25 Novembre, 2024
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L’urlo di Washington in marcia contro il razzismo 

Jacob Blake, l’afroamericano ferito alla schiena da un poliziotto e rimasto paralizzato, non è più in manette nel suo letto di ospedale

 

Jacob Blake, l’afroamericano ferito alla schiena da un poliziotto e rimasto paralizzato, non è più in manette

nel suo letto di ospedale. Lo riporta la Cnn. Il padre di Blake in una intervista aveva denunciato come il figlio, nonostante le gravi condizioni e l’impossibilità di muoversi, fosse ancora ammanettato. Secondo quanto si apprende anche i poliziotti che piantonavano la stanza del ricovero sono stati richiamati. Tutti i capi di imputazione nei confronti di Blake, inoltre, sono caduti. Il ventinovenne, a cui un agente ha sparato ben sette colpi di pistola alla schiena, è ora cosciente e incontrando i suoi familiari, ha raccontato il legale della famiglia, ha pianto. “Stanca e frustrata”: in un tweet Michelle Obama descrive il suo sentimento di fronte al caso Blake e all’ennesimo episodio di violenza della polizia contro un afroamericano, accusando la Casa Bianca di Donald Trump di alimentare un “razzismo sistematico”. “Quante volte ormai i nostri ragazzi hanno visto la mancanza di empatia, le divisioni, un razzismo sistematico. A volte lo hanno visto nelle notizie. A volte dal Rose Garden della Casa Bianca. A volte dai sedili posteriori di un’auto”, ha aggiunto riferendosi ai figli di Jacob Blake che hanno assistito al ferimento del padre 

L’urlo di Washington in marcia contro il razzismo

In testa al corteo c’è il padre di Jacob Blake, il giovane afroamericano rimasto paralizzato dopo che a Kenosha, in Wisconsin, un poliziotto gli ha esploso sette colpi di pistola alla schiena: “Mio figlio è in un letto di ospedale e lo tengono ammanettato”, era stato il racconto shock dell’uomo, arrivato a Washington per la marcia antirazzista organizzata per ricordare il 57mo anniversario dell’iconico ‘I Have a Dream’ di Martin Luther King. Dalla quale si è levato ancora una volta un grido di rabbia e frustrazione per le troppe vite recise da una polizia oramai sotto processo in tutta America. “Quando è troppo è troppo”, ha scandito Martin Luther King III, figlio maggiore di Mlk, prendendo la parola insieme al pastore Al Sharpton, leader indiscusso della black community. Imponenti misure di sicurezza, Casa Bianca blindata, obbligo di mascherina e distanziamento sociale, in 50 mila si sono radunati lungo il National Mall, davanti al palco sistemato sulle gradinate del Lincoln Memorial, proprio come in quel lontano 28 agosto 1963. Allora una folla enorme segnò la svolta nella lotta per i diritti civili.

Oggi, nonostante i numeri ridotti a causa della pandemia, la speranza del movimento è quella di recuperare lo ‘spirito del 63’, per avviare una stagione in cui l’America faccia definitivamente i conti con una questione razziale mai completamente risolta.

In tempi di campagna elettorale le divisioni politiche non aiutano. Da una parte il mantra del ‘law and order’ ripetuto ossessivamente da Donald Trump, dall’altra un partito democratico schierato con le proteste ma dove l’ala sinistra si spinge a chiedere anche un drastico taglio dei fondi alla polizia, posizione avversata anche dal candidato democratico alla presidenza Joe Biden. C’è comunque un punto di partenza che accomuna le varie anime del movimento: varare una profonda riforma, a partire dalla formazione e dall’addestramento degli agenti. In Congresso c’è già pronta la ‘George Floyd Justice in Policing Act’, sostenuta dai democratici e dal Congressional Black Caucus che riunisce deputati e senatori afroamericani. Un testo che riscrive a fondo anche il codice di condotta degli agenti per limitare al massimo le violazioni dei diritti civili e i comportamenti discriminatori basati su motivi razziali. Se il 3 novembre i dem torneranno alla Casa Bianca e, come spera il partito, torneranno a conquistare il Senato, la strada sarà in discesa.

Jacob Blake, l’afroamericano gravemente ferito dalla polizia di Kenosha (Wisconsin), è adesso ammanettato al suo letto di ospedale: lo ha denunciato la sua famiglia, secondo quanto riporta la Cnn.

Lo zio di Blake, Justin Blake, ha detto all’emittente Usa che il padre del 29enne è andato a trovare il figlio nell’ospedale di Wauwatosa (Wisconsin), dove è ricoverato, e gli si è “spezzato il cuore” quando lo ha visto ammanettato.

“Questo vuol dire aggiungere la beffa al danno”, ha commentato Justin Blake. Il giovane, ha proseguito, “è paralizzato e non può camminare e loro lo tengono ammanettato al letto. Perche’?”. Come è noto, Blake è stato colpito alla schiena domenica scorsa da sette proiettili sparati da un poliziotto di Kenosha mentre cercava di entrare nella sua auto dove lo aspettavano i suoi tre figli piccoli. A poche ore dalla renomination di Donald Trump, la Casa Bianca ha contattato per la prima volta la famiglia di Jacob Blake. A parlare con sua madre pero’ non e’ stato il tycoon ma il suo chief of staff Mark Meadows, che ha riferito di aver espresso il sostegno del presidente e di aver apprezzato l'”appello alla pace” da parte della donna, sullo sfondo delle proteste razziali. Meadow ha inoltre detto che il tyccon ha visto il video della sparatoria.

(Ansa)

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