Coronavirus e scuola, in Veneto e Lazio tamponi rapidi a tutta la classe se c’è un alunno positivo
I test veloci saranno adottati in Veneto e Lazio: se un bimbo sarà trovato positivo, i test rapidi saranno somministrati a tutta la classe, che in mezz’ora avrà i risultati; i negativi potranno tornare in classe al più presto.
I dubbi di parte del Cts, la Lombardia: «Ce ne vengano consegnati almeno 60mila, quando li avremo li faremo prima nelle scuole»
L’inizio dell’anno scolastico sembra essere in salita. Che cosa succederà in classe se un bambino presenta sintomi compatibili con il Covid? L’unica arma certa per una corretta diagnosi (per non confondere la malattia con l’influenza), lo sappiamo, è il tampone. Ma questo dettaglio rischia di paralizzare il mondo della scuola (e, di conseguenza, quello del lavoro dei genitori). E alcune Regioni — Veneto e Lazio — hanno dunque deciso di attrezzarsi altrimenti.
I test rapidi per le scuole
Lazio e Veneto, infatti, hanno deciso di usare i tamponi rapidi per lo screening nelle scuole. A differenza dei tamponi nasofaringei che rilevano l’Rna del virus e che necessitano di 24-48 ore per essere processati da un laboratorio, i tamponi rapidi danno risposta nel giro di mezz’ora, o anche meno. Sono definiti «antigenici» perché cercano le proteine del virus, cioè gli antigeni, sempre nelle secrezioni respiratorie. Questi test possono fornire una risposta qualitativa, cioè possono dire se gli antigeni virali sono in quantità sufficiente per essere rilevati. Non richiedono strumenti di laboratorio; il prelievo avviene con dei bastoncini infilati nelle narici e nella faringe (come nel caso di un tampone «classico») oppure può essere presa la saliva. Non sono considerati affidabili al 100%, ma sono utili per effettuare screening di massa veloci o comunque per individuare persone infette con alta carica virale. Proprio quello di cui avrebbero bisogno le scuole. L’attendibilità dei test rapidi è leggermente inferiore (85%), ma il meccanismo studiato funzionerà un po’ come il test di gravidanza: se il test rapido è positivo si farà il tampone tradizionale per avere la certezza del risultato.
Il piano di emergenza di Lazio e Veneto
La Regione Lazio ha appena presentato il «piano di emergenza» basato proprio sui test rapidi già usati negli aeroporti e validati dall’Istituto Spallanzani. Che cosa succederà se si dovesse presentare un caso positivo? Si recherà presso l’istituto la «Uscar», l’unità mobile con medici e infermieri a bordo, per la somministrazione dei tamponi rapidi. I test verranno effettuati agli studenti e al personale docente, con una risposta attesa entro 30 minuti. Gli eventuali contagiati saranno isolati, mentre gli altri saranno rimandati a casa e l’istituto sottoposto alle normali procedure di sanificazioni con il rientro a scuola per coloro che sono risultati negativi entro due giorni. In Veneto — dove il test rapido è stato varato il 13 luglio, in diretta, durante una conferenza stampa del governatore Luca Zaia, che ha poi ottenuto la validazione delle autorità sanitarie nazionali — la procedura sarà molto simile, come ha spiegato in conferenza stampa il presidente della Regione.
Questi test sono sicuri?
Ma le Regioni Veneto e Lazio possono utilizzare questi test rapidi? Il documento dell’Istituto superiore di Sanitàà con le linee guida «per la gestione di casi e focolai di Covid nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia» spiega che «il metodo diagnostico riconosciuto e validato dagli organismi internazionali per rivelare la presenza del virus Sars-CoV-2 in un individuo infetto, e quindi lo strumento più adatto per un caso sospetto, è un saggio molecolare basato sul riconoscimento dell’acido nucleico (RNA) virale mediante un metodo di amplificazione (Polymerase Chain Reaction, PCR) effettuato su un campione di secrezioni respiratorie, generalmente un tampone naso-faringeo»; ma aggiungeva che «sono stati sviluppati, e sono inoltre in continua evoluzione tecnologica per migliorare la loro performance, dei test diagnostici rapidi che rilevano la presenza del virus in soggetti infetti», «meno sensibili del test molecolare classico eseguito in laboratorio» ma che — «dopo opportuna validazione» — potranno «rappresentare un essenziale contributo nel controllo della trasmissione di Sars-CoV-2». Il test di Lazio e Veneto, secondo quanto riferito da Zaia in conferenza stampa, ha ricevuto proprio questo tipo di validazione.
I dubbi del Cts
«Ci sono alcune criticità nel progetto di alcune Regioni si somministrare i test rapidi col tampone agli alunni delle scuole dove si sia verificato un caso positivo», spiega però Kyriakoula Petropulacos, direttore della Sanità in Emilia Romagna e componente del comitato tecnico scientifico nazionale, il Cts. Il primo punto sdrucciolevole è il consenso dei genitori senza il quale non si potrebbe procedere ai test su minorenni. Secondo, chi esegue i test e dove? «Sono autorizzati solo operatori sanitari, dunque medici e infermieri. Dovrebbero essere organizzati dei punti per il prelievo o delle squadre da inviare a domicilio. Gli istituti scolastici non dispongono ambienti sanitari, sono sprovvisti di infermeria».
E il resto d’Italia?
E il resto d’Italia? Al momento non risulta che altre Regioni si siano attrezzate con test rapidi simili a quello messo in piedi da Lazio e Veneto. La Lombardia — la Regione più colpita dal Covid — non prevede, ad ora, l’uso dei tamponi rapidi per le scuole. Giulio Gallera, assessore alla Sanità di Regione Lombardia, spiega che «al momento abbiamo ricevuto 5 mila tamponi rapidi dello Spallanzani. Mille li useremo per le carceri, dove in questo momento c’è un problema di afflusso. Gli altri 4 mila li useremo dove ci sarà necessità. Chiediamo che ce ne vengano consegnati di più per far fronte alle esigenze: se il Lazio ne ha ricevuti 30 mila, in rapporto alla popolazione lombarda ne aspettiamo almeno 60 mila. Daremo priorità alle scuole per tutti i tamponi rapidi che arriveranno. E stiamo sperimentando altri test veloci, per esempio quello sulla saliva all’università dell’Insubria». Nel frattempo però ci si dovrà affidare al tampone classico. In teoria l’esito è garantito entro 48 ore (due giorni di scuola): ma in questi giorni i risultati stanno arrivando con grande ritardo, anche 5-6 giorni dopo. E nel frattempo che cosa succederà al bambino «attenzionato»? E ancora: se dovesse risultare positivo la classe sarà sottoposta a tampone, resteranno tutti a casa con mamma e papà ad aspettare gli esiti per quasi una settimana? I pediatri sono in allarme. «Non avendo noi, ad oggi, strumenti in grado di diagnosticare l’infezione da Covid – ha spiegato all’Eco di Bergamo Ezio Finazzi segretario provinciale e regionale del sindacato pediatri Simpef– dovremo considerare tutti i bimbi malati, casi sospetti. E, come protocollo, dovremo richiedere il tampone per tutti: in attesa dell’esito, però, anche i familiari, in quanto contatti di un caso sospetto, dovranno mettersi in isolamento fiduciario». Morale? Si rischia «un blocco generale».
(Corriere della Sera)