22 Dicembre, 2024
spot_imgspot_img

“Vogliamo firmare contratti rivoluzionari”: nessun aumento ai dipendenti, libertà di licenziare

Dopo tre interviste in tre giorni rilasciate dai vertici confindustriali su tre differenti grandi quotidiani, il presidente Carlo Bonomi denuncia, in una lettera interna destinata ai presidenti di tutte le associazioni del sistema, “intimidazioni alle imprese per indurle a tacere”. Torna insomma il tema del “sentimento anti imprese” che il leader degli industriali fiuta nell’aria ogni volta che mette piede oltre viale dell’Astronomia. La lettera tocca poi su molti dei punti toccati in questi giorni. Il primo, naturalmente, quello del rinnovo dei contratti collettivi. Dieci milioni di lavoratori italiani attendono infatti nuovi accordi visto che i precedenti sono scaduti, in alcuni casi da anni o decenni.

“All’accusa che i leader sindacali hanno rivolto a Confindustria di non volere i contratti abbiamo risposto con chiarezza che Confindustria i contratti li vuole sottoscrivere e rinnovare. Solo che li vogliamo ‘rivoluzionarì”, scrive Bonomi in occasione dei suoi primi 100 giorni di presidenza. Nella lettera Bonomi specifica “contratti rivoluzionari rispetto al vecchio scambio di inizio Novecento tra salari e orari. Non perché siamo rivoluzionari noi, aggettivo che proprio non ci si addice, ma – spiega – perché nel frattempo è il lavoro e sono le tecnologie, i mercati e i prodotti, le modalità per produrli e distribuirli, ad essersi rivoluzionati, tutti e infinite volte rispetto a decenni fa”. Bonomi , in vista del tavolo con i sindacati del prossimo 7 settembre, indica quindi agli industriali che questa è una posizione da sostenere “con grande energia”, con “chiarezza e fermezza”, con “tutto l’equilibrio ma anche con tutta la risolutezza necessaria”. Una chiamata alle armi che mostra però già importanti defezioni.

No agli aumenti in busta paga

Sinora la linea Bonomi è stata quella di non accettare aumenti in busta paga poiché non c’è inflazione. Neppure per quelle categorie come dipendenti della sanità privata o dell’industria alimentare che hanno continuato a recarsi al lavoro durante tutta la pandemia. Al massimo qualche concessione in termini di welfare aziendale, tutti interventi con forti agevolazioni fiscali per le imprese. Una linea sconfessata peraltro apertamente da colossi come Barilla, Ferrero o Coca Cola Italia che hanno invece firmato il nuovo contratto collettivo dell’alimentare che prevede aumenti in busta paga (a regime, cioè dal 2023, 119 euro lordi in media al mese). I “ribelli” compariranno davanti al presidente il prossimo 9 settembre.

Oggi è stato anche annunciato che il 16 settembre sarà sciopero nazionale dei lavoratori della sanità privata che incroceranno le braccia in segno di protesta per “la mancata sottoscrizione definitiva, da parte delle controparti ovvero Aiop (Associazione italiana ospedalità privata che fa capo a Confindustria) e Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari), della preintesa raggiunta il 10 giugno scorso sul rinnovo del contratto”

Libertà di licenziare

La scelta del governo di estendere gli ammortizzatori sociali e vietare per legge i licenziamenti nel pieno dell’emergenza Covid “poteva essere giustificata”, ma “protrarla ad oltranza è un errore molto rischioso”, afferma ancora Bonomi nella sua missiva. “Più si protrae nel tempo il binomio ‘cig per tutti-no licenziamenti più gli effetti di questo congelamento” del lavoro “potrebbero essere pesanti, in termini sociali e per le imprese”, afferma. Per alcune, questa sorta di “anestesia” potrebbe significare “‘al risveglio l’avvio di procedure concorsuali”. Bonomi rilancia, invece, la necessità di una riforma delle politiche per il lavoro “profondamente diverse”, orientate verso politiche attive e non passive, già a cominciare dalla prossima legge di Bilancio. Una riforma “complessiva e di sistema”.

