«Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» (Matteo 15, 14).
È davvero difficile trovare parole più adatte a commentare le argomentazioni che in queste settimane provengono dal vastissimo fronte del SÌ, che comprende (ricordiamolo) pressoché tutti i poteri e tutti i partiti, e però pretende di agire per redimere il Parlamento dagli abusi dei poteri e dei partiti.
Non mi riferisco alle “argomentazioni” più triviali, che sono peraltro anche quelle più diffuse e trainanti: il taglio delle poltrone, la guerra alla casta, il risparmio sulla democrazia, il disprezzo decisionista per la perdita di tempo del “parlare” in Parlamento. No, mi riferisco alle (per me sconcertanti) argomentazioni di personalità colte e autorevoli, ad alcune delle quali sono peraltro legato da vincoli di affetto, stima, riconoscenza. La caratteristica più sorprendente di queste argomentazioni è proprio la cecità, innanzitutto verso se stesse. Nel senso che si tratta di ottime argomentazioni per il NO: cui segue, con sorprendente ribaltamento, la comunicazione (non di rado imbarazzata, e quasi reticente) del voto al SÌ.
La prima e più diffusa argomentazione è l’accusa al fronte del NO di short-termism, cioè di ragionamento a brevissimo raggio, pensiero di piccolo cabotaggio: la miopia che porta gruppi editoriali e drappelli di politici a sostenere (più o meno palesemente) il NO per colpire il Movimento 5Stelle e affossare il Governo. Ora, non c’è alcun dubbio che questo short-termism esista, e che la compagnia del NO sia in gran parte impresentabile (come del resto quella del SÌ, guidata tra gli altri da Matteo Salvini), ma sfugge come questo possa diventare un argomento per il SÌ senza peccare di uno short-termism uguale e contrario. Si vota SÌ per non fare cadere il Governo, si vota SÌ per non favorire Meloni e Salvini (che votano SÌ…): cioè si usa la Costituzione come una clava per colpire il nemico dei prossimi cinque minuti. Si decide su una questione che cambierà per decenni il volto della nostra democrazia pensando alla sorte di questo Governo: è davvero una miopia che raggiunge quasi la cecità. Tanto da impedire di vedere due cospicui argomenti in contrario. Il primo è che se passa il SÌ, allora davvero questo Parlamento sarà drasticamente delegittimato, perché condannato (nelle sue stesse proporzioni numeriche) dallo sdegno popolare: non per caso nel 1963 la riduzione dei parlamentari avvenne proprio a fine legislatura, e non prima di arrivare alla metà. Il secondo – terribile – è che se vincerà il SÌ, e se la legge elettorale non sarà proporzionale, avremo messo una terribile arma nelle mani di un possibile Governo Salvini-Meloni, che si prenderà così assai facilmente gli organi di garanzia costituzionale. Questa miopia, anzi questa cecità, è gravissima (e quando succederà i fautori del SÌ dovranno una risposta a noi tutti), perché usando la Costituzione come strumento nella lotta politica quotidiana, finisce col disinnescare proprio quelle tutele per cui serve una Costituzione. Secondo alcuni costituzionalisti, con il combinato disposto di questo taglio e dell’attuale legge elettorale, la destra di Salvini potrebbe arrivare ai due terzi del Parlamento: e allora tanti saluti alla Costituzione del 1948, senza nemmeno possibilità di un referendum. Chi vota SÌ per la (giusta) paura di Salvini è consapevole dell’entità di questo rischio? Chi vota SÌ per difendere questo Governo (il migliore oggi possibile anche secondo me) e il Movimento 5Stelle si rende conto di quale cavallo di Troia sta costruendo?
La seconda argomentazione ondeggia tra la disperazione e la magia: «occorre uno choc alla casta politica», si dice. «È l’ultima speranza di avere una legge elettorale proporzionale», si rincara. E ancora: «proviamo a fare questo gesto, questo scongiuro: non ci resta altro, ormai». Non è per caso se a votare NO sono soprattutto i giovani (anche quelli inquadrati in partiti che votano SÌ) e a votare SÌ sono gli anziani: laddove evidentemente la vecchiaia non porta alla saggezza della presbiopia, ma alla disperazione del cambiamento, conducendo così al miope azzardo del gesto alla cieca. Anche qua, sconcerta che per “provarci” si usi la Costituzione: arrivando fino a teorizzare che sia una legge ordinaria (la legge elettorale) a dover mettere in sicurezza una Costituzione altrimenti pericolosa, in una micidiale inversione delle fonti e in una clamorosa confusione culturale che cancella secoli di costituzionalismo. E per che cosa? Per la speranza che coloro che sono riusciti a cambiare la Carta ma non la legge elettorale ci riescano ora, e nel superiore interesse di tutti: così passando, in un balzo, dal più cupo disprezzo per la casta da tagliare alla cieca speranza che questa stessa casta salvi la Costituzione e il Paese. E invece rischiando, come ho detto, che lo choc possa essere nientemeno che la fine senza appello della Carta del 1948.
Accanto a queste cecità ce ne sono altre. Se ne possono citare tre: una legata al passato, una al presente e una al futuro.
La prima è quella che non vuole vedere la forza e la lucidità con cui i Costituenti del 1948 erano determinati a garantire la rappresentanza, immaginando che il numero dei parlamentari salisse o scendesse insieme a quello della popolazione. Si cita sempre la riforma “democristiana” del 1963 come un tradimento della Costituzione del 1948 perpetrato in nome di una clientela che allargasse a dismisura il numero delle poltrone: niente di più falso. Allora quel rapporto fu congelato in una cifra (630+315) che è quella che oggi si vuole tagliare, ma che è molto inferiore agli oltre mille che avremmo se fosse rimasto in vigore il testo dei Padri del 1948.
La seconda è quella che riguarda la vita di questo Parlamento dopo la sua mutilazione: sarà meno democratico, ancora più oligarchico. Funzionerà peggio, perché i piccoli gruppi non potranno partecipare a tutti i lavori. Non si diminuiranno i privilegi: che saranno invece riservati a un numero inferiore di privilegiati, dunque ancora più potenti. Si creeranno collegi così ampi da dover “vendere” la politica ancor di più agli interessi privati. Ci saranno Regioni troppo rappresentante, e altre troppo poco. E appunto gli organi di garanzia saranno in mano alle maggioranze politiche.
La terza è quella più dolorosa, perché denuncia una difficoltà profonda nell’intraprendere una lettura prospettica (cioè storica) del presente. Quando, tra molto tempo, si scriverà una storia della democrazia italiana, questa riforma sarà letta in opposizione a quella Renzi, a quelle dei Saggi di Napolitano, alla Bicamerale Berlusconi-D’Alema e addirittura a quella del famoso Piano di Rinascita nazionale della P2 (che voleva, guarda un po’, tagliare i parlamentari…), o sarà letta in continuità? (Intendo in continuità culturale profonda, non secondo una complottistica continuità di disegno occulto). Ebbene, io sono certo che sarà letta in perfetta continuità con tutti quei progetti di “cambiamento”: che sono sorretti da una stessa visione, da una stessa cultura. Quella che vede nel Parlamento un problema e non una risorsa, che vede nella libertà dei singoli parlamentari una minaccia (l’altra metà di questa riforma è il vincolo di mandato, per ora congelato ma sempre presente nel programma dei 5Stelle), che vuole ridurre la rappresentanza e aumentare il peso e il potere degli esecutivi. La diagnosi di tutti questi progetti, compreso quello su cui siamo chiamati a votare, è sempre stata una sola: il problema dell’Italia sarebbe un eccesso di democrazia e di rappresentanza. Penso che questa sarà la lettura storica del futuro, e temo che gli intellettuali che non lo capiscono assomiglino molto ai ciechi che pretendono di guidare altri ciechi.
Per parte mia, voterò NO: perché di una cosa sono convinto, il nostro problema è un difetto, e non già un eccesso, di democrazia e di rappresentanza. E, si sa, le cure sbagliate possono uccidere.
(Volerelaluna)