20 Dicembre, 2024
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Gran Bretagna, record di sbarchi di migranti dalla Francia. Ma per “riprendersi i confini” Johnson dipende dall’Europa

Arrivano sulle spiagge del Kent in piccoli barchini e a questo punto dell’anno hanno già doppiato i flussi del 2019. Gli arrivi dalla Manica insidiano il premier, che ha fatto la sua fortuna puntando tutto su Brexit e sovranismo. Ora l’obiettivo è di rendere la tratta Calais-Dover “impraticabile” e chiedere alla Francia di fermare i flussi. Ma Parigi chiede più soldi. E il destino, visti i difficili negoziati su Brexit, è sempre più legato alla volontà degli altri: i francesi e l’Europa

La Gran Bretagna in fuga dall’Europa

fa i conti con un aumento mai visto di migranti, che si riversano sulle sue coste dopo aver attraversato il Continente e il Canale della Manica. È questo l’ultimo terreno di scontro con Parigi e Bruxelles, mentre gli sbarchi già a questo punto dell’anno sono più del doppio rispetto a quelli del 2019. I numeri dei flussi che allarmano il Regno Unito restano comunque lontani da quelli registrati sui litorali italiani, ma per il Paese sono da record: 14.832 sbarchi al 7 agosto 2020 contro i 4.303 in Inghilterra. In tutto, nel 2019, erano stati 1.890. Attraversare la Manica con gommoni e barchini è “stupido, pericoloso e criminale”, ha detto Boris Johnson, che ha fatto la sua fortuna puntando tutto su Brexit e sovranismo. Ma ora il fenomeno migratorio in crescita sta diventando un boomerang pericoloso.

Il picco del 2020 è stato raggiunto in agosto, quando solo giovedì 6 si sono registrati 235 sbarchi, portando il totale della prima settimana del mese a 650 complessivi. A bordo di piccole imbarcazioni, nella traversata da Calais a Dover, si sono avventurati migranti in fuga da Yemen, Iran, Sudan, Eritrea, Kuwait, Egitto, Chad, Mali e Iraq. Gli abitanti di una delle spiagge del Kent più battute raccontano a tv e quotidiani di aver visto anche tanti minori soli.

Il pugno duro del governo

Secondo Roger Gough, il leader della circoscrizione, quest’anno sono arrivati 400 bambini non accompagnati, 60 nella prima settimana di agosto. Il tutto in barba alle promesse del Segretario di stato per gli Affari interni inglese, Priti Patel, figlia di immigrati di origine indiana e nota per la sua durezza. L’anno scorso era stata lei a garantire che gli sbarchi sarebbero presto diventati un “fenomeno raro”, ma nonostante gli slogan come il famoso “riprendiamoci il controllo dei nostri confini”, ad oggi, il governo conservatore è ancora in alto mare e per rispondere alle accuse di inadeguatezza ha deciso di passare alle maniere forti.

Patel mostra il pugno duro nominando un ex membro della Marina Reale di stanza in Kosovo e poi in Iraq, comandante incaricato della gestione della “minaccia di sbarchi clandestini nel Canale della Manica”. Un’azione che sa di propaganda con l’obiettivo di generare un forte impatto sull’opinione pubblica arrivando a definire ufficialmente l’immigrazione clandestina “una minaccia” alla quale si risponde con la forza di un militare formato in territori di guerra.

Dan O’Mahoney, che ha già coordinato i 15 dipartimenti della sicurezza marittima inglese, dovrà occuparsi di rendere la tratta Calais-Dover “impraticabile” e confrontarsi con la Francia per ottenere interventi più risoluti nel contrasto delle partenza dalle sue coste. Il governo ha anche chiesto aiuto al ministero della Difesa, che sta valutando l’utilizzo di droni, di aerei spia e delle navi delle Forze di Frontiera mentre Patel incontrerà il ministro degli Interni francese Gerald Darmanin entro la fine di questo mese.

La partita a scacchi con la Francia

La disputa sull’interpretazione della legge del mare con la Francia è aperta da anni. Le relazioni tra i due paesi in tema di migrazione sono sancite da accordi bilaterali iniziati con il Sangatte Protocol del 1991, fino al Trattato di Sandhurst del 2018. Nei prossimi giorni è previsto un incontro tra le due controparti ma il governo Macron ha già messo in chiaro che prima di sedersi al tavolo, gli inglesi dovranno mettere mano al portafogli e sborsare, stando a quanto riportato dal Sunday Telegraph, almeno 30 milioni di sterline. Gli ultimi di una lunga serie, ricostruisce il Sunday Times che stima come dal 2014 le negoziazioni siano costate alla Gran Bretagna più di 100 milioni.

Oggi il Regno Unito non ha la minima intenzione di spendere altro denaro, ha chiarito Patel, almeno finché non avrà voce in capitolo su come questo sarà usato; così alza la posta accusando i francesi di non impedire le partenze, di non attuare misure efficaci per fermare i gommoni e minaccia l’intervento della Marina Militare. La Francia dal canto suo lamenta di dover pattugliare più di 300 chilometri di costa e all’Agenzia France Presse rivendica di aver intercettato almeno 810 migranti dall’inizio di gennaio. Insomma, per fare di più, servono più soldi.

Per il Regno Unito tutte le opzioni sono aperte

A riprova dell’intenzione della Gran Bretagna di giocarsi il tutto per tutto in una partita che è solo l’antipasto di ciò che potrà significare la Brexit, arriva anche la proposta di chiudere definitivamente la rotta di Calais. “Con i numeri record di ingressi illegali toccati quest’anno, tutte le opzioni sono sul piatto” ha twittato la parlamentare Conservatrice Natalie Elphicke, eletta nella circoscrizione di Dover. Senza mezzi termini ha chiarito che i migranti dovranno essere tutti rispediti in Francia indipendentemente dal fatto che possano essere stati sorpresi in acque inglesi o francesi.

Bella Sankey, direttrice della campagna per i diritti umani di Detention Action ha definito il ritorno forzato in Francia una “follia” che aprirà ad azioni legali e a grandi pericoli per le stesse vite umane. Bridget Chapman, portavoce dell’associazione Kent Refugee Action Network, dai microfoni di Sky News ha accusato il governo di una gestione caotica che ora delega alle forze militari una situazione umanitaria delicata.

Il fronte aperto con la Francia e la difficoltà delle relazioni con l’Europa rappresenterebbero invece il punto debole della propaganda conservatrice, secondo l’accusa del laburista David Milliband che ha ricordato al governo quanto lo slogan “riprendiamoci il controllo dei nostri confini” sia in realtà strettamente legato alla collaborazione e alla volontà degli altri: i francesi, l’Europa.

Sì, perché oltre ai dirimpettai di Calais, la Gran Bretagna, nella gestione del fenomeno migratorio, risponde ancora a quanto sancito da Dublino III. Il trattato, tra le altre, prevede che i migranti debbano essere rimandati al paese che per primo li ha accolti registrando la richiesta di asilo. Qualora la separazione dall’Unione Europea, che sarà definitiva dal prossimo anno, non fosse consensuale e il Regno Unito scegliesse di andarsene dall’Ue senza aver raggiunto alcuna intesa (no-deal Brexit), il regolamento del trattato di Dublino sarebbe revocato lasciando il Regno da solo a navigare in acque ignote con conseguenze ad oggi davvero imprevedibili.

(Il Fatto Quotidiano)

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