25 Novembre, 2024
spot_imgspot_img

“Servirebbe un decreto sul fine vita”. Intervista a Michele Ainis

La sentenza su Welby e Cappato è “un fallimento della politica ma anche del diritto, è necessaria una legge sul diritto al suicidio assistito che stabilisca un confine certo tra lecito e illecito. Se il Parlamento da solo non ce la fa, intervenga il Governo”

Professor Michele Ainis, la Corte d’Assise di Massa ha assolto Marco Cappato e Mina Welby dall’accusa di istigazione al suicidio perché il fatto non sussiste, e dall’accusa di aiuto al suicidio perché non costituisce reato. Pur in attesa delle motivazioni della sentenza, qual è la sua prima valutazione?

È l’ennesima dimostrazione che a un legislatore inerte corrisponde un giudice supplente. È già successo molte volte nel campo dei diritti: la vicenda di Eluana Englaro, la stepchild adoption, prima ancora la tutela del convivente more uxorio. In questo caso la latitanza del legislatore è ancora più manifesta perché a una sentenza della Corte Costituzionale, che dava al legislatore un anno di tempo per legiferare, ne è seguita una successiva, l’anno scorso, che di nuovo sollecita l’intervento del Parlamento. E tuttavia è sulle basa di quella decisione che intanto Cappato era già stato assolto per aver aiutato a morire DJ Fabo.

Il capogruppo Pd al Senato Andrea Marcucci ha chiesto alla presidente Casellati di calendarizzare il ddl sul fine vita. Da anni se ne parla senza trovare uno sbocco. Perché il Parlamento non riesce a intervenire, secondo lei?

In parte non ce la fa perché, da sempre, sui temi etici è paralizzato e ostaggio di posizioni molto diverse tra loro che non riescono a trovare sintesi. In parte, oggi la situazione è stata molto complicata dall’emergenza coronavirus. Il Parlamento è sommerso di decreti legge da convertire: se anche ci fosse la volontà politica – che in realtà manca – ci troveremmo comunque davanti a un’inagibilità tecnica.

Non è un drammatico fallimento della politica il consegnare temi importanti come il fine vita alla magistratura? Non rappresenta uno smacco per la democrazia parlamentare?

È un fallimento della politica ma anche del diritto, per quanto su questo versante appaia come un successo. Un giudice può assolvere, un altro condannare. È necessaria una legge che stabilisca un confine certo tra lecito e illecito. Come diceva Norberto Bobbio, il diritto o è certo oppure non è.

Come si risolve la situazione, allora? Sarà la volta buona?

Tra tanti decreti legge sarebbe bello vederne uno che risolva questa faccenda riconoscendo a tutti i cittadini,e non solo a chi può permetterselo economicamente, il diritto al suicidio assistito.

Un decreto legge? Ma non si porrebbero gli stessi problemi che lei ha elencato anche in sede di conversione?

Se il Parlamento da solo non ce la fa, intervenga il Governo con la sua capacità di indirizzare il dibattito.

Per il momento, l’unico ancoraggio certo sono gli orientamenti della Consulta. Quali sono i principi costituzionali applicabili in tema di fine vita?

La nostra Costituzione non contiene disposizioni specifiche sul tema. Declina però la salute come diritto anziché come dovere. Significa che si può decidere di morire: il suicidio non è un reato, chi lo tenta non può essere arrestato. È invece un reato l’aiuto al suicidio, ma esiste un importante principio costituzionale non scritto rappresentato dalla dignità della persona. Se per svolgere funzioni corporali servono strumenti meccanici, la dignità personale viene meno. Infine, penso al principio di autodeterminazione contenuto nell’articolo 13 che definisce inviolabile la libertà personale: il mio corpo appartiene a me e non allo Stato.

In assenza appunto delle motivazioni, diversi commentatori hanno visto nella scelta dei giudici d’Assise un ulteriore passo avanti rispetto alla Consulta: nel perimetro di non punibilità in caso di aiuto al suicidio rientrerebbero non soltanto il collegamento ai macchinari ma anche le terapie farmacologiche che danno sostegno vitale. In pratica, potrà decidere di morire non solo chi è attaccato alle macchine ma anche chi da malato terminale riceve medicine. E’ condivisibile, secondo lei?

Credo che un giudice nell’applicare le norme sia guidato da quelle superiori, ovvero di rango costituzionale. La Carta contiene il sentimento della pietas: l’immedesimazione nel dolore e nelle sofferenze altrui, soprattutto dei più deboli. Penso che questa sentenza traduca proprio il principio della pietas.

(Huffpost)

Ultimi articoli