accelerare ma di recuperare un ritardo», dice il leader Pd. «Almeno in un ramo del Parlamento deve essere votato prima del referendum del 20 settembre il testo base sulla legge elettorale, se non vogliamo perdere credibilità rispetto ad impegni solennemente e collegialmente assunti. Su questo punto margini di ambiguità nella maggioranza non possono esistere». «Avanti senza esitazioni», avverte pure Vito Crimi. Che secondo i Dem è capo politico di un movimento che avrebbe tutto il vantaggio a portare a casa un sistema di voto come quello spagnolo. Tanto che prima dell’accordo del gennaio scorso, per mesi si discusse di questa opzione, caldeggiata da Andrea Orlando e molti nel Pd, ma su cui era contrario proprio Matteo Renzi. Ora il nodo viene al pettine e questo strappo potrebbe condizionare la vita del governo, vista la scarsa propensione di Renzi a digerire gli aut aut e a subire minacce senza reagire quando viene messo all’angolo. Specie su una questione politica di vita o di morte come questa.
(La Stampa)