19 Luglio, 2024
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Il piano pandemico non può restare segreto

Se oggi siamo tutti qui a discutere di cinque verbali del Comitato tecnico scientifico, se alcuni possono chiedersi perché venne chiusa l’Italia intera visto che gli esperti non lo avevano raccomandato; ed altri possono rivendicare il fatto che oggi come paese siamo portati ad esempio per come l’epidemia è stata messa sotto controllo; se siamo arrivati fin qui

 

lo dobbiamo al FOIA. E’ un acronimo, vuol dire Freedom Of Information Act, ed è un pilastro di un centinaio di democrazie nel mondo. Da noi è arrivato nel 2016.

 

E’ bene ricordare oggi che c’è stato un tempo in cui “giornalisti, organizzazioni non governative, imprese, cittadini italiani e stranieri, residenti e non”, non potevano “richiedere dati e documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni” (cito il documento sul monitoraggio del FOIA appena pubblicato dal ministero della Funzione Pubblica). E quel tempo non è preistoria. Solo cinque anni fa i verbali sul covid-19 sarebbero rimasti segreti per chissà quanto ancora.
Se il Parlamento approvò le norme che hanno introdotto il FOIA nel nostro ordinamento lo dobbiamo essenzialmente ad una mobilitazione della società civile:

 

una trentina di organizzazioni si unirono in un comitato – FOIA4Italy – e condussero una instancabile campagna online raccogliendo quasi 90 mila firme, incuranti dei tanti che dicevano che “il FOIA non sarebbe servito a nulla”.

 

Più insidiosi sono stati i tanti nella pubblica amministrazione che invece ne vedevano le implicazioni reali e che hanno provato a boicottarne l’introduzione (nel precedente governo erano circolate bozze di norme che ne avrebbero ristretto di molto la portata, ma l’esecutivo cadde prima).

Due le differenze decisive con la normativa precedente. La prima: a differenza del “diritto di accesso procedimentale” (legge  del 1990) che tutela solo il richiedente “con un interesse diretto, concreto e attuale”, l’accesso civico generalizzato del FOIA garantisce al cittadino la possibilità di richiedere dati e documenti alle pubbliche amministrazioni senza dover motivare la domanda o dimostrare uno specifico interesse qualificato.

 

La seconda: a differenza, del “diritto di accesso civico semplice” che consente di accedere esclusivamente alle informazioni che rientrano negli obblighi di pubblicazione previsti dal “decreto trasparenza”, l’accesso civico generalizzato si estende a tutti i dati e i documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni, “con il solo limite degli interessi pubblici e privati indicati dalla legge”. Quindi tutti possono chiedere (quasi) tutto.

 

Relazione sull’attuazione dell’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA) nei Ministeri: i risultati del monitoraggio 2017 – 2019

Come è andato il FOIA in questi anni?

 

Sempre meglio. In tre anni ai ministeri (che non sono gli unici destinatari delle richieste, anzi), sono state presentate 4310 richieste di accesso agli atti. Quattro richieste al giorno di media. Da notare che questa cosa non ha travolto gli uffici amministrativi, come alcuni paventavano per cercare di ammorbidire la normativa. La dimostrazione è nei tempi di risposta: la legge stabilisce 30 giorni massimo: l’84 per cento delle richieste viene evasa entro quel tempo. Interessante anche il fatto che quando una richiesta viene respinta, accampando le eccezioni previste dalla legge, la procedura del riesame – gestita dal responsabile della trasparenza di ogni ente – consente di solito di distinguere le vere eccezioni dalle scuse e di far approvare il 50 per cento delle richieste respinte. Al resto ci hanno pensato le decisioni favorevoli del TAR e del Consiglio di Stato, come si è visto nella vicenda dei verbali del Comitato Tecnico Scientifico.

Perché questi dati sono importanti? Perché una democrazia matura e solida ha nella trasparenza uno dei suoi pilastri: consente a tutti di monitorare il comportamento di chi ci amministra e stimola un dibattito pubblico informato e basato sui fatti. Il governo ieri ha fatto un primo passo importante e concreto in questa direzione; ed è stata fatta trapelare l’intenzione di pubblicare tutto il resto dei documenti prodotti in questi mesi. Il ministro della Salute Roberto Speranza è andato al Senato per scolpire una dichiarazione impegnativa: “La regola della trasparenza è quella a cui non intendiamo rinunciare”. Per questo è importante dare subito corso al FOIA che abbiamo presentato il 13 maggio e che viene palleggiato fra il gabinetto del ministro e gli uffici della Protezione Civile. La richiesta è di avere la pubblicazione del “piano pandemico”, ovvero del piano che gli esperti del ministero fecero in occasione del covid-19. Secondo quanto detto da un direttore generale del ministero della Salute in una intervista, venne fatto a gennaio e subito secretato. Ma sarebbe un equivoco, fanno sapere dal ministero, il piano venne avviato da Comitato tecnico scientifico a febbraio ed era pronto all’inizio di marzo, ragion per cui il nostro FOIA è stato inviato alla Protezione civile, che però lo ha rimandato indietro negandone la paternità.
Se questa vicenda è davvero “un equivoco” e se la trasparenza è “la regola a cui non vogliamo rinunciare”, c’è un solo modo per dimostrarlo: pubblicare quel piano, di gennaio o di marzo non importa. Pubblicarlo. Subito.

(La Repubblica)

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