27 Dicembre, 2024
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Infanzia fragile. Bonetti: un argine dai fondi europei

Dal Mes (se attivato) e dalla ‘Child guarantee’ le risorse necessarie per affrontare le situazioni più critiche

Qanti soldi in arrivo per le fragilità infantili. Alcuni ipotetici, come quelli del Mes, altri più sicuri, come i 15 milioni che saranno assicurati all’Italia dalla ‘Child guarantee’, il progetto europeo che punta ad assicurare servizi dignitosi, assistenza sanitaria, istruzione ai bambini che vivono in realtà familiari precarie, ai piccoli disabili, a quelli che abitano in strutture d’accoglienza e ai minori stranieri non accompagnati. Il progetto pilota è stato affidato al nostro Paese e «chiederà tutte le competenze dei nostri territori di sviluppare azioni positive di valorizzazione del ruolo dei bambini e dei giovani».

L’annuncio arriva dal ministro per la famiglia, Elena Bonetti

intervenuta alla presentazione del terzo Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia in Italia realizzato dal Cesvi e intitolato ‘Restituire il futuro’. Uno studio che conferma come il rischio maltrattamento in IT talia rimanga elevato, amplificato anche dalle conseguenze sociali ed economiche dell’emergenza coronavirus. Quanto elevato in realtà non lo sappiamo con precisione. L’ultimo dato statistico arriva da uno studio del 2015 realizzato dall’Autorità garante per l’infanzia. Secondo quei dati i bambini in carico ai servizi sociali sono ogni anno 91mila – 9,5 ogni mille residenti – anche se, a parere di una stima Unicef, per ogni caso intercettato, se ne sarebbero nove che rimangono sommersi. Ma il rapporto Cesvi – giunto alla terza edizione – non aggiorna queste statistiche (si attende a breve la pubblicazione di un nuovo rapporto dell’Autorità garante).

Analizza invece il fenomeno maltrattamento nelle varie regioni italiane, attraverso l’analisi dei fattori di rischio presenti sul territorio e della capacità delle amministrazioni locali di prevenire e contrastare il fenomeno tramite i servizi offerti. La regione con gli indici migliori sia in termini di contesto ambientale che di sistema dei servizi è risultata, come negli anni precedenti, l’Emilia- Romagna, seguita da Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Veneto che si scambiano il terzo e il quarto posto, mentre la Toscana si conferma in quinta posizione. Il caso Bibbiano con le accuse che hanno travolto e azzerato i servizi sociali della Val d’Enza non hanno evidentemente inciso sull’efficienza globale dei servizi emiliano-romagnoli. Per il resto, l’Indice regionale sul maltrattamento all’infanziaconferma l’esistenza di un Paese a due velocità: le otto regioni del Nord Italia al di sopra della media nazionale, mentre nei territori del Sud Italia si registra un’elevata criticità.

Nulla di cui stupirsi, purtroppo. i dati fotografano una realtà già tragicamente evidenziata dalla cronaca. Gli episodi strazianti dei piccoli Gioele ed Evan, il mese scorso in Sicilia, sono la conferma di un quadro nazionale in cui anche i servizi sociali, distribuiti a macchia di leopardo – un assistente sociale ogni 30 o 40mila abitanti, a fronte di una media nazionale di 5mila – mostrano gravi incapacità di intervento. Un divario che, come ha assicurato ieri, il ministro Bonetti intende colmare anche con i fondi europei: «In ogni piccola comunità deve esserci un presidio a tutela e promozione dell’infanzia e dell’adolescenza, Il Recovery Fund – ha aggiunto – dovrà avere un capitolo specifico che vada a tutelare queste pari opportunità educative e di servizi a sostegno delle famiglie, sapendo che, partendo sul nostro territorio nazionale da un livello di disparità ». Da qui l’urgenza di un impegno maggiore verso il Mezzogiorno, per incidere territorio per territorio.

L’idea della ministra è quella di creare delle ‘reti di comunità’ il cui perno dovrà essere la scuola, che «deve diventare polo che connette esperienze integrate che riguardano il tempo dell’educazione fuori dall’ambiente scolastico, e penso alla necessità di avere le cosiddette scuole aperte. Spazi e tempi – ha chiarito Bonetti – che integrino il tempo scolastico con occasioni di formazione per i genitori, di relazioni, di attività di sport, musica, incontro tra i bambini, nel quale partecipino realtà del Terzo Settore che hanno fatto la differenza nel nostro Paese». In questa direzione ci sono progetti già avviati, come EduCare, con 35 milioni che, ha concluso la ministra «avevano tra le finalità il contrasto alla povertà educativa attraverso strumenti di educazione tra pari e non formali».

(Avvenire)

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