17 Luglio, 2024
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Due anni fa scompariva Sergio Marchionne, il manager che ha tracciato la rotta di Fca

Due anni esatti.

Era il 25 luglio del 2018 quando la vita di Sergio Marchionne giunse al termine. Era stato ricoverato qualche giorno prima all’ospedale universitario di Zurigo, che in seguitò fece sapere che il manager italo-canadese era già da tempo in cura presso le sue strutture.

La scomparsa colse di sorpresa i colleghi di lavoro e lo stesso vertice di Fca, il gruppo automobilistico che il manager guidava da 14 anni e che aveva contribuito a trasformare in maniera profonda, conducendo l’acquisizione della Chrysler e trasformando la Fiat in un’azienda con solide radici in Nord America, il mercato automobilistico più ricco del mondo.
Pochi giorni prima, il presidente John Elkann e il consiglio di amministrazione di Fca avevano dovuto correre ai ripari, accelerando un cambio al vertice che era già stato programmato ma non ancora definito nei dettagli. Come amministratore delegato venne scelto Mike Manley, il manager inglese che aveva collaborato a lungo con Marchionne e dato grande impulso allo sviluppo del marchio Jeep.

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Di tutta corsa fu necessario anche ridisegnare il comando di Ferrari, che Marchionne aveva concordato di conservare anche dopo il cambio della guardia in Fca, restando presidente con poteri operativi. Come amministratore delegato fu scelto Louis Camilleri, mentre lo stesso Elkann assunse la presidenza.

In due anni le prospettive del gruppo Fca sono mutate, muovendosi però lungo una direzione che Marchionne aveva contribuito a indicare. Il manager di origine abruzzese (il ritratto), che aveva saputo costruirsi una luminosa carriera prima in Canada, poi in Svizzera dove la famiglia Agnelli l’aveva chiamato a guidare il colosso dei servizi di sicurezza e certificazione Sgs, aveva infatti lavorato a lungo a un ulteriore progetto di crescita di Fca, puntando in maniera particolare sull’americana General Motors. All’epoca le condizioni per l’operazione non si erano create e, così, negli ultimi anni si era dedicato a rafforzare il profilo finanziario di Fca, con l’obiettivo dichiarato (e raggiunto) di arrivare a cancellare l’indebitamento netto del gruppo, proprio per presentarsi a eventuali partner con un profilo più solido.

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Il matrimonio annunciato a fine 2019 da Fca e dal gruppo francese Psa, che dovrebbe essere portato a termine nel primo trimestre 2021 e dare vita a una nuova holding denominata Stellantis che controllerà tutti i marchi delle due aziende, è il frutto ultimo del lavoro di Marchionne. Il nuovo gruppo sarà il quarto costruttore automobilistico al mondo, con Fca che potrà beneficiare del successo di Psa sul mercato europeo e il gruppo francese dell’importante presenza del partner in Nord America e in Brasile.

Marchionne era giunto alla guida di Fca in uno dei momenti più bui della sua storia. Le scomparse prima di Gianni e poi di Umberto Agnelli erano arrivate in un momento di grande debolezza industriale e di incertezza strategica. Il manager aveva iniziato abbandonando la prospettata unione con General Motors, per poi intraprendere un processo di trasformazione continuo, sia a livello industriale, sia finanziario. Forse propio la capacità di intercettare e di dar esecuzione alle attese della comunità finanziaria sono state due delle sue maggiori qualità. Le operazioni che portarono a enucleare dal gruppo sia la Ferrari che il business dei camion e delle macchine agricole di Cnh Industrial diedero grande slancio al titolo, permettendo di superare crisi globali come quella del 2008 e quella del 2011 senza eccessivi traumi, nonostante la necessità di ridisegnare di continuo gli obiettivi industriali del gruppo.
Tra le tante testimonianze dell’epoca vale forse la pena di citare quella di Max Warburton, l’analista della banca d’affari Bernstein che seguì Fca nei 14 anni di Marchionne. Il 21 luglio, quando si seppe che le sue condizioni erano gravi e che non sarebbe più tornato al lavoro, Warburton scrisse: “Forse non è universalmente rispettato. Probabilmente lavorare con lui era un inferno. Ma nella comunità finanziaria è chiaro che molti di noi si sentono fortunati per aver potuto osservarlo al lavoro e privilegiati per aver potuto interagire con lui”

(La Repubblica)

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