Giova ricordare che il blocco dei licenziamenti (il cui costo è stato sostenuto dalla fiscalità generale e non dalle imprese, attraverso la Cig Covid) è stato imposto dal governo nella speranza che nel frattempo l’economia iniziasse a dare segni di ripresa, limitando l’impatto occupazionale. Nel frattempo la valvola di sfogo delle aziende sono stati i contratti a termine quasi mai rinnovati una volta arrivati a scadenza.

I soldi devono andare solo alle imprese

Nella lettera ricompare un altro leitmotiv del Bonomi pensiero. Gli aiuti per superare la pandemia devono andare alle imprese, molto di più di quanto avvenuto sinora. Basta con i “sussidi a pioggia”, formula cara al presidente per indicare sostegni che vanno a persone e famiglie in difficoltà. “Se non saremo uniti negli obiettivi prioritari per cui ci battiamo, nel respingere le polemiche ed anche i tentativi di intimidirci, allora diventerà ancora più improbo il tentativo di trasformare l’Italia in quel Paese dell’innovazione permanente capace di accogliere e trattenere i nostri figli che, noi sappiamo, può e deve essere”.”Ci aspetta una stagione – scrive – in cui la demagogia rischia di essere la più fraudolenta delle seduzioni. E, al contempo, in cui il costo dell’incompetenza sopravanzerà per generazioni i benefici di chi oggi se ne avvantaggia”.

Belle parole che cozzano però con una realtà che vede le aziende private italiane tra le ultime in Europa per la quota di risorse destinate a ricerca, sviluppo e innovazione. Circa lo 0,5% del Pil, meno della metà rispetto a Francia o Germania. Ma certamente tutto sarebbe diverso se fosse stata accolta l’unica “rivoluzionaria” concreta proposta con cui Confindustria si è presentata agli Stati generali dello scorso giugno: restituiteci 3,4 miliardi di accise sull’energia. A Bonomi, che pochi giorni fa ha negato che Confindustria sia “un potere forte”, proprio non va giù che palazzo Chigi non esegua i desiderata degli industriali. E così ogni occasione è buona per randellare l’esecutivo: “I numerosi interventi specifici, i bonus frammentati e i nuovi fondi accesi presso ogni ministero, non sono stati certo la risposta articolata ed efficace che ci aspettavamo”. E ancora: politiche attive del lavoro “non possono essere attuate con il Reddito di cittadinanza“, la cui attuale configurazione va “smontata”, sostiene Bonomi. Bisogna “superare i limiti” dell’attuale sistema delle politiche del lavoro, puntando tra l’altro su formazione e riqualificazione professionale, ricollocazione e reimpiego, sottolinea inoltre il presidente di Confindustria facendo riferimento alla proposta di riforma “complessiva”, in dieci punti, inviata a metà luglio al governo e ai sindacati.

I contagi? Colpa solo degli altri

I panni sporchi si lavano in casa. La lettera interna avrebbe potuto fare un qualche accenno all‘uso indebito della Cig Covid attuato da alcune aziende o magari qualche accenno di autocritica sui contagi in fabbrica che continuano a registrarsi nelle fabbriche. Niente di tutto ciò. Anzi, Bonomi liquida come un “falso assoluto” la critica alle imprese di “aver osteggiato la chiusura di alcune aree del Paese a fronte della diffusione del Covid-19″. Il presidente di Confindustria non lesina però bacchettate tutti gli altri. “Sulle misure di sicurezza anti-Covid ancora non ci siamo”, scrive. E sottolinea: “Che il tema dopo tanti mesi sia purtroppo ancora irrisolto lo testimoniano due vicende in corso”. Si sofferma quindi sulle “profonde incertezze sulla riapertura delle scuole a settembre, che al di là del bando su 2,4 milioni di banchi a rotelle identificati come priorità ancora non vedono una risposta precisa alla domanda centrale: che cosa avverrà negli istituti in presenza di contagi?” C’è poi il tema per i presidi, come si era posto per gli imprenditori riguardo agli ambienti di lavoro, “dello scudo rispetto alla responsabilità penale in caso di contagi”. Bonomi sottolinea inoltre “l’esperienza dei mancati controlli e tamponi di massa al rientro dalle vacanze in Paesi posti dal Governo nella lista dei controlli obbligati”. E come “altra conferma” aggiunge “l’insuccesso della app Immuni”.

(Il Fatto Quotidiano)

Ultimi articoli