“Voi chiamate campo d’onore questa terra al di là dei confini…” Una volta erano le città irredente sotto dominio austriaco, poi parte del regno dei Savoia e quindi Jugoslavia. E caduti i Muri, il governo di Roma si è impegnato per tenere viva la comunità italiana in Slovenia e Croazia. Oggi oltre cinque milioni di euro vengono erogati ogni anno dal ministero degli Esteri e dalla regione Friuli Venezia Giulia in sostegno dell’identità nazionale a Parenzo (Porec), Pola (Pula), Rovigno (Rovinj), Fiume (Rijeka). A decidere come investirli è l’Unione Italiana, un’organizzazione eletta dalla nostra minoranza costituita da 51 comunità, 38 istituzioni scolastiche e vari enti. Tanti soldi, tanti referenti “eppure nonostante i cospicui finanziamenti i nostri connazionali sono impoveriti, svuotati, non si sentono rappresentati. La situazione è al collasso”, denuncia Maria Cristina Antonelli, console generale in Slovenia fino al 2014. E non è l’unica voce a disegnare il ritratto di una comunità disillusa, con iscrizioni e partecipazioni al voto crollate.
“Hic manebimus optime, qui staremo benissimo”, disse Gabriele D’Annunzio dopo avere occupato Fiume.
E il vertice della nostra rappresentanza sembra avere fatto suo quel motto: è lo stesso da trent’anni. Dal 1991 ci sono infatti Maurizio Tremul, presidente dell’Unione Italiana e prima della giunta esecutiva, e Furio Radin che dal 1992 è deputato al Parlamento croato come rappresentante proprio della minoranza italiana. A Zagabria è passato dall’appoggiare le coalizioni del centro-sinistra di Ivica Racan a quelle del centro-destra di Andrej Plenkovic e da poche settimane è stato eletto per la nona volta consecutiva. Un recordman, anche se su oltre 17mila elettori italiani ha ottenuto solo 890 voti: lo ha scelto il 5 per cento contro il 50 degli inizi. “In due gestiscono un patrimonio notevole e si comportano come due piccoli dittatori. Eletti con percentuali irrisorie, i limiti di mandato non rispettati, la devoluzione dei fondi ha assunto un valore essenzialmente elettorale e lo Stato italiano che dovrebbe controllare chiude gli occhi” attacca l’ex console Antonelli.
L’effetto di questo personalismo appare paradossale: i soldi dovrebbero essere usati per attività teatrali e musicali, mostre, scuole in italiano, progetti capaci di tutelare e accrescere il legame culturale e identitario con il nostro Paese invece rischiano di far sentire la comunità sempre più distante.
“E’ una gestione personalistica e autoreferenziale contraddistinta da pratiche disinvolte e irregolarità” racconta Silvano Zilli, esperto di tutela della minoranza nazionale presso il Centro di ricerche storiche di Rovigno nell’Istria croata.
E’ uno degli enti di proprietà dell’Unione Italiana, riceve sovvenzioni per oltre 500mila euro l’anno e ha il compito di salvaguardare i materiali dell’insediamento storico. Molte realtà dipendono da quelle risorse e per Zilli: “rischiano di essere ostaggio di una logica clientelare votata al vantaggio del piccolo gruppo di vertice anche a scapito della disfatta collettiva. Per mantenere il loro potere hanno finanziato progetti e iniziative che comportavano un ritorno elettorale, privando la comunità dei finanziamenti dovuti”. L’italianità che si trasforma in etnobusiness perché le scuole, gli organi di informazione e persino i cori delle associazioni artistico-culturali hanno bisogno di quei soldi per sopravvivere. E il risultato di questa permanenza quasi trentennale e che “nelle riunioni non si discute dei temi e problemi effettivi inerenti la tutela degli italiani, ma solo della spartizione del denaro. Non si sono nemmeno preoccupati di far rispettare il trattato tra Italia e Croazia per il bilinguismo” insiste Zilli.
Per documentare le sue accuse ha raccolto centinaia di delibere e contratti anomali e ha anche informato gli enti finanziatori. Come il caso delle borse-libro: oltre 281mila euro, destinati a duemila membri della comunità e mai assegnati. Soldi che non vengono inseriti nei bilanci, altri che vengono dirottati ad altri enti: ad esempio, quello giornalistico-editoriale di Fiume, l’unica casa editrice della comunità con l’ex direttore condannato dall’autorità croata per aver usato carte di credito aziendali per spese personali. “L’Unione italiana ne è il fondatore unico, detiene la maggioranza nel CdA, ma non si è accorta di alcun problema nei controlli delle spese. Nella migliore delle ipotesi è negligenza e l’Italia non ha sollevato alcuna perplessità” tuona l’ex console Antonelli. Nel dossier di Zilli sono elencati atti che comportano oneri finanziari consistenti, che l’assemblea ha solo ratificato a cose fatte, e altre iniziative che avrebbero violato lo statuto o le disposizioni di legge. Fino ad acquisti e lavori di ristrutturazione non proprio economici ed efficaci. Oltre due milioni di euro per la sede di Castel Bembo a Valle (Bale). Ben 800 metri quadrati per 425 iscritti, con una parte dei locali data alla fine in gestione ad un’azienda del ministero della Difesa e dell’esercito croato. Per i 241 italiani iscritti a Cherso (Cres), la sede è costata più di un milione di euro; per quelli di Visinada (Vizinada), appena 90 tesserati, un altro milione.
“Sono soldi che vengono dalle tasse italiane, dati da italiani per altri italiani.
Il ministero degli Esteri di Roma ne è responsabile e invece da un decennio i controlli sono inconsistenti. Il revisore dei conti inviato dalla Farnesina non ha mai avuto nulla da obiettare nonostante il moltiplicarsi di pratiche irregolari”, sottolinea Antonelli.
Il ministero degli Esteri replica che “i fondi sono erogati, in base ad una convenzione annuale registrata dalla Corte dei Conti, all’Università Popolare di Trieste (UPT) per i due terzi e all’Unione Italiana, per un terzo”. E tutto è soggetto a controllo: “Per l’UPT, in quanto ente di diritto italiano, da parte di tre revisori, uno indicato dalla Farnesina, uno dal ministero dell’Economia e delle Finanze e uno dalla regione Friuli Venezia Giulia. Per l’Unione, soggetto di diritto estero, il ruolo del revisore della Farnesina è circoscritto alla verifica dei finanziamenti e delle relative spese effettuate ai sensi della legge italiana, mentre il controllo del bilancio complessivo è effettuato da una società di revisione di conti”. Le uniche anomalie accertate hanno riguardato l’UPT. Un disavanzo emerso nel 2018 ha condotto al commissariamento terminato lo scorso giugno.
Anche Maurizio Tremul ribatte alle accuse: “Nel 1991 sono stato tra i fondatori della nuova Unione Italiana: non siamo un’organizzazione perfetta ma le contestazioni di mala gestione finanziaria sono tutte infondate. Zilli ha fatto decine di denunce ed esposti anche alla Corte dei Conti e tutto è stato archiviato. Non hanno mai trovato nulla. Ci possono essere errori politici nella conduzione di una struttura complessa, ma non è stato mai riscontrato nulla di penale rispetto alla gestione dei fondi. Zilli è stato per un anno nella mia giunta, l’ho proposto io come presidente, poi non è stato rieletto ed ha iniziato a scrivere. Legittimo farlo, ma tutte le sue accuse non hanno trovato riscontro né nella magistratura italiana, né croata, né slovena. E lo dimostrano non solo il controllo del revisore italiano della Farnesina e le ispezioni della Guardia di Finanza, ma anche quelle dei revisori croati e sloveni, perché riceviamo soldi anche da loro”.
Tremul ci tiene anche a difendere i risultati della sua leadership trentennale: “Sono al vertice da tanti anni ma sono stato eletto. Dopo l’indipendenza di Slovenia e Croazia la presenza della comunità italiana, grazie all’Unione e al sostegno diplomatico, è stata riconosciuta anche in territori prima negati. Dal Carso italiano a Pola ora c’è un bilinguismo visivo con la segnaletica, a volte carente ma diffuso. Abbiamo scuole pubbliche con tutta la didattica in italiano che contano più di 4mila allievi. Siamo una comunità con un’altissima percentuale di matrimoni misti con figli bilingue con un’identità che muta. E tanti anziani, perché anche qui c’è un calo demografico e molti dopo l’indipendenza sono emigrati”.
Di certo guardando ai bilanci del 2019 l’Unione Italiana, l’ente giornalistico-editoriale di Fiume e il Centro di ricerche storiche di Rovigno non sembrano navigare in cattive acque.
Hanno un saldo di cassa rispettivamente di 30.825.025 kune (pari a circa 4.137.587 euro), 8.029.346 kune (pari a circa 1.077.765 euro) e 779.082 kune (pari a circa 104.575 euro) eppure lo stato d’emergenza dovuto alla pandemia e alla mancanza di fondi ha provocato un unico licenziamento: quello di Silvano Zilli, l’autore delle denunce. Che adesso sta facendo causa per essere reintegrato
(La Repubblica)