Quando si spengono le luci sul palco dell’Etruria Eco Festival è sempre difficile spiegare le emozioni. La mattina successiva è quella di uno strano silenzio ricercato, come se servisse a mettere in fila i pensieri.
Quest’anno probabilmente ancora di più. Con l’incertezza che fino all’ultimo ci ha fatto temere che non potessimo trovarci davvero lì, insieme, come ogni anno; e il dispiacere per il numero limitato di posti, per non poter ballare e cantare a squarciagola sottopalco, per non poterci ritrovare tutti in quel tradizionale abbraccio liberatorio alla fine dell’ultimo concerto.
Dispiacere per tutto questo e per il fatto che anche questa volta sia finito. Ma anche tanta, tanta soddisfazione. Quest’anno l’organizzazione è stata impeccabile – lo so, non dovrei dirlo io, ma è stato oggettivamente così. Forze dell’ordine, tecnici, volontari, protezione civile, guardie ecozoofile, personale medico, addetti ai controlli e alla sicurezza (che con i loro fratini gialli fosforescenti ci hanno accompagnato ogni giorno di questa strana estate nelle spiagge pubbliche di Campo di Mare e negli spettacoli dell’Estate Cerite). Un meccanismo sincronizzato e perfettamente oliato al punto che anche la produzione, che di posti in Italia in questi anni deve averne visti davvero tanti, si è complimentata. Un giornalista lo ha definito “l’evento dell’anno del litorale” e questo non può che lusingarci. Il pubblico – come ogni volta questa estate, va detto – è stato educato, rispettoso delle indicazioni, composto; anche quando gli accordi di Daniele Silvestri o nelle serate precedenti le note di Micol e delle band di Etruria Indipendente, davvero spingevano con tutte le forze ad alzarsi e iniziare a ballare. E poi loro, tutti i musicisti che sono passati in queste tre sere sul nostro palco: unici. Un mix perfetto, quasi magico. Come quando mentre consegnavamo a Daniele Silvestri una riproduzione di un bucchero etrusco (opera del Maestro Roberto Paolini) e la storica maglietta dell’Etruria, una stella cadente passando accanto a una luna che sembrava disegnata ha deciso di illuminare il retro del palco (è la seconda volta che accade in questa Estate Caerite: era già successo con Ascanio Celestini). O come quando Daniele Silvestri è tornato sul palco per i suoi bis (un’altra mezz’ora abbondante di concerto) indossando proprio la nostra maglietta e si è seduto sul bordo del palco: lo ha detto lui stesso durante l’esibizione, sembrava si sentisse a casa.
Ieri sera credo di aver raccontato che quando salgo sul palco dell’Etruria, per un istante mi dimentico di tutto e divento di nuovo il giovane volontario di 14 anni fa, quando durante la protesta contro la riconversione a carbone della centrale di Civitavecchia, si formò un gruppo di amici che idearono e organizzarono quasi per scherzo la prima data del Festival (nessuno di noi immaginava in realtà che fosse una prima edizione e che ci sarebbe stato un seguito). Ed è una emozione strana, soprattutto quando tra il pubblico vedo tanti uomini e donne, bravissimi nelle loro attuali professioni, alcuni con i figli al seguito, che un tempo sono stati proprio quella ciurma che ha fondato, tenuto in vita e fatto crescere questa manifestazione. Ieri sera c’erano (quasi) tutti. Pur senza dircelo, senza metterci d’accordo, ci ritroviamo sempre qui, come in un pranzo di famiglia che si tramanda da generazioni. E spesso, proprio tra queste sedie impolverate, proviamo di nuovo quelle sensazioni delle serate di 13 anni fa e, di colpo, si cancellano anche quelle piccole tensioni che magari la vita ha fatto nascere fra alcuni di noi. Tutti, di nuovo, siamo parte di una stessa ciurma. Lo scorso anno tra i volontari dell’Etruria c’erano due ragazzi che non erano nati quando abbiamo organizzato la prima edizione. Segno che forse il testimone può essere davvero passato.
Dovrei ringraziare così tante persone che rischierei di essere ancora più prolisso del solito. Ma non posso non dire grazie al nostro affezionato pubblico. Quello che ci segue dalla prima data, quello che ci scrive durante l’anno per chiederci quando ci saranno i concerti e chi suonerà (e quando rispondiamo che non lo sappiamo non ci crede nessuno e pensano che sia una trovata per aumentare la suspense – invece noi davvero non ne abbiamo idea fino a pochissimi giorni prima), quello nuovo che ci scopre ogni anno e che magari aveva già sentito parlare di noi. Perché di continuo veniamo a sapere che c’è qualcuno che sa del nostro festival. Qualche anno fa ero al concerto di Roger Water al Circo Massimo in fila. Un ragazzo subito dietro di me, notando la mia maglietta mi ha detto: “cavolo, conosci l’Etruria Eco Festival? Io ci vado sempre: è una ficata!”. E io: “sì, in realtà sono uno di quelli che lo ha ideato”. E lui: “ma che dici? È stato Alessio Pascucci”. Silenzio. È stato molto divertente.
E poi Cerveteri. Che ha vissuto con un pizzico di diffidenza le primissime edizioni e poi, con gli anni, ha accolto questa festa, facendola diventare parte della tradizione cittadina. Ogni anno c’è chi regala il vino per gli artisti, chi i fiori per i camerini, chi mette a disposizione il proprio furgone o un frigo per tenere le bibite al fresco o uno specchio per il retropalco; decine di persone che chiedono se possono fare qualcosa. Questo è far diventare una manifestazione parte di una comunità. O viceversa (che poi è la stessa cosa).
Infine (last but not least) proprio Daniele Silvestri. Lui che era stato qui già dieci anni fa. In una edizione che ha rappresentato il vero spartiacque (con il tris Mannarino-Cristicchi-Silvestri) facendoci passare (anche grazie alla sua presenza) da evento locale a manifestazione nazionale. Forse non a caso l’anno successivo vincemmo il premio “Miglior Festival d’Italia”. Sono convinto che la maglia di Silvestri ci porterà fortuna anche stavolta, facendoci vincere il prossimo anno qualcosa di straordinario.
Un premio però, possiamo già darcelo da soli. Un premio che la nostra Cerveteri (Città della Cultura del Lazio 2020 e 2021, con la candidatura accolta dal MIBACT come Capitale Italiana della Cultura 2022), ha sicuramente già meritato: avere una comunità che crede nella centralità della cultura e essere una città che sa resistere. Siamo testardi per usare le parole di Silvestri. Anche nei tempi più bui. Anche quando la scelta più semplice (anche se meno coraggiosa) sarebbe quella di non fare niente, di interrompere ogni attività, di starsene fermi. Una città che porta con orgoglio il riconoscimento UNESCO e che è consapevole della responsabilità che da esso deriva. Quella responsabilità che l’uomo ragno ci dice essere necessaria con un grande potere.
Grazie. Grazie a tutti per esserci stati, come sempre, come ogni anno, con gli stessi occhi. Quelli con i quali abbiamo iniziato: innocenti e disarmanti. Grazie.
Alla prossima edizione.
Alessio Pascucci