“Il Parlamento non ha più l’esclusività del potere normativo. Con la riduzione di deputati e senatori ci saranno solo vantaggi, una maggiore razionalizzazione e un sistema più funzionale”.
Stefano Ceccanti, deputato del Partito democratico, è tra i sostenitori del Sì al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari fortemente voluto dai 5 Stelle, che si terrà il prossimo 20-21 settembre. Se vincessero i Sì, i deputati passerebbero da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200.
Perché favorevole al referendum?
“Il Parlamento nazionale non ha più l’esclusiva nella produzione di norme. In Italia le Regioni hanno potere legidlativo e il nostro Paese, come altri, deve adeguarsi alla crescita del rilievo normativo dell’Unione europea. Di conseguenza, si è sviluppata una spinta a ridurre il numero dei parlamentari. Da anni, ad esempio, in seguito al processo di devolution si parla diminuire i deputati di Westminster a 600 e il presidente Macron in Francia, di fronte ai progressi dello Stato regionale e dell’Ue, vorrebbe scendere da 577 deputati a 404”.
I sostenitori del No al referendum definiscono il taglio dei parlamentari come “una riforma populista e anti-democratica”. Qual è la sua opinione?
“Se vincesse il Sì, avremmo un numero di parlamentari uguale a quello che fu pensato dalla commissione De Mita-Jotti nei primi anni ’90, ben prima della crescita delle forze populiste. E onestamente non si capisce per quale motivo dovrebbe essere una riforma anti-democratica…”.
C’è anche chi parla di una riforma inutile. Quali sono invece, secondo lei, i vantaggi che deriverebbero dal taglio del numero dei parlamentari?
“Posto che non esistono determinismi semplicistici, il numero fissato nel 1963, co 615 deputati e 300 senatori, era basato sull’idea che il Parlamento fosse in sostanza esclusivo della produzione normativa vigente. Terminato questo assetto monopolistico, si tratta di una razionalizzazione conseguente che porterà a un sistema più funzionale”.
Se si parla di razionalizzazione, allora forse un sistema monocamerale sarebbe più vantaggioso dal punto di vista economico e procedurale…
“Nel 2016, con l’allora governo di Matteo Renzi, ci eravamo battuti come Partito Democratico per un monocameralismo politico e penso che quella battaglia vada rilanciata. Ma quel referendum come è noto lo perdemmo e questo ha segnato l’inizio di un periodo di riforme spezzettate, come sostengono alcuni sostenitori della dottrina costituzionalista. Per quanto mi riguarda, una riforma più organica sarebbe da preferire. Ma ripeto, quel referendum del 2016 lo abbiamo perso e quindi più che di monocameralismo possiamo parlare ora di taglio dei parlamentari”.
Con la diminuzione del numero dei senatori, ci saranno Regioni, magari più piccole, che correrebbero il rischio di essere sotto-rappresentate?
“Fino a adesso le Regioni di medie dimensioni potevano ottenere, dalle elezioni politiche, un minimo di sette seggi a Palazzo Madama. Se al referendum vincessero Sì, otterebbero tre seggi.Ma va chiarito che, di fronte a una media complessiva di circa un seggio ogni 300 mila abitanti, una Regione come l’Umbria avrà, ad esempio, un seggio 1 ogni 295mila abitanti e la Basilicata uno ogni 193 mila. Sarebbe sicuramente preferibile avere circoscrizioni pluriregionali, ipotesi che potrebbe realizzarsi se passerà uno dei correttivi costituzionali in discussione alla Camera. In questa maniera si rimedierà a un inconveniente, cioè che vengano rappresentate in ogni Regione solo le prime due forze politiche”.
Con un eventuale taglio dei parlamentari cambierà qualcosa per i candidati e gli elettori delle circoscrizioni estere?
“Si tratta di circoscrizioni già vastissime per dimensioni, abbracciando già più continenti. Con la riduzione di senatori e deputati diventeranno ancora più estese, ma sono certo che il modo migliore di rappresentare gli italiani all’estero non sia quello non di incentivare un voto per i collegi italiani, ma di creare una rappresentanza a parte, questione già molto discussa in questi anni”.
L’election day provocherà problemi di affluenza al referendum nelle Regioni dove non si voterà per eleggere il governatore?
“L’accorpamento delle elezioni regionali e comunali con il referendum nelle stesse giornate comporterà una maggiore partecipazione di quella che ci sarebbe stata se il referendum si fosse svolto da solo, cosa che peraltro avrebbe causato un’ulteriore chiusura delle scuole. La Corte costituzionale ha dal canto suo rifiutato le obiezioni di legittimità della scelta”.
La campagna informativa del referendum sarà schiacciata da quella delle elezioni amministrative in alcuni territori italiani?
“Sarà importante lavorare per dare uguale dignità a entrambe le consultazioni”.
(La Repubblica)