Lamorgese: arrivi continui inaccettabili. Cirio: a rischio la tenuta sociale. L’Onu: dalla Libia i viaggi dell’orrore, nei centri torture e abusi sessuali
Gli arrivi non rallentano: tra le 23 di martedì e le 8 di ieri mattina, Lampedusa ha contato 23 sbarchi con 334 migranti, un ritmo di due sbarchi e mezzo ogni ora. Barche, barchini, gommoni. Uomini, donne, bambini, un anziano in carrozzina, perfino un gattino. E si alza la tensione.
In particolare accade in Sicilia, dove molti sindaci sono esasperati perché i migranti fuggono da tutte le parti, saltano le recinzioni dei centri di accoglienza, si dileguano per le campagne, e i cittadini protestano perché hanno paura che gli stranieri siano portatori di contagio. Ma la temperatura si alza soprattutto in politica.
Matteo Salvini batte e ribatte sul tema.
Ma a preoccupare il governo sono i Governatori, e non solo quelli di destra. Nei giorni scorsi aveva fatto la voce grossa Massimiliano Fedriga, dal Friuli. Anche Toscana e Emilia-Romagna, però, come il ministero dell’Interno ha toccato con mano, non vogliono più migranti.
E se persino il mite Alberto Cirio, che governa il Piemonte, annuncia le barricate, si prospetta un’estate davvero difficile per Luciana Lamorgese. Che ieri sera entrava al Consiglio dei ministri intenzionata a dare battaglia, numeri alla mano. «L’emergenza sanitaria – dice – incide fortemente anche sulla disponibilità dei territori ad accogliere i migranti, seppure con test sierologico o con tampone negativo, e concentra soltanto su alcune regioni il peso della redistribuzione».
«Ora diciamo “basta” e l’ho scritto al ministero dell’Interno – ha dichiarato intanto Cirio – perché il Piemonte non può garantire oltre queste forme di accoglienza.
Ho chiesto con fermezza al ministro Lamorgese di non voler procedere a ulteriori invii, che metterebbero fortemente a rischio la tenuta e la sicurezza del nostro sistema sanitario e sociale».
È scatenato anche Nello Musumeci, presidente della Regione Sicilia:
«C’è approssimazione, superficialità e impotenza da parte degli organi di Stato nell’affrontare il fenomeno migratorio. La nostra pazienza è al limite».
Davanti a quella che appare un’offensiva del rifiuto, e anche per rispondere alle critiche di Nicola Zingaretti e di quella parte della sinistra che la incalza, la ministra Lamorgese ha lanciato un appello dal sapore istituzionale: «Stiamo facendo il possibile, ma ci troviamo davanti a un evento con numeri elevatissimi. Bisogna lavorare con le Regioni sul tema della redistribuzione. Ovviamente ognuno si preoccupa che dal un punto di vista sanitario ci sia una garanzia. E noi stiamo lavorando per questo: fare i tamponi e poi redistribuire i migranti in modo che non ci sia preoccupazione alcuna sui territori rispetto a una possibile diffusione del coronavirus».
La ministra stessa, pur scatenando le ironie di tanti, ha anche riconosciuto: «Per noi sono inaccettabili questi arrivi continui, che stanno collassando l’isola di Lampedusa».
Il rischio è che esploda la tensione. Ne parla apertamente anche Luigi Di Maio, che ha richiamato ruvidamente l’Europa ai suoi impegni: «Non dobbiamo avere paura di dire scrive il ministro degli Esteri – che in questo momento l’Italia da sola non ce la può fare. Serve un’azione di ampio respiro sul tema, che salvaguardi la tenuta sociale del Paese».
Alla politica italiana appare davvero distante la tragedia di chi fugge da guerre e carestie. Basterebbe leggere il rapporto dell’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, che boccia senza appello la Libia e che mette nero su bianco quel che tutti sanno: non solo non è un porto sicuro, ma è la tappa finale di un viaggio costellato da abusi, esecuzioni sommarie, torture, lavori forzati, pestaggi, violenze sessuali su donne e bambini. Già in Libia, i migranti hanno spesso disturbi psichici gravi derivanti dai traumi subiti. Poi – sempre che la Guardia costiera non li riporti indietro con le maniere forti – si avventurano per mare e spesso non arrivano a destinazione. Secondo il rapporto, almeno 1750 migranti sono morti nel 2018 e nel 2019.
(La Stampa)