Erogano prestiti, emettono obbligazioni comuni per raccogliere risorse sul mercato, impegnano in prima persona i rappresentanti dei governi europei. Sono il Mes (“Meccanismo europeo di stabilità” detto anche “Fondo Salva-Stati”) e il cosiddetto Recovery Fund (o “Next Generation Eu”) per contrastare la crisi causata dalla pandemia per Covid-19. Se ne parla tanto, i lettori chiedono di spiegare bene da capo che cosa sono, come funzionano, quali sono le principali differenze e perché sono necessari. Ne abbiamo parlato con Paolo Baroni, collega giornalista esperto di economia.
Che cos’è e qual è lo scopo del Mes?
«Il Mes, ovvero il Meccanismo europeo di stabilità, è nato nel 2012 per contrastare una possibile crisi del debito di uno o più paesi dell’Unione europea ed anche per questo è stato ribattezzato Fondo Salva-Stati».
Che cos’è e qual è lo scopo del Recovery Fund e perché in Europa ha un altro nome (Next Generation Eu)?
«Il Next Generation Eu è il piano messo in campo dall’Unione europea per contrastare gli effetti del coronavirus e consentire ai paesi che ne faranno uso di far ripartire la propria economia investendo in una serie di settori che per l’Europa sono prioritari come la transizione ecologica e l’innovazione, la formazione e la salute. Recovery Fund è la definizione generica utilizzata nei primi tempi, quello italiano è invece chiamato Piano nazionale di resilienza e rilancio, in sigla Pnrr, che fa ben capire l’intento che si persegue».
Come funzionano?
«Il Mes ha diversi strumenti a disposizione che vanno dalla possibilità di concedere prestiti ai Paesi in difficoltà per consentire un aggiustamento macroeconomico (soluzione utilizzata finora da Irlanda, Portogallo, Grecia e Cipro) fino al prestito per la ricapitalizzazione indiretta delle banche (aiuto finora fornito alla sola Spagna). Gli altri strumenti previsti dallo statuto del Mes (acquisti di titoli sul mercato, linee di credito precauzionali e ricapitalizzazione diretta) non sono finora mai stati usati. Tutti interventi sottoposti ad una severa condizionalità. Il Paese che ne fa richiesta deve infatti sottoscrivere una lettera di intenti o un protocollo d’intesa che viene negoziato con la Commissione europea a nome del Mes. In genere vengono richieste riforme specifiche, mirate ad eliminare o quantomeno mitigare l’effetto dei punti deboli dell’economia del paese richiedente: si va dal consolidamento fiscale (tagli di spesa, aumento delle tasse, privatizzazioni, ecc.) a riforme strutturali per stimolare la crescita ed aumentare la competitività, sino a riforme del settore finanziario. Da diverso tempo i 27 discutono di una riforma del Mes, mentre più di recente si è deciso di concedere a chi ne fa richiesta ai prestiti del fondo salva stati con l’unico vincolo di investire queste risorse nel campo della sanità. Il Mes ha una dotazione complessiva di 700 miliardi di euro ed è finanziato direttamente dai singoli Stati membri in base al loro specifico peso economico, ad esempio la Germania contribuisce per il 27,1%, la Francia per il 20,3% e l’Italia col 17,9%: 80 miliardi sono versati direttamente (14,3 l’Italia, 27 la Germania e 20 la Francia) mentre i restanti 620 miliardi possono essere raccolti sui mercati finanziari attraverso l’emissione di bond.
Il Next generation Eu è un programma gestito direttamente dalla Commissione Ue dotato di una potenza di fuoco pari a 750 miliardi di euro. Dovevano essere 1000 secondo le aspirazioni iniziali di Italia, Francia e Spagna, con ben 500 miliardi di sussidi poi scesi a 390 per l’opposizione di Austria, Olanda, Svezia, Finlandia e Danimarca che puntavano a ridurre le erogazioni a fondo perduto. Gli altri 360 miliardi verranno erogati sotto forma di prestiti. Una parte delle risorse arriverà dal bilancio comunitario, ma per finanziarsi la Commissione è autorizzata ad emettere eurobond che alla scadenza si pensa di ripagare introducendo nuove tasse comunitario a partire da quelle sulle attività digitali dei colossi del Web».
Chi li gestisce?
«Il Mes è gestito dall’apposita struttura che ha sede in Lussemburgo articolata in un Board of Governors (i ministri finanziari dell’area euro) presieduto dal presidente dell’Eurogruppo, il portoghese Mario Centeno, ed in un Board of Directors (i cui membri vengono scelti dai ministri finanziari dei 27). Il direttore generale (il tedesco Klaus Regling) gestisce gli affari correnti del Mes seguendo le indicazioni del Board of Directors. Il presidente della Bce e il Commissario europeo agli Affari Economici partecipano in qualità di osservatori. Il Next Generation Eu è gestito direttamente dalla Commissione europea, che ha fissato le linee guida di intervento, contratterà con i singoli paesi le misure da mettere in campo e vigilerà rigidamente sull’attuazione dei programmi».
L’Italia li attiverà?
«Certamente l’Italia attiverà il Recovery Fund dal quale si aspetta si ottenere 209 miliardi di euro tra contributi a fondo perduto, poco meno di 90 miliardi di euro e prestiti a tassi agevolati. Sul Mes, da cui l’Italia potrebbe ricevere 35 miliardi di prestiti risparmiandone circa 5,5 di interessi nel caso dovesse fare da sola, il dibattito è in corso e, tra le fila della maggioranza, registra la ferma opposizione del Movimento 5 Stelle mentre Pd e Leu, oltre al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (nella foto Ansa), sono schierati a favore».
Quali sono i nodi da sciogliere?
«Sul Recovery Fund si tratta semplicemente di mettere assieme un programma di intervento serio e credibile, senza perdere tempo e disperdere le risorse in mille rivoli e facendosi trovare pronti alla scadenza che fissa Bruxelles. Sul Mes invece il nodo è tutto politico: l’Italia ha bisogno come non mai di tornare ad investire in sanità dopo anni di tagli, e secondo il ministro della Salute Roberto Speranza andrebbero stanziati non meno di 25 miliardi di euro, ma ideologicamente i 5 Stelle dicono che per i nostri bisogni è più che sufficiente il Recovery Fund, dimenticando però che i prestiti del Salva-Stati potrebbero arrivare in pochi mesi mentre quelli del Recovery Fund andranno impegnati nel 2021-2022 e saranno erogati nell’arco di 5 anni. Da subito, ovvero nel secondo trimestre 2021, si potrebbe aspirare ad ottenere solamente un acconto pari al 10%, all’incirca 20 miliardi di euro».
Perché fioccano le critiche?
«Sul Recovery Fund le critiche riguardano la lentezza con cui si sta muovendo il governo e, sul fronte politico, l’iniziale mancato coinvolgimento del Parlamento, tesi sostenuta anche da esponenti della maggioranza. I “no” al Mes sono legati al fatto che sia M5s che l’opposizione non credono che questi finanziamenti siano slegati da condizionalità. E questo nonostante le ripetute dichiarazioni delle istituzioni europee e dei nostri partner europei».
(La Stampa